Brexit, il Regno Unito accetta di negoziare prima i termini del divorzio
20 giu 10:42 – (Agenzia Nova) – Nel primo giorno di negoziati sulla Brexit, riferisce il “Financial Times”, il Regno Unito e l’Unione Europea hanno concordato di concentrare la fase iniziale sui termini del divorzio e sui diritti dei cittadini comunitari: Londra, dunque, ha accettato la sequenza chiesta da Bruxelles. Sia il segretario britannico per l’Uscita dall’Ue, David Davis, che il capo negoziatore della Commissione europea, il francese Michel Barnier, hanno espresso fiducia nella possibilita’ di raggiungere un’intesa, pur sottolineando che sara’ una corsa contro il tempo. “Sia per l’Ue che per il Regno Unito un accordo equo e’ possibile e preferibile a nessun accordo”, ha affermato Barnier, promettendo che non ci sara’ alcuna ostilita’ e che la Commissione lavorera’ col Regno Unito, non contro. Davis ha parlato di un accordo “ambizioso, ma realizzabile” e ha cercato di minimizzare sul cedimento di Londra sull’ordine dei colloqui – la Gran Bretagna, infatti, avrebbe voluto trattare in parallelo le condizioni di uscita e quelle della nuova partnership – sostenendo che l’importante non e’ come inizia il negoziato, ma come finisce. Il ministro, inoltre,ha assicurato che niente e’ cambiato rispetto a prima delle elezioni politiche dell’8 giugno in cui la premier, Theresa May, ha perso la maggioranza assoluta. Le parti hanno concordato di istituire tre gruppi di lavoro che si occupino dei dettagli del ritiro del paese uscente: uno incaricato dell’accordo finanziario; uno dello status dei cittadini europei che risiedono in Gran Bretagna e dei britannici residenti negli altri Stati membri; uno delle altre questioni legali connesse alla separazione. Londra presentera’ la sua offerta sui cittadini comunitari la prossima settimana. Ogni mese ci sara’ una settimana di negoziati, con una pausa per le attivita’ tecniche e le consultazioni. Un’altra questione di rilievo, affrontata separatamente, e’ quella della frontiera nordirlandese: il tema, trattato dai vice negoziatori, ha ammesso Davis, e’ quello che ha assorbito piu’ tempo, per la sua delicatezza politica. Barnier e Davis, accompagnati dalle loro squadre negoziali al completo, hanno aperto la giornata con una sessione plenaria al settimo piano del Palazzo di Berlaymont a Bruxelles. A seguire un incontro a due e un breve pranzo di lavoro con alcuni dei negoziatori. I due interlocutori si sono scambiati cordialita’ e regali legati alla comune passione per la montagna: Davis ha portato in dono un’edizione rara di “Regards vers l’Annapurna” di Maurice Herzog, Barnier un bastone da montagna tipico della sua regione, la Savoia.
© Agenzia Nova – Riproduzione riservata
Repubblica Centrafricana, governo e gruppi armati firmano accordo di pace con la mediazione della Comunita’ di Sant’Egidio
20 giu 10:42 – (Agenzia Nova) – Il governo della Repubblica Centrafricana e 13 dei 14 gruppi armati attivi nel paese hanno firmato lunedi’ un accordo di pace teso a interrompere il conflitto etnico e religioso che ha ucciso migliaia di persone in quel paese. L’accordo e’ stato mediato dalla Comunita’ di Sant’Egidio, un’organizzazione volontaria Cattolica sostenuta dal Vaticano e dal governo italiano, e firmato presso la sede della Comunita’ a Roma. La Repubblica Centrafricana e’ preda di sanguinosi conflitti inter-etnici e religiosi dal 2013, quando i ribelli musulmani Seleka hanno assunto il potere, innescando la reazione delle milizie cristiane anti-Balaka. La Comunita’ di Sant’Egidio ha negoziato la fine della guerra civile in Mozambico nel 1992, ed ha lavorato a una cessazione delle ostilita’ nella Repubblica Centrafricana per mesi. Frattanto, fonti delle Nazioni Unite hanno annunciato che l’Onu rimandera’ a casa gli oltre 600 “caschi blu” del battaglione congolese dislocato nella citta’ di Berberati, nella Repubblica Centrafricana, perche’ accusati di stupri, traffico illegale di carburante ed altre infrazioni disciplinari. L’annuncio ufficiale dovrebbe giungere nella giornata di oggi martedi’ 20 dallo stesso segretario generale Antonio Guterres. La decisione arriva in base allo sconvolgente rapporto del generale senegalese Balla Keita della Missione Onu di stabilizzazione del Centrafrica (Minusca), il quale denuncia di aver inutilmente tentato piu’ volte in passato di riportare all’ordine le truppe congolesi.
