l'analisi

Internet aumenta l’odio online oppure no? Cosa dicono Microsoft e Trustpilot

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Non c’è da stupirsi più di tanto se in questi giorni circolano due studi sull’odio online che sembrano dire cose opposte, uno di Microsoft e uno di Trustpilot. Chi ha ragione?

Rubrica settimanale SosTech, frutto della collaborazione tra Key4biz e SosTariffe. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

Di, e su, Internet si può dire tutto. La Rete è ormai grande a sufficienza da contenere materiale per ogni argomentazione e per il suo contrario, tanto che chiunque, armato di sufficiente pazienza, può trovare intere bibliografie a supporto delle tesi più bislacche, da tirar fuori al momento opportuno del dibattito mostrando che, sì, è senz’altro vero, perché l’ha detto Tizio, perché ci ha scritto un articolo Caio, perché lo sostiene il Nobel Sempronio. Il complottismo è l’esempio più evidente: non c’è teoria assurda che non abbia da qualche parte il suo manipolo di agguerritissimi sostenitori, tutti convinti di essere gli unici in grado di vedere la Verità, mentre gli altri si bevono le storie dei poteri forti (quali? Chissà).

Per questo non c’è da stupirsi più di tanto se in questi giorni circolano due studi sull’odio online che sembrano dire cose opposte, uno di Microsoft e uno di Trustpilot, uno che dipinge una comunità semi-idilliaca fatta di grazie prego e buonasera, e l’altro secondo il quale il nostro è un girone infernale popolato da frustrati che si incollano allo schermo appena possono per insultare chiunque gli si pari loro davanti, l’attivista, l’influencer, il politico, l’artista, il virologo (e le relative combinazioni). Chi ha ragione, dunque?

L’odio online e l’indice di civiltà di Microsoft

Partiamo da Microsoft, che parla entusiasticamente di un aumento della “civiltà online”, con un clima che in Rete sarebbe il migliore dal 2016. La ricerca è stata condotta in 22 Paesi e ha diviso il campione in due categorie, da una parte i teenager dai 13 ai 17 anni, dall’altra gli adulti da 18 ai 74, in relazione a 21 rischi online divisi in quattro categorie (reputazionale, comportamentale, sessuale e personale); il tutto, tramite algoritmo (parliamo pur sempre di Silicon Valley), definisce il Digital Civility Index (DCI), che in soldoni dovrebbe dirci che clima c’è quando ci colleghiamo online (più basso è, meglio è). Ebbene, pare che l’indice quest’anno sia al 65%, 2% in meno rispetto all’anno scorso, e che quindi le percezioni della Rete come un posto meno civile di un tempo siano, appunto, solo percezioni. Chi è meno convinto del miglioramento sono le donne (teenager e adulte), che hanno percepito un’esposizione superiore ai rischi online e ne hanno patito le conseguenze.

Dopo aver ricordato i quattro principi a cui attenersi nelle interazioni online (agire con empatia e gentilezza e trattare chiunque con rispetto; rispettare le differenze ed evitare gli attacchi personali quando si è in disaccordo; fermarsi prima di rispondere a cose con cui non siamo d’accordo; difendere chi è oggetto di abuso o crudeltà online), il report termina in un modo un po’ surreale con il testo di una canzone-manifesto scritta dal “Concilio per il Bene Digitale 2021» di Microsoft, con versi come «non diffondiamo o accettiamo l’odio / perché a volte un ‘mi dispiace’ può arrivare troppo tardi» e «speriamo di installare un miglior mondo online». Il che, a seconda della prospettiva, può essere motivante o rasentare il sermone di un telepredicatore particolarmente infervorato, anche se sui principi è difficile essere in disaccordo.

Prima di rispondere, contare fino a dieci

Di parere opposto, come detto, Trustpilot, che di rabbia online è assai esperta, visto che le sue recensioni – il sito è il più noto e prestigioso tra quelli che permettono di dare il voto a un’azienda o a un servizio – mettono in bella mostra la frustrazione e la collera di chi si è visto arrivare i prodotti ordinati con mesi di ritardo, è stato trattato male da un dipendente, in teoria insomma vuole far conoscere ad altri potenziali utenti i rischi che si corrono affidandosi alla tal ditta, in pratica vuole sfogarsi per il trattamento ricevuto – e farlo sciorinando insulti che mostrano un’encomiabile quanto recente lettura di un dizionario di sinonimi e contrari.

Secondo Trustpilot, proprio i mesi della pandemia hanno portato a un aumento dell’odio online, a causa della crisi in cui è precipitato il pianeta negli ultimi due anni; non occorre essere psicologi per capire quanto siano state varie e diverse le strategie per venire a patti con il coronavirus, anche sviluppare l’odio verso il prossimo. Per il 39% degli intervistati (un campione di adulti dai 18 anni in su in Italia, Regno Unito, USA, Australia, Paesi Bassi e Francia) il fenomeno si è aggravato proprio a causa dei limitati contatti faccia a faccia degli ultimi due anni e per l’aumento della comunicazione online: una persona su tre ammette di essere più aggressiva dietro a una tastiera rispetto a una comunicazione faccia a faccia. Anche se originato da una diversa visione della situazione odierna, il consiglio di Claudio Ciccarelli, Country Manager di Trustpilot in Italia, è molto simile a quello di Microsoft: «Quando si tratta di conversazioni online, è essenziale ricordare a tutte le parti in causa di prendersi un momento e rammentare quanto prezioso possa essere il feedback per i nostri interlocutori: oggi più che mai è importante comunicare in modo ponderato».

Un problema di prospettive

Siamo online circa sei ore al giorno, un paio delle quali passate sui social, grazie anche al fatto che non solo Internet fisso, ma anche Internet mobile ormai non dà quasi limiti alla navigazione grazie alle ampie dotazioni di giga di pressoché tutti gli operatori (basta dare un’occhiata alle diverse offerte low-cost disponibili su SOSTariffe.it). Lo studio di Trustpilot mostra come i giovani e i giovanissimi siano – non sorprende – quelli meno propensi a dare la colpa ai social media per la crescita dell’odio online, considerati invece dal 38% della popolazione tra i 35 e i 44 anni i principali responsabili; e sono sempre i giovani ad ammettere di essere più supponenti online rispetto alle interazioni dal vivo (il 3% dei ragazzi tra 18 e 24 anni e il 36% tra i 25 e i 34 anni), laddove gli over 55% si giudicano tali solo in meno del 20% dei casi.

Anche qui, due diversi modi di vedere la cosa: la maggiore educazione di chi ha un’età non più verdissima, o l’incapacità a riconoscere, al grido di «sono fatto così», difetti nel proprio carattere quando ormai le abitudini sono troppo radicate per essere cambiate? la Rete, ancora una volta, ha troppi lati per poter essere riassunta in una formula di comodo, e tutto dipende dalla posizione da cui la osserviamo – e se ci consideriamo o meno parte del quadro.

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