Nessuno sa con esattezza quante siano le IPTV illegali attive nel nostro Paese. Un calcolo approssimativo valuta attorno ai 2 milioni i device pirata utilizzati in Italia, per vedere film, serie tv e programmi televisivi certamente, ma anche e soprattutto gli eventi sportivi.
L’Internet Protocol Television, o IPTV, di fatto rientra tra quesi servizi di streaming con i quali gli utenti fruiscono, previo il pagamento di una somma (alla portata di tutti) a gruppi criminali definiti da sempre “pirati”, della visione di numerosi canali delle migliori Pay TV nazionali ed internazionali, e in particolare delle dirette di eventi sportivi, tra cui le partite di calcio delle più popolari competizioni continentali e non.
Contro questo sistema illegale e criminale è stata avanzata una proposta di legge (“Norme di contrasto alla fruizione illegale di contenuti audiovisivi tutelati dal diritto d’autore e dai diritti connessi”), presentata il 31 ottobre scorso da parte dell’onorevole Alessio Butti, parlamentare di Fratelli d’Italia, che si pone l’obiettivo di contrastare la pirateria audiovisiva, nello specifico relativa alle partite di calcio della Serie A, con una normativa avanzata e strumenti più efficaci.
Guardare i contenuti delle Pay TV senza pagare un regolare abbonamento può, e deve, determinare sanzioni salatissime, non solo agli utilizzatori finali, gli utenti consumatori, ma anche, e soprattutto, a chi esercita tale attività criminale a fini di profitto economico.
Secondo la proposta di legge, per reprimere il fenomeno della pirateria audiovisiva, bisogna colpire direttamente alcune figure chiave di questo business illecito: gli intermediari nella supply chain della pirateria (telcos, marketplace, etc.), ad esempio, che trasportano il segnale; gli streaming server, perchè “bloccato il server, infatti, tutti i meccanismi di interfaccia degli utenti (che fanno uso di applicazioni, siti internet, decoder) sono resi inutilizzabili. E dato che è impossibile intervenire all’estero, se non attraverso procedure lente e inutili (persino attraverso rogatorie internazionali), occorre intervenire sugli Internet Service Provider, gli ISP”, è ben spiegato nel testo.
Occorre in secondo luogo rafforzare le responsabilità delle piattaforme e degli intermediari, in particolare degli ISP, che devono rispondere celermente del loro operato non solo quando esiste un provvedimento dell’autorità giudiziaria o di controllo, ma anche nell’immediatezza del fatto, non appena vengono a conoscenza di un contenuto illegale che passa tra le proprie infrastrutture da parte di una Autorità Indipendente di controllo.
Il provvedimento proposto recita all’articolo 3: “l’Autorità ordina ai prestatori, con provvedimento inaudita altera parte, la disabilitazione all’accesso ai contenuti in diretta sui siti dei fornitori abusivi mediante blocco di tutti gli indirizzi IP e/o i DNS, anche congiunto, provenienti da uno o più server di hosting provider, immediatamente dopo aver ricevuto apposita domanda del titolare dei diritti”.
Il titolare dei diritti è invitato a compilare una lista di indirizzi IP di alcuni server sospetti (quelli che presentino, sulla base di monitoraggio delle settimane precedenti, un volume e traffico di dati tale da destare attenzione e che abbiano come principale scopo di facilitare e veicolare l’accesso ai contenuti illegali) e chiede al giudice, all’inizio della stagione sportiva, ad esempio, un’ingiunzione che viene notificata agli ISP.
Nasce una black list che si aggiorna di continuo.
Sempre all’articolo 3 si legge: “Il titolare di diritti deve inoltrare la domanda chiedendo che, al fine di impedire la fruizione illegale dei contenuti in diretta da parte degli utilizzatori finali, sia adottata immediatamente in tempo reale la misura della disabilitazione all’accesso agli indirizzi IP e/o dei DNS”.
Gli ISP bloccano immediatamente, manualmente o grazie all’utilizzazione di sistemi automatizzati, il flusso dei contenuti in tempo reale e soltanto per il periodo di tempo in cui si giocano le partite.
Successivamente arriverà all’hosting provider una comunicazione che specifica che l’accesso all’indirizzo IP è stato bloccato per ordine del giudice.
L’hosting provider è il servizio che colloca su un server i dati relativi alle pagine di un sito web. Grazie a questo sistema si dà la possibilità ai singoli e alle aziende di far sì che il proprio sito web sia online, quindi fruibile a tutti in ogni momento della giornata.
Ai motori di ricerca va il compito di provvedere immediatamente a deindicizzare i siti web e le pagine Internet incriminate e a eliminare dai propri store online le applicazioni e le pagine internet collegate a piattaforme pirata, subito dopo che sia stato loro notificato il provvedimento.
In Italia tale compito potrebbe spettare all’Agcom, all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, che provvederà all’“ingiunzione” e al controllo della lista degli hosting provider da cui partono gli indirizzi IP incriminati: “Il provvedimento deve essere notificato immediatamente dall’Autorità ai prestatori, ai titolari dei diritti destinatari del provvedimento medesimo, ai motori di ricerca e alle piattaforme”.
Tra le soluzioni avanzate anche la nascita di una Task Force permanente tra AGCOM, ISP e titolari dei diritti (che peraltro già lavorano insieme ma in modo poco coordinato), anche attraverso i truster flaggers, al fine di aggiornare in tempo reale tutte le informazioni relative ai nuovi IP e DNS utilizzati dai pirati, a garanzia dell’ordine di stay down impartito dall’Autorità o del provvedimento immediato previsto dalla presente proposta; dall’altra, prevedere sanzioni molto pesanti per chi non collabora e, soprattutto, non dà corso al provvedimento di blocco dell’acce-so ai contenuti illegali.
Con il sistema del “notice and stay down” si obbligano così le piattaforme a rimuovere i contenuti illeciti tentando di impedire la loro riproposizione sul mercato della distribuzione.
L’atto di omessa esecuzione del blocco dell’accesso ai contenuti illegali, notificato dall’Autorità, sarabbe da considerarsi a tutti gli effetti un reato.