© Agenzia Nova – Riproduzione riservata
Libia, presidente Noc Sanallah: proteggere il petrolio dalla politica per salvare il paese da se’ stesso
20 giu 10:42 – (Agenzia Nova) – Opportunisti di tutti i colori, locali e internazionali, hanno tentato per anni di approfittare dell’instabilita’ della Libia per limitarne la produzione petrolifera, e la recente crisi diplomatica innescata nel Mondo arabo dal boicottaggio del Qatar sta offrendo loro una nuova opportunita’ in questo senso. A scriverlo, sulle pagine del “New York Times”, e’ Mustafa Sanallah, presidente della National Oil Corporation libica (Noc). “Uno dei diversi gruppi che si proclamano il legittimo governo della Libia stanno sfruttando la disputa come pretesto per assumere il controllo delle esportazioni di petrolio e gas naturale nazionali”, accusa Sanallah. “La Noc, riconosciuta a livello internazionale come organismo responsabile della gestione di quelle risorse, e’ stata accusata di essere al servizio del Qatar, cui invierebbe i proventi petroliferi tramite un cliente”. il presidente della compagnia libica respinge seccamente tale accusa: “E’ falsa – scrive Sanallah – ma getta una luce sulla tragica situazione della Libia”, che dalla rivoluzione del 2011 “ha visto le proprie risorse petrolifere ostaggio della sua riottosa politica e dei giochi di potere mediorientali”. Il presidente della Noc riassume l’attuale quadro politico libico: “Due soggetti rivendicano la leadership nazionale; uno ha sede a Tripoli, ed e’ sostenuto dai governi occidentali, da Turchia e Qatar; l’altro e’ basato a Tobruk, ed e’ appoggiato da Arabia Saudita, Egitto e Russia”. I rappresentanti di entrambi i “governi” hanno raggiunto un accordo nel dicembre 2015, “riconoscendo la Camera dei rappresentanti di Tobruk come parlamento ufficiale del paese, assegnando un importante ruolo consultivo al precedente parlamento – il Consiglio generale nazionale con sede a Tripoli – e istituendo un governo di accordo nazionale ad interim per mediare tra le due parti”. L’accordo, scrive Sanallah, non e’ servito pero’ a ridare stabilita’ al paese, e il caotico scenario politico ha causato “un impatto disastroso sull’economia”: la Banca mondiale stima che nel 2016 il prodotto interno lordo pro-capite libico sia crollato di quasi due terzi rispetto al periodo pre-rivoluzionario. “Gran parte dei problemi libici piu’ noti – i conflitti interni, il terrorismo, la pirateria, il traffico di droga e esseri umani – hanno la loro causa fondamentale nella combinazione del collasso politico ed economico”. “Sotto il controllo di Muammar Gheddafi – prosegue il presidente della Noc – la Libia era un classico petrolstato, e di fatto lo e’ ancora oggi. L’assoluta dipendenza da petrolio e gas, che generano il 95 per cento delle entrate garantite dall’export, hanno trasformato le lotte politiche intestine in uno scontro in cui il vincitore incassa tutto il banco”. L’importanza del petrolio negli equilibri politici ed economici nazionali ha spinto ogni soggetto istituzionale e para-istituzionale a tentare di