In estate sembrerà di vivere in Egitto, oppure in Turchia, comunque in una delle caldissime città del Medio Oriente. Così il Climate Central vede i principali centri urbani italiani, europei e mondiali nell’estate del 2100.
In un nuovo studio sui cambiamenti climatici, il centro di ricerche indipendente, formato da giornalisti e scienziati, calcola che città come Roma, Milano e Napoli avranno estati progressivamente più calde e secche, tanto da somigliare ai forni urbani del Mediterraneo orientale.
Le cause? Ovviamente sono tante e non tutte ancora abbastanza chiare, anche da un punto di vista scientifico, ma le emissioni di anidride carbonica, la famigerata CO2, e gli altri gas climalteranti restano sempre gli imputati numeri uno (non tutta la comunità scientifica è d’accordo sulla correlazione diretta +CO2/+caldo).
Lo studio offre inoltre una mappa digitale interattiva, dove è possibile selezionare la città che ci interessa e vedere in animazione a che tipo di clima urbano si andrà incontro se non si interverrà rapidamente in chiave di low carbon economy.
Ad esempio, se a Roma la temperatura media finora registrata in estate è stata di 27 gradi centigradi, entro il 2100 potrebbe arrivare ad essere pari a 33°C, che significa tanti giorni passati con temperature prossime e superiori ai 45°C.
Se Milano ha oggi una temperatura media estiva di 25°C, potrebbe raggiungere facilmente i 32°C, anche qui con punte frequentemente superiori ai 40°C per lunghi periodi.
Torino, addirittura, potrebbe registrare l’aumento medio più notevole, anche superiore ai 7°C, passando dal valore medio attuale di 20,3°C a quello stimato di 27,5°C.
Un trend che ovviamente riguarda tutte le città del mondo, con Londra e Amburgo che potrebbero registrare un aumento della temperatura media estiva di circa 5°C, Berlino di ben 6°C, Mosca e New York di 7°C, con i record terribili di Madrid, Belgrado e Sofia che vedrebbero addirittura schizzare in alto la temperatura media estiva anche di 14-15°C.
Solo il taglio delle emissioni di gas serra e CO2 potrebbe aiutarci a contenere questa esplosione termica all’interno dei 30°C di media, come è oggi in Spagna e sulle coste nordafricane.
Ma cosa fare dunque per evitare questo quadro climatico dai toni drammatici, se non tragici? La risposta è sempre nel paradigma smart city. Nel 2050 più di 2,5 miliardi di persone vivranno in aree urbane. Nel 2100 le città/megalopoli potrebbero essere abitate da 7 miliardi di esseri umani (secondo le Nazioni Unite, circa l’80% della popolazione della Terra stimata per quella data).
Più aumentano gli abitanti del pianeta, più cresce l’inquinamento.
Oltre a contenere l’aumento dei gas serra, si deve contemporaneamente diminuire la pressione demografica.
Le città, come oggi le vediamo e le viviamo, sono degli straordinari centri di assorbimento dell’energia solare. I materiali che le costruiscono assorbono e moltiplicano il calore. Nasce così l’effetto “isola di calore”, a cui si somma quello nocivo delle emissioni termiche di veicoli e condizionatori.
Serve un rapido piano di interventi, in parte caratterizzato da innovazione tecnologica, in parte da piccoli interventi quartiere per quartiere per realizzare aree verdi. Grazie alle fonti energetiche rinnovabili (come i pannelli solari sui tetti della città) possiamo ottenere energia elettrica a zero emissioni. Ci si può spostare su veicoli pubblici elettrici. Si può dotare ogni condominio o quartiere di microgeneratori e micro reti di distribuzione. Grazie al settore detto smart buildings, si possono realizzare palazzi interi con criteri di efficienza energetica massima e ottimizzazione delle risorse idriche.
Ma il verde, la vegetazione da sola, può fare molto. Tappezzando di alberi e piante le pareti dei palazzi e le strade, la temperatura media in città può essere abbassata e tenuta sotto controllo.
La diffusione delle piante, spiega una nota Ansa dedicata al progetto, non solo lungo i viali, nei parchi e nei giardini, ma anche sulle facciate degli edifici, consentirà ad una città già autosufficiente dal punto di vista energetico di contribuire a migliorare la qualità dell’aria (assorbendo oltre alla CO2 le polveri sottili per un totale di circa 57 tonnellate all’anno), di ridurre la temperatura media, di generare una barriera al rumore e di aumentare la biodiversità delle specie viventi, creando un sistema di spazi vitali per gli uccelli, gli insetti e i piccoli animali che abitano il territorio di Liuzhou.
Non bisogna mai dimenticare, inoltre, che le ondate di calore, quelle forti (niente a che vedere con questa in corso nel Mediterraneo occidentale), sono molto pericolose per la vita dell’uomo. Un recente studio dell’università hawaiana di Manoa, ha esaminato la letteratura scientifica documentando i casi di “mortalità supplementari associati ad ondate di calore”, tra il 1980 e il 2014.
Questa diagnostica ne ha identificati 783, osservati in 164 città di 36 Paesi.
Tra questi ci sono la canicola dell’estate 2003, che aveva provocato 70.000 morti in più in Europa, di cui 20.000 in Francia, e circa 5.000 a Parigi; quella del 2010, a cui sono imputati 55.000 decessi in più in Russia, di cui circa 11.000 a Mosca; e quella che aveva colpito Chicago a luglio del 1995, responsabile di più di 700 morti.