Un libro-manifesto per uscire dal torpore, rivolto alle istituzioni e alle autorità di regolazione – Antitrust Ue, ma anche Agcm, Agcom e Garante Privacy – per non cedere le armi di fronte allo strapotere delle grandi piattaforme digitali. Se il petrolio dei nostri giorni sono i dati, i nuovi monopoli della nostra epoca si chiamano Facebook, Google, Amazon, Apple ed esercitano sulle nostre vite un controllo sempre più tentacolare, sfruttando a piene mani i nostri dati a scopi commerciali. Serve un argine e l’Europa, nonostante le sue divisioni e contraddizioni, sembra l’avamposto globale più indicato per organizzare una cornice di norme in grado di limitare l’“invasione digitale” delle nostre vite, anche alla luce dello scandalo Cambridge Analytica.
Questo in estrema sintesi il messaggio del libro “Is Competition a Click away. Sfida al monopolio nell’era digitale”, autori il professor Stefano Mannoni, già commissario Agcom, e Guido Stazi, dirigente dell’Antitrust (già dirigente in Agcom e Consob) (Editoriale Scientifica, pagg.105, 10 euro). Il libro è stato presentato ieri nella sala Nassirya del Senato. Alla presentazione, moderata dal direttore di Key4biz Raffaele Barberio, hanno preso parte, oltre agli autori, il Presidente dell’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali Antonello Soro e il Senatore Luigi Zanda.
Tema del libro, e del dibattito, come contenere lo strapotere dei nuovi monopoli digitali con scelte coraggiose che assicurino pluralità dei mercati, libero accesso, democrazia e sovranità superando le distorsioni del nuovo scenario digitale.
“La rivoluzione digitale ha cambiato il mondo – ha detto Guido Stazi – Abbiamo consegnato le nostre vite a 4 o 5 piattaforme globali, il che pone enormi problemi di carattere economico, politico e informativo che pesa non soltanto per lo scadimento generale dell’informazione, ma anche per la crisi del mercato editoriale e pubblicitario. Con questo libro, vogliamo risvegliare la coscienza delle istituzioni e di chi si occupa di antitrust”. Insomma, una chiamata alla mobilitazione dei decisori e in primis dell’Antitrust Ue, vista l’inerzia di quella Usa.
Il libro vuole sfatare alcuni miti che riguardano il web. A partire dal “mito del garage”, ha detto Stefano Mannoni, su cui si fonda lo storytelling della purezza della rete; e ancora, “il mito della gratuità del web, visto che i nostri dati sono la merce di scambio per i servizi online”; infine, quello della non discriminazione delle piattaforme. Che tuttavia non sono immuni dagli argini istituzionali e giuridici, posti in primo luogo dalla commissaria Ue alla Concorrenza Margrethe Vestager, le cui istruttorie aperte e vinte nei confronti di Google & Co sono un esempio da seguire, soprattutto per l’effetto “spillover globale” che stanno dimostrando.
Nonostante la scarsità di risorse, anche “Il nostro Garante Privacy sta in trincea dal mattino alla sera contro il monopolio delle piattaforme digitali”, aggiunge Mannoni. Una lotta impari, quella delle autorità nazionali nei confronti dei big del tech, che tuttavia può contare su un nuovo strumento normativo, il GDPR, il nuovo regolamento Ue sulla data protection, che sta facendo scuola a livello globale ed è già stato preso ad esempio da diversi paesi extra Ue, a partire dal Giappone.
Altri strumenti normativi esistenti possono funzionare, a partire dal principio di non discriminazione e di separazione funzionale da applicare agli operatori verticalmente integrati, che potrebbe fissare la strada per un “unbundling”, uno spacchettamento futuro (quanto meno parziale e graduale) di Google e Facebook a tutela della concorrenza. Insomma, gli stimoli non mancano e nemmeno gli strumenti normativi in anche in difesa del pluralismo contro il populismo galoppante, che si annida sulle piattaforme e sembra inarrestabile: “La Legge Gasparri offre strumenti per chiedere gli algoritmi alle piattaforme – ha detto Mannoni – perché il pluralismo fa aggio sul segreto industriale”.
Focalizzato sulla “grande asimmetria di forze” a favore delle grandi aziende informatiche nei confronti delle autorità regolatorie l’intervento del Senatore Luigi Zanda, secondo cui a maggior ragione in questo periodo il ruolo delle autorità indipendenti è fondamentale. “In questo momento siamo in mezzo al guado della trasformazione digitale – ha detto Zanda – si tratta di un cambio epocale” che nell’era della globalizzazione cambia anche alla radice il modo di fare politica. “Le grandi piattaforme possono condizionare l’economia e l’opinione delle persone, con grande facilità”, dice Zanda, secondo cui la Commissione Ue è soltanto una porzione del mondo. Cina, Russia, Africa hanno idee e regolamentazioni diverse. Il ritardo degli Usa in tema di regolazione del web è dovuto all’opera di lobby delle grandi piattaforme. Ma “la scala del problema è tale che lo risolveremo soltanto con nuove forme di ordine continentale (Ue) e mondiale (Onu) – chiude Zanda – soltanto così si potrà arrivare a governare il fenomeno”.
E mentre aleggia il rischio di una “balcanizzazione di Internet” evocato da Raffaele Barberio, Usa e Cina sono all’attacco dei 500 milioni di cittadini europei. Un target economico appetibile, a difesa del quale da maggio c’è il GDPR. “Il digitale non è un settore dell’economia, ma una cornice dentro alla quale si sviluppa la vita delle persone – ha detto il presidente dell’Autorità Garante della privacy, Antonello Soro – Ma i dati coincidono con le persone, senza un controllo dei nostri dati manca il controllo sulle nostre vite. I dati siamo noi, sono le nostre persone. Se li proteggiamo saremo in grado di proteggere anche la nostra economia”.
“La nuova geografia dei poteri digitali mette in gioco la sovranità nazionale – ammonisce Soro – Dopo il GDPR si è avviato un processo di reazione globale allo strapotere degli attori globali”. Uno degli aspetti più importanti del GDPR è che “le regole europee vengono applicate anche alle imprese che hanno sede fuori dall’Europa”, aggiunge Soro. Sul nuovo regolamento europeo che disciplina la raccolta dei dati degli utenti si stanno modellando anche “Giappone, India, Canada, Australia, segno che il processo globale si è innescato”.