assumere il controllo di quella risorsa. La Guardia delle infrastrutture petrolifere, ad esempio, “e’ degenerata in una banda di fuorilegge locali”, che tra il 2013 e lo scorso settembre “ha bloccato la quasi totalita’ dei principali porti petroliferi libici, tentando di farne un ostaggio per ottenere riscatti in denaro e maggior potere politico”. Questa situazione, scrive Sanallah, “e’ costata al paese oltre 120 milioni di dollari in mancati proventi petroliferi, e il prosciugamento quasi totale delle sue riserve”. Gli avversari della Guardia delle infrastrutture e lo Stato islamico hanno attaccato i porti, “causando danni per miliardi di dollari”. La Noc, pero’, “si e’ anche dovuta misurare con gli assalti alla sua indipendenza come organo decisionale”: la scorsa primavera, “il Consiglio di presidenza appoggiato dall’Onu, che supervisiona il Governo di accordo nazionale, ha emanato un decreto con cui si appropria delle principali funzioni della Noc, come il diritto di negoziare gli accordi di concessione alle compagnie straniere e di stabilire i prezzi di vendita del petrolio libico”. Il decreto e’ stato bloccato da una corte di Bengasi, ma “non e’ possibile escludere attacchi analoghi in futuro”. Il governo libico orientale, “una tenue alleanza di forze federaliste, dell’ultimo parlamento libico eletto e dell’Esercito nazionale libico”, controlla gran parte dei porti petroliferi libici, “ma non puo’ esportare legalmente il petrolio, perche’ una risoluzione del Consiglio di sicurezza Onu riserva quel diritto al Governo di accordo nazionale di Tripoli”. Intrappolata tra queste rivalita’, conclude Sanallah, la Noc non puo’ fare altro che mantenere la propria neutralita’, “sino all’emersione di un singolo governo legittimo cui rimettersi”. Nel frattempo, “va tutelata l’integrita’ della compagnia,che ad oggi e’ forse l’unica istituzione ancora funzionale nell’intero paese”. Sanallah chiede che il mandato dell’operazione navale europea Sophia, recentemente esteso per un anno dall’Onu, venga ampliato per contrastare “il contrabbando di petrolio e interdire le petroliere abusive”. L’autore dell’editoriale propone anche di emendare l’accordo politico del 2015 per sancire in maniera formale l’integrita’, l’autorita’ e la neutralita’ della Noc. Quest’ultima “deve operare con la massima trasparenza, e a questo proposito sono lieto di sottoporre a scrutinio i libri contabili”, afferma Sanallah. Lo stesso, pero’ – puntualizza il presidente della compagnia – dovrebbero fare la banca centrale e il ministero delle finanze libici. La Noc prevede che presto la produzione petrolifera libica tornera’ a superare il milione di barili giornalieri per la prima volta dal 2013. Si tratta, ammonisce l’autore dell’editoriale, “di una opportunita’ per rimpinguare le riserve finanziarie e riavviare l’economia, anche utilizzando gli investimenti del settore petrolifero per promuovere lo sviluppo industriale locale”. La priorita’, pero’, resta “mettere in sicurezza il settore petrolifero libico dalle rivalita’ interne e internazionali”.
