Le entità senza peso che il software e i dati digitali sanno creare ogni giorno convivono con noi umani e con tutti i nuovi smart objects (le neo-cose) che popolano quella che gli informatici hanno chiamato l’Internet of Things o IoT.
I ricercatori non hanno trovato un termine più preciso e originale e hanno chiamato ‘cose’ anche le tante nuove entità hardware che molto spesso non somigliano a un computer ma lo sono a tutti gli effetti. Accade ciclicamente che quando appare qualcosa di nuovo, di inedito, si ha difficoltà a definirlo e siamo portati a usare nominazioni già conosciute. In questo caso dell’Internet delle Cose la parola ‘cosa’ nasconde un universo di chip, circuiti e di algoritmi che trasformano e aumentano le funzioni di ogni oggetto tradizionale (un portachiavi, un orologio, una tazza, un occhiale) trasformandolo in un manufatto post-moderno che solo con il tempo sapremo chiamare con un nome appropriato.
L’Internet delle Cose oggi è fatta di diversi miliardi di nuovi oggetti digitali, dispositivi che parlano, comunicano con noi e soprattutto tra loro spesso senza il controllo degli esseri umani. In una parola, sono diventate ex-cose passive, come la chiave della nostra auto, i sensori indossabili, il frigo wi-fi, i dispositivi di allarme per la casa o le etichette intelligenti a radiofrequenza che grazie ai chip che contengono diventano inter-attive. Sono neo-cose che dialogano con noi e con l’ambiente grazie alla logica che contengono, che li fa vivere e inter-agire, togliendo loro la passività che le cose ‘tradizionali’ del mondo hanno sempre avuto, anche se continuano ad apparirci come oggetti. In altre parole, sono computer nascosti, micro-macchine elettroniche sotto mentite spoglie.
Si stima che sulla Terra di queste nuove neo-cose ‘smart’ ce ne siano più di quattordici miliardi e tra meno di un decennio saranno oltre trenta miliardi. Molti di più degli esseri umani. Le programmiamo, le aiutiamo a connettersi e loro possono cooperare anche senza di noi. Dispositivi indossabili (wearable devices), telefonini, sensori, web cam, droni, elettrodomestici, smartwatch, iBeacon, dispositivi GPS, RFID e smart cards di tutti tipi.
Sono tantissimi e sono capaci di scambiare informazioni, di memorizzare dati, di elaborare informazioni molto più velocemente di noi e senza bisogno di noi. IoT, edge, fog computing, ambient computing, ecc. sono tutte nuove tecnologie che fanno vivere le neo-cose che abitano il nostro mondo, lavorano con noi, e vanno a costituire il nuovo sistema vitale della Terra che agisce per noi senza dipendere da noi, se non per l’alimentazione elettrica. Sono come estese colonie di formiche digitali, alveari di miliardi di api robot, innumerevoli gocce d’acqua binarie che diventano oceano, che si organizzano e operano sempre più autonomamente. Fanno funzionare i trasporti, le grandi città, i centri commerciali, gli ospedali, le nostre auto, le industrie, le abitazioni, e tutte le infrastrutture di comunicazione che servono agli umani. Purtroppo, vanno anche in guerra dentro le nuove armi autonome, dentro i droni kamikaze, nei visori termici, nei missili di ultima generazione. E anche lì stanno cambiando lo scenario delle battaglie e di interi conflitti.
Viviamo in una Terra nella quale dati, algoritmi e chip microscopici hanno assunto un ruolo attivo per imbandire una neo-realtà che aspira a diventare più forte della realtà tradizionale nella quale siamo cresciuti. Più forte di quella che ci è stata lasciata in eredità e che dovemmo saper costudire e proteggere per non vederla sparire sotto l’impatto del Big Bang di miliardi di artefatti pieni di hardware, di dati e di software che rischiano di toglierci il piacere dei gusti semplici, di un momento di noia, dello sguardo su un filo d’erba, di una piccola perdita di tempo che ci possa ricordare le antiche relazioni tra le cose e gli umani. L’Internet originaria (quella fatta di computer e di cavi) ci ha portato all’Internet delle Cose e qui non ci fermeremo.
L’Internet of Behaviors
Già si annunciano altre reti che potrebbero portarci in nuove dimensioni dell’esistenza come l’Internet of Behaviors (IoB) che usa la rete per condividere la raccolta e l’analisi dei dati, l’indagine dei comportamenti delle persone e delle tecnologie che usano. Insomma, l’unione preoccupante di informatica e psicologia.
L’obiettivo del modello IoB è di prevedere il comportamento umano, trarre informazioni dai dati disponibili e persino influenzare il comportamento delle persone in base alle loro attività e ai loro interessi raccolti dalle loro tante interazioni digitali. Le aziende che hanno l’obiettivo di vendere prodotti e servizi possono influenzare il nostro comportamento in base a contenuti mirati che sono vengono curati specificamente per gli individui in base alle loro preferenze e interazioni.
L’Internet of Behaviors cattura la “briciole digitali” lasciate dalle persone nella loro quotidianità, traendole da una varietà di sorgenti. Dati che provengono da numerose fonti, dalle transazioni economiche effettuate dalle persone, dal riconoscimento facciale, dall’uso dei dispositivi connessi alla rete. Insomma, stiamo andando verso l’Internet del Tutto che vorrebbe essere onnipresente nella nostra vita e che, se guidata dagli interessi economici e commerciali, potrebbe piegare i nostri gesti quotidiani a quei fini.
Eppure, c’è un enorme spazio per usare queste potenti tecnologie a servizio delle persone, per aiutare i più deboli, facilitare i cittadini e curare gli anziani, insomma per migliorare il funzionamento della società. Saremo capaci di perseguire questi obiettivi ed evitare che queste straordinarie soluzioni generino maggiori problemi di quelli che risolvono?