Perché le startup italiane non sono diventate negli anni dei giganti del web? Perché tutti gli Over the Top non sono nati in Italia? Pioggia di fondi pubblici stanziati in maniera non oculata e scarsi investimenti di privati. Finalmente le risposte a queste due domande, che da anni ci rivolgiamo, sono state date oggi durante l’Internet Day, l’evento che si è tenuto a Roma per festeggiare i 31 anni di Internet in Italia. La manifestazione è stata organizzata da Agi e Censis e patrocinato da Confindustria digitale. Era il 30 aprile del 1986 quando da Pisa, sede del Centro nazionale universitario di calcolo elettronico (Cnuce), l’Italia fu per la prima volta collegata a Internet.
Calenda: basta fondi a pioggia, sì a incentivi fiscali solo a chi investe
L’indice contro gli hub delle startup è stato puntato da Carlo Calenda, ministro dello Sviluppo Economico, uno dei principali relatori. Nonostante da poco tempo alla guida del Mise, Calenda ha capito subito qual è stato il freno della crescita digitale in Italia: “dire che le startup sono solo quelle che investono nel digitale è una fesseria, perché per anni abbiamo creato incubatori che erano solo speculazioni edilizie”. “Addirittura”, ha aggiunto il capo del dicastero, “per un periodo ci sono stati più fondi che startup: quando sono arrivato al Mise c’erano incentivi a bando che definivano settori di specializzazione: si sono accumulati 7,5 miliardi di fondi non spesi, i primi 2,5 li ho cancellati”. Ecco allora in che modo il ministro Calenda ha cambiato marcia per rilanciare definitivamente (si spera) le startup italiane. Con il Piano Nazionale Industria 4.0, che considera la rivoluzione digitale su tutti i settori, si è deciso di:
- Fermare gli incentivi a bando, tranne quelli europei.
- Avviare invece un piano di incentivi fiscali automatici per gli imprenditori “perché se non ce la fa fallisce lui non lo Stato” ha dichiarato Calenda.
- Meno burocrazia. “Non più l’obbligo di andare al ministero a chiedere timbri, ma la domanda per accedere ai fondi si compila dal commercialista”
- Dichiarare al fisco le entrate perché altrimenti non si può godere degli incentivi fiscali.
- Il Mise dà i soldi solo all’imprenditore che realmente investe.
Davide Casaleggio: investire 20 volte di più sulle startup italiane
Ma i soldi pubblici sono utili, ma non sufficienti per far decollare le startup italiane. È stato questo il senso dell’intervento di Davide Casaleggio, figlio del defunto fondatore del Movimento 5 Stelle. “Solo 162 milioni di euro sono stati investiti nel 2016 dai privati sulle startup nate in Italia”, è questo il primo dato sconcertante comunicato da Casaleggio, titolare di una società specializzata in servizi digitali. Sembrano tanti soldi? Lo scorso anno in Gran Bretagna le startup hanno ricevuto 3,2 miliardi euro da parte di Venture Capital, in Francia il dato è quello più in crescita, pari a 2,7 miliardi di euro fino ai 2 miliardi della Germania. “Finanche il Belgio, grande quanto una regione d’Italia, ha stanziato più fondi per i propri startupper”, ha detto Casaleggio, che ha aggiunto: “Occorre investire 20 volte di più, in particolare sull’intelligenza artificiale”. Infine ecco le sue 5 proposte per far spiccare il volo alle startup nostrane.
- Più investimenti statali
- Stimolare le università
- Investire nelle infrastrutture
- Incentivi fiscali a chi investe nell’AI
- Incentivi fiscali a chi sviluppa AI
Internet day, ‘Senza il traino della PA l’Italia digitale non decolla’
La rivoluzione digitale stenta ad arrivare in Italia anche perché la Pubblica amministrazione le chiude molte porte. “Se la PA non fa da traino l’Italia digitale non decolla” ha dichiarato Elio Catania, presidente di Confindustria Digitale, durante l’Internet Day e il suo avvertimento è diretto a Diego Piacentini, Commissario Straordinario per l’attuazione dell’Agenda Digitale. Catania ha anche espresso il suo giudizio su un altro tema di discussione dell’evento, la web tax: “sarebbe controproducente perché non riguarderebbe solo gli Over the Top, ma tutte le aziende digitali, meglio una revisione della base imponibile”.
La web tax piace a più della metà degli italiani
E la web tax è stato oggetto di un panel durante l’evento Internet Day che si è svolto al museo Maxxi di Roma. Tra i relatori Francesco Boccia (PD), presidente della Commissione Bilancio della Camera, che dal 2013 punta all’approvazione del disegno di legge che introduce una tassazione per i giganti del web: “Perché gli Over the Top non devono pagare le tasse così come fanno le altre imprese?”, ha detto Boccia, che ha aggiunto: “Inutile aspettare una legge europea perché non tutti gli stati membri sono d’accordo, meglio essere noi i primi a farlo”.
La web tax è stata anche una delle domande che il Censis ha rivolto al campione scelto per lo studio “Uomini, robot e tasse: il dilemma digitale”: più della metà della popolazione (55%) dice sì alla web tax, la tassa sui profitti generati nel nostro Paese dai grandi di internet. Però il 27,6% degli intervistati ritiene che la questione non possa o non vada affrontata a livello nazionale ma che vada demandata a un livello sovranazionale come l’Unione Europea perché si teme un aumento dei prezzi per i servizi offerti agli utenti.