© Agenzia Nova – Riproduzione riservata
Venezuela, non passa il documento del Messico sulla crisi di Caracas
20 giu 10:42 – (Agenzia Nova) – Come previsto, le Americhe non hanno trovato l’intesa per una strategia comune sulla crisi in Venezuela. E’ infatti andato a vuoto il tentativo di far approvare un documento ai ministri degli Esteri dei paesi dell’Osa (Organizzazione degli Stati americani), riuniti a Cancun per la sessione preliminare dei lavori dell’Assemblea generale. Il testo esprimeva “profonda preoccupazione per la situazione politica, economica e sociale in Venezuela”, denunciando “la crescente violenza e divisione tra Governo e opposizione”. Un documento promosso dal Messico e che contava sull’appoggio di altri 13 paesi, tra cui Stati Uniti, Colombia, Brasile, Argentina, Canada e Peru’. Mancavano pero’ i consensi del blocco dei paesi caraibici e “bolivariani” (paesi a guida socialista, vicini al governo venezuelano del presidente Nicolas Maduro). Per strappare qualche voto in piu’ e arrivare alla soglia dei 24 voti favorevoli – sui 34 seggi esistenti -, la diplomazia messicana guidata dal ministro degli Esteri Luis Videgaray aveva sfumato anche un passaggio chiave, trasformando il “rifiuto” posto alla convocazione dell’Assemblea costituente decisa da Caracas in un invito “a riconsiderarla”. La proposta, segnala il quotidiano “El Pais”, si e’ pero’ irrimediabilmente incagliata sull’ultimo paragrafo, quello che suggeriva la nascita di un organismo terzo in grado di favorire il dialogo tra governo e opposizione. Elemento “interpretato dalla delegazione bolivariana come anticamera di un intervento militare, cosi’ come scritto nella Carta democratica”, lo “statuto” dell’Osa. “Molto si e’ detto di una crisi umanitaria, ma era solo una scusa per giustificare un intervento in Venezuela”, ha denunciato la ministro degli Esteri venezuelana Delcy Rodriguez, “star” mediatica della giornata. La nutrita delegazione del Venezuela ha impegnato la giornata per attaccare il complotto ordito dagli Stati Uniti prima di sfilarsi platealmente dai lavori: “Fino a quando saremo un paese libero non tornero’ in questa Assemblea”. I lavori proseguono oggi, ma nessuno si mostra fiducioso su un cambio di rotta. Le notizie che arrivano dal Venezuela, intanto, sono tutt’altro che rassicuranti. Un altro giovane, 17 anni, e’ morto per un colpo di pistola nel corso degli scontri tra le forze di sicurezza e i manifestanti intenti a raggiungere la sede del Consiglio nazionale elettorale. Secondo le stime piu’ accreditate, si tratta della 76esima vittima in 80 giorni di proteste. Rimane dunque alta la polemica sull’uso della forza da parte di polizia ed esercito venezuelani. In giornata ha avuto ampia eco la notizia che il governo brasiliano ha proibito l’esportazione di gas lacrimogeno in Venezuela. Trattandosi di “materiale militare”, la merce puo’ passare la frontiera solo col permesso dell’esecutivo, e Brasilia avrebbe “gia’ da tempo” accolto la richiesta delle opposizioni venezuelane di mettere un embargo alla vendita del gas.
© Agenzia Nova – Riproduzione riservata
Usa, la mappa elettorale del paese potrebbe essere ridisegnata dalla Corte Suprema
20 giu 10:42 – (Agenzia Nova) – La Corte Suprema degli Stati Uniti ha accettato ieri di stabilire se esistano o meno limiti legali al cosiddetto “gerrymandering”, ovvero la ridefinizione dei confini dei collegi elettorali da parte degli Stati dell’Unione con l’obiettivo di massimizzare il vantaggio per un determinato schieramento politico. La Corte Suprema si esprimera’ in particolare in merito a una causa mossa contro l’amministrazione repubblicana del Wisconsin, accusata dai Democratici di aver ridisegnato i collegi elettorali a proprio favore nel 2011. Il caso e’ particolarmente spinoso, perche’ lo Stato del Wisconsin ha modificato i confini di alcuni collegi elettorali a larga maggioranza afroamericana sulla base di una legge federale che prevede proprio la concentrazione della minoranza nera in singoli collegi, cosi’ da garantirle una rappresentanza politica su base razziale; questa legge viene di volta in volta impugnata o contestata da entrambi gli schieramenti, a seconda delle contingenze convenienze elettoralistiche. Il “gerrymandering”, in generale, e’ una pratica formalmente legale, che piu’ che a blindare le circoscrizioni elettorali “amiche”, punta a destabilizzare i seggi ritenuti “sicuri” dagli avversari: una tattica cui alcuni analisti e politologi imputano la crescente polarizzazione degli schieramenti all’interno delle camere. La Corte Suprema ha gia’ proibito la ridefinizione dei collegi elettorali su base razziale, fatta eccezione per le succitate eccezioni gia’ parte della legislazione Usa, ma sinora non si e’ mai espressa in merito alla convenienza politica. Negli Usa la definizione dei collegi spetta ai singoli Stati, e piu’ nello specifico alle assemblee legislative di questi ultimi, fatta eccezione per pochi Stati che invece affidano l’incarico a commissioni ad hoc. Justin Levitt, docente di diritto alla Loyola Law School di Los Angeles, sottolinea l’importanza del futuro pronunciamento della Corte Suprema, data l’imminenza della prossima revisione anagrafica nazionale, prevista per il 2020. “Siamo in procinto di disegnare nuovi distretti elettorali ovunque, e a qualunque livello”, spiega Levitt. “Una sentenza su questa questione mutera’ senza dubbio l’intero panorama. Potrebbe conceder ai legislatori maggior flessibilita’ nel tracciare le linee, oppure il contrario, o mutare le modalita’ di utilizzo di quella flessibilita’”, afferma il docente. In passato alcuni giudici della Corte Suprema si sono espressi contro il “gerrymandering”, ma la Corte nel suo insieme e’ sempre stata restia a intervenire in maniera cosi’ diretta nel processo politico statunitense, e nell’imporre un limite arbitrario alla partigianeria delle maggioranze parlamentari.
© Agenzia Nova – Riproduzione riservata
Spagna, “El Pais” snobbato da Podemos
20 giu 10:42 – (Agenzia Nova) – Un nuovo capitolo polemico si e’ aperto in Spagna tra la formazione anti sistema di Podemos e parte della stampa. Il movimento, terza forza parlamentare e agguerrito competitor del partito socialista, ha invitato i giornalisti a un incontro “informale” presso la sua sede per presentare i nuovi portavoce. Gli inviti sono arrivati a tutti, eccezion fatta per i quotidiani “El Pais”, “El Periodico de Catalunya”, la radio “Cadena Ser” e le testate online “El Independiente”, “Voz Populi” e “Ok Diario”. “L’idea e’ che ci possiate conoscere un po’ meglio mentre ci prendiamo un caffe'”, recita l’invito recapitato alle redazioni per un incontro “off the records”. Dinanzi alle richieste di delucidazioni presentate all’incontro da alcuni giornalisti, fonti di Podemos hanno spiegato che l’incontro era di carattere privato ed era stato disegnato per creare “uno spazio di fiducia” con alcune testate, ma l’inviato de “El Mundo” – storico concorrente del “Pais” – ha deciso di non partecipare in segno di protesta. Si tratta di una “ulteriore prova del colossale disprezzo alla liberta’ di informazione che sostiene la formazione di Pablo Iglesias”, scrive il quotidiano riformista in un lungo editoriale a commento della vicenda. Podemos, si legge ancora, porta avanti una “cattiva imitazione di Donald Trump”, il presidente degli Usa che conduce “con orgoglio” una crociata contro alcune delle piu’ prestigiose testate d’oltre oceano e “che accusa i giornalisti di essere gli individui piu’ disonesti della terra”.
