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Instagram, online su un database non protetto dati di 50 milioni di Influencer

Privacy e social network, ci risiamo. Dati di 50 milioni di utenti, per lo più di influencer e celebrità, sono stati trovati in un database allocato su un serve AWS, Amazon Web Services, senza alcuna password di protezione: chiunque poteva entrare e prelevare i dati.

Un nuovo scandalo privacy proveniente dall’Universo Facebook, in quanto Mark Zuckerberg è proprietario del popolare social network acquistato nel 2012 per la modica cifra di 1 miliardo di dollari.

A fare la scoperta è stata la testata americana TechCrunch, dopo essere stata allertata dal ricercatore Anurag Sen. Secondo quanto riporto dal quotidiano, l’archivio conteneva i dati di 50 milioni di utenti. Tra i dati che è possibile ricavare tutta la biografia dell’utente, la foto del profilo, il numero di follower, se sono verificati o no, la località (città e nazione) ma anche le informazioni di contatto private, come l’indirizzo email dell’account Instagram e il numero di telefono del proprietario dell’account.

L’azienda proprietaria del database: Chtrbox

Il ricercatore, attraverso le sue rilevazioni, è riuscito a risalire al proprietario del database che è la società Chtrbox, con sede a Mumbai, che si occupa di social media marketing e che lavora proprio con gli influencer per pubblicare contenuti sponsorizzati sui loro account. E, infatti, tra i vari dati rintracciati, c’erano anche quelli riferiti alla capacità di influenza di ciascun influencer, in base al numero di follower, capacità di interazione, portata potenziale, “like” e singole condivisioni.

Il secondo episodio in pochi anni

Il database è stato messo offline poco dopo la richiesta di spiegazioni dalla società indiana. Intanto da Facebook, un portavoce ha fatto sapere che la società sta esaminando il problema «per capire se i dati descritti, inclusi i numeri di e-mail e di telefono, provenivano da Instagram o da altre fonti.

Un episodio simile era già avvenuto un paio di anni fa, dopo che era stato scoperto un bug nelle API che aveva poi costretto la società di proprietà di Facebook ad attuare una stretta, in modo da limitare le richieste.

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