Siccome abbiamo l’abitudine di considerare risolto un problema non appena questo non ci riguarda più, negli ultimi anni si è sentito parlare molto meno di digital divide. La fibra ottica, almeno FTTC, è da tempo accessibile in gran parte del Paese e a prezzi molto bassi (su portali come SOSTariffe.it si possono confrontare tra loro le offerte più interessanti del momento) e anche gli smartphone possono contare su una connettività capillare in tutta la penisola, con l’unica eccezione delle zone più remote. E per chi proprio non è raggiunto dalle tecnologie via cavo, ci sono quelle che sfruttano le onde radio, come l’FWA che sta spopolando soprattutto tra quegli utenti che, fino ad ora, avevano dovuto arrangiarsi con risultati spesso non troppo felici, rendendo finalmente la banda ultralarga una realtà non più per pochi, ma per molti.
Ma molti non significa tutti. L’espressione “digital divide” è ritornata in auge con il lockdown dovuto alla pandemia, quando milioni di persone si sono ritrovate improvvisate alle prese con gli inediti strumenti della didattica a distanza e del telelavoro (o più impropriamente smart working). È stato in quel momento che ci si è resi conto che non basta virtualizzare qualsiasi attività quotidiana: bisogna avere gli strumenti per farlo, e per motivi economici e geografici non è così ancora per troppe persone. In modo non dissimile a un vaccino contro il coronavirus, si è quindi verificato quello che è stato chiamato il “COVID connectivity boost”, un grosso sforzo collettivo per colmare il digital divide e rendere Internet accessibile a molte più persone con nuove infrastrutture e misure governative come i voucher da 500 euro per PC, telefono e Internet.
Il muro invisibile della Rete
Se la storia non insegna, il rischio è quello di prima: risolto – almeno parzialmente – il problema dovuto alla comparsa del virus e alla necessità di un migliore accesso per i Paesi più industrializzati, restano tutti gli altri, ancora ben lontani da avere una connettività accettabile. E proprio mentre lo smart working e la didattica a distanza entrano a far parte del nostro vocabolario anche per gli indubbi vantaggi che portano (minore inquinamento per i trasporti, minori spese per gli studenti che dovrebbero altrimenti trasferirsi in città con affitti già molto alti e così via), facendo ipotizzare vari tipi di soluzioni ibride, il gap rischia di diventare sempre più profondo: secondo una delle più recenti stime, infatti, il 37% della popolazione mondiale – 2,9 miliardi di persone – non ha ancora mai usato Internet.
I dati arrivano dall’agenzia delle Nazioni Unite specializzata nel settore ICT, l’ITU, International Telecommunication Union, che ha mostrato sia quanto il miglioramento nell’ultimo biennio sia stato significativo sia quanto ci sia ancora da fare e come rischi di aggravarsi il divario tra chi può accedere alla Rete tutti i giorni quasi gratis e chi non può farlo mai. Il 96% di chi non sa nemmeno come sia fatto il web vive in Paesi in via di sviluppo, e anche gli abitanti che possono collegarsi di solito lo fanno su dispositivi condivisi, o comunque con scarsa frequenza e con velocità molto basse, che di fatto rendono impossibile proprio il ricorso alla telepresenza, sempre più sollecitata negli ultimi mesi.
Gli aumenti durante la pandemia
Secondo il segretario generale dell’ITU, Houlin Zhao, «Anche se quasi due terzi della popolazione mondiale ora è online, c’è ancora molto da fare per connettere tutti a Internet. L’ITU lavorerà con tutte le parti coinvolte per far sì che i mattoni siano al loro posto per connettere gli altri 2,9 miliardi di persone. Siamo determinati ad assicurare che nessuno rimanga indietro».
Per quanto riguarda il “COVID connectivity boost”, i dati sono impressionanti, e dimostrano come quando c’è da fare di necessità virtù si possa fare davvero molto, e che spesso è soprattutto una scelta politica quella di non intervenire per migliorare la connettività globale. Il ricorso massiccio all’e-commerce, all’online banking, ai servizi governativi in rete (si pensi allo SPID in Italia, ora richiestissimo, tanto che pochi mesi fa si è superata la soglia dei 20 milioni di utenti) ha fatto sì che dal 2019 si sia reso Internet accessibile a ulteriori 782 milioni di persone, per un aumento del 17%.
Tutti con un cellulare, ma pochi con Internet
Anche i migliori valori servono a poco se si rivelano un exploit momentaneo. Secondo il report annuale dell’ITU, Facts and Figures, il numero degli utenti di Internet è cresciuto globalmente del 10% solo nel primo anno della pandemia, di gran lunga l’incremento più alto degli ultimi dieci anni. Ma nel 2021 la crescita è tornata al 5,8%, un valore molto più simile a quelli del passato: se da una parte questo è ovvio – meno gente rimane da connettere, minore sarà l’incremento annuale – dall’altra c’è il rischio che passata l’emergenza non si faccia tesoro di quanto appreso durante i lockdown e si continui a ignorare le zone più povere del mondo. Ancora, l’analogia con i vaccini è immediata: come si è visto con il sorgere della variante Omicron, non è sufficiente avere altissime percentuali di individui vaccinati nei Paesi più ricchi, se poi in alcune nazioni la percentuale è molto, molto più bassa (sia per carenza di dosi sia, come è capitato in Sudafrica per difficoltà soprattutto logistiche).
Tutto questo è, oltre che un problema di analfabetismo, di gap tra i sessi (gli uomini accedono a Internet molto più delle donne), di differenza tra le aree rurali e quelle urbane, soprattutto un problema di costi: nei Paesi meno sviluppati, i cosiddetti LDC, anche un abbonamento a Internet entry-levelha un prezzo molto poco abbordabile per la grande maggioranza della popolazione, tanto che solo in 4 di queste nazioni su 43 (per le quali è stato possibile ottenere dei dati) gli abbonamenti sono alla portata. E dire che i dispositivi ci sarebbero: ci sono solo tre Paesi, tra quelli analizzati dal report ITU, in cui la percentuale di telefoni mobili rapportata alla popolazione è inferiore al 50%; tutti gli altri sono abbondantemente sopra, e per metà delle nazioni del mondo più del 90% degli abitanti ha a disposizione un cellulare.