© Agenzia Nova – Riproduzione riservata
Regno Unito, Rudd: rafforza la protezione alle comunita’ musulmane
20 giu 10:42 – (Agenzia Nova) – L’attacco alla moschea di Finsbury Park e’ “un altro attacco alla Gran Bretagna e – come i tragici eventi precedenti – ci unisce nel dolore e nella rabbia. Non lasceremo che l’odio vinca. E’ vitale, ora piu’ che mai, essere uniti e non permettere a chi cerca di dividere con l’odio di riuscirci”. Lo scrive Amber Rudd, segretaria all’Interno del Regno Unito, in un articolo pubblicato sul quotidiano britannico “The Guardian”. L’esponente del governo di Theresa May sottolinea che “ogni comunita’” del paese e’ “stordita e rattristata per gli inimmaginabili orrori ai quali abbiamo assistito nelle ultime settimane” e sottolinea la condanna “universale” dei musulmani britannici contro gli attentatori del London Bridge e l’aiuto offerto quando e’ scoppiato l’incendio della Grenfell Tower a Londra, con l’apertura delle moschee per accogliere vittime di ogni fede. Rudd nega che le vittime musulmane siano trattate in modo diverso rispetto a quelle di Westminster Bridge, Manchester o London Bridge. “Non vi e’ dubbio che questo attacco sia orribile quanto gli altri. Il nostro dolore non e’ meno acuto”, afferma, riconoscendo che “la minaccia dall’estrema destra e’ corrosiva quanto le ideologie islamiche distorte”. “I musulmani si devono sentire al sicuro”, prosegue Rudd. A questo proposito ricorda che l’episodio e’ stato dichiarato un attentato terroristico nel giro di pochi minuti; che la premier May ha annunciato una revisione della strategia antiterrorismo; che il suo ministero a dicembre ha fatto in modo che l’organizzazione di estrema destra National Action fosse definita un’organizzazione terroristica e ha pubblicato un piano d’azione contro i crimini d’odio; che il diritto britannico ha una delle legislazione piu’ severe del mondo contro questo tipo di reati; che il programma elettorale del Partito conservatore prevede iniziative nelle scuole e nelle comunita’ contro ogni forma di estremismo, compresa l’islamofobia. “La protezione alle comunita’ musulmane e’ stata rafforzata in tutto il paese e lo sara’ per tutto il tempo necessario”, assicura la responsabile degli Interni, concludendo con un appello all’unita’: “Insieme possiamo sconfiggere l’odio. Siamo con la comunita’ musulmana: non siete soli, condividiamo il vostro dolore e non vi deluderemo”.
© Agenzia Nova – Riproduzione riservata
Francia, Macron procede ad un rimpasto di governo piu’ “politico” del previsto
20 giu 10:42 – (Agenzia Nova) – Sarebbe dovuto essere un rimpasto “tecnico”, imposto piu’ che altro dalla procedura che impone al governo in carica di dare le dimissioni dopo le elezioni parlamentari conclusesi in Francia domenica scorsa 18 giugno: e invece si trattera’ di un rimaneggiamento assai piu’ “politico” del previsto; lo scrive sul quotidiano economico francese “Les Echos” il cronista politico Gregoire Poussielgue commentando gli avvicendamenti in vista per l’esecutivo guidato dal primo ministro Edouard Philippe. E tra i cambiamenti il piu’ importante e’ certamente quello che riguardera’ il ministro della Coesione territoriale, l’ex socialista Richard Ferrand: vero “braccio destro” di Emmanuel Macron durante la vittoriosa campagna per le presidenziali, Ferrand e’ stato investito da uno scandalo subito dopo la sua nomina nel governo, appena un mese e mezzo fa; gli si rimprovera di aver favorito la moglie ed altri parenti quando era era direttore generale della cassa mutua Mutuelles de Bretagne. Uno scandalo che in campagna elettorale aveva intaccato l’immagine etica di Macron e della sua creatura politica, La Re’publique en Marche (Lrem; “La Repubblica in Marcia”; ndr); e che neppure la presentazione della legge per la moralizzazione della vita pubblica, presentata mercoledi’ scorso in Consiglio dei ministri, era riuscita a far dimenticare. Per rimuoverlo dunque il presidente Macron ha atteso la conclusione del lunghissimo processo elettorale: Ferrand andra’ a presiedere il gruppo del partito macronista all’Assemblea Nazionale, che da solo ha la maggioranza assoluta dopo la schiacciante vittoria nelle elezioni parlamentari. Si tratta di una postazione strategica: Ferrand dovra’ infatti vegliare sulla coesione e sull’efficacia di un gruppo composto da 306 deputati, in stragrande maggioranza neofiti dei meccanismi parlamentari e animati da forte motivazione individuale; per lui quindi sara’ una rimozione-promozione.
© Agenzia Nova – Riproduzione riservata
Germania, il Bundestang prepara una mozione a sostegno del traferimento delle truppe da Incirlik
20 giu 10:42 – (Agenzia Nova) – I partiti della coalizione di governo tedesca vogliono dare piena legittimazione formale al trasferimento del contingente militare dalla base turca di Incirlick alla Giordania. Il Gabinetto federale aveva gia’ approvato il trasferimento dei militari all’inizio del mese, ma il Bundestag intende votare una mozione analoga questa settimana. “C’e’ un accordo di base fra Cdu e Csu, e dunque una risoluzione del Parlamento dovrebbe essere approvata entro questa settimana”, ha dichiarato allo “Spiegel” il portavoce della politica estera del gruppo parlamentare dell’Spd, Niels Annen. Si trattera’ di una mozione non giuridicamente vincolante, e tesa soprattutto a ribadire il diritto costituzionale dei parlamentari di visitare le missioni militari all’estero. L’assemblea plenaria si terra’ probabilmente mercoledi’. Il trasferimento del contingente tedesco impegnato contro lo Stato islamico da Incirlick, in Turchia, alla Giorndania, non richiede un nuovo mandato oltre quello gia’ conferito dal Parlamento per operare nell’area nel dicembre del 2015. Il ministro della Difesa, Ursula von der Leyen (Cdu), ha presentato nei giorni scorsi un calendario per il trasferimento delle truppe, che prevede il trasferimento di parte del personale alla base giordana di al Asrak gia’ entro la fine del mese.
© Agenzia Nova – Riproduzione riservata
Germania, tempi lunghi per l’approvazione della “legge contro l’odio” di Maas
20 giu 10:42 – (Agenzia Nova) – Guadagna consensi politici in Germania la proposta di legge del ministro della Giustizia, Heiko Maas (Spd), tesa a contrastare l’odio e la “falsa informazione” su Internet. L’ultimo esponente politico ad appoggiare la proposta e’ stato il capogruppo parlamentare della Csu, Volker Kauder (Cdu). La sua approvazione prima delle elezioni potrebbe tuttavia essere rallentata dalla Commissione europea. La “legge sulle regole da tenere in Rete” (NetzDG) prevede multe fino a 50 milioni di euro per piattaforme online quali Facebook e Twitter in caso di mancata rimozione di contenuti estremistici “di destra” e delle “notizie false”, pratiche che nell’ambito del provvedimento assumerebbero il carattere di reati penali. L’approccio del Ministro tedesco va ben oltre quanto stabilito attualmente dalla Ue in materia, e verra’ sottoposta a verifica da parte del commissario alla Giustizia dell’Unione di centrodestra, Vera Jourova. Preoccupazioni in merito al provvedimento sono state espresse dal relatore speciale dell’Onu sulla liberta’ d’espressione, David Kaye. Un anno fa la Commissione europea aveva elaborato con Facebook, Twitter, Youtube e Microsoft un codice di condotta al fine di rimuovere rapidamente i contenuti di incitamento all’odio, che aveva consentito la rimozione di circa il 60 per cento di tale tipologia di messaggi. L’esame della legge proposta di legge di Maas, scrive la “Frankfurter Allgemenine Zeitung”, difficilmente potra’ essere presa in esame prima della pausa estiva, anche per non dare l’impressione di intervenire nella campagna elettorale tedesca.
© Agenzia Nova – Riproduzione riservata