C’è poco tempo, entro il prossimo 30 aprile il nostro Paese deve presentare un Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) forte e credibile.
Dal 1° maggio, poi, si deve iniziare a lavorare alla sua realizzazione: “Per questo non aspetteremo il giudizio finale della Commissione europea per avviare i progetti”, ha spiegato al Sole 24 Ore Enrico Giovannini, ministro delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili.
Poco tempo per il PNRR, serve nuovo strumento
Il ministro vede il tempo che passa come una minaccia, ma non è l’unico, perché è un timore condiviso ad esempio con il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani.
“Dobbiamo dimezzare i tempi di realizzazione – ha precisato Giovannini in un’intervista al quotidiano milanese, poi pubblicata sul sito del ministero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili – in quanto entro il 2026 non basta aver speso i soldi, me le tratte ferroviarie devono essere in esercizio, ì porti migliorati, i sistemi di trasporto pubblico locali rinnovati. Questo è un aspetto nuovo imposto dalla Commissione: gli indicatori di risultato non sono infatti espressi in termini finanziari, ma in termini di autobus, stazioni ferroviarie, passeggeri chilometro, riduzione di CO2. E questo non è il modo in cui storicamente questo Ministero ha ragionato. Per questo ci siamo dati una struttura di progetto articolata in cinque teams proprio per giocare a tutto campo, compreso il monitoraggio dei risultati”.
Si impone quindi una richiesta di cambiamento (l’ennesima), a livello di dicastero (e di dicasteri in generale), che è vista come una “grande occasione” per l’Italia di “programmare a medio e lungo termine, di pensare il proprio futuro. Il Pnrr è una grande occasione, ma penso che servirebbe anche un Istituto sul futuro e sulla programmazione strategica”, insomma, un nuovo strumento di governance del tempo.
Infrastrutture sostenibili in sei punti
Riguardo alle infrastrutture e al loro livello di sostenibilità, altro argomento chiave per la riuscita del Pnrr, Giovannini indica sei elementi chiave che le caratterizzano: “1) l`infrastruttura produce effetti positivi per la collettività non solo di tipo economico, ma anche sociale; 2) è resiliente, cioè ha la capacità di resistere a possibili shock noti, come il terremoto, ma anche a nuovi shock, come il cambiamento climatico; 3) può essere resa compatibile con il rispetto dell`ambiente, come chiede lo stesso Pnrr, che impone il principio del “do not significant harm””.
Continuando la lista, il ministro indica le altre tre caratteristiche di base di un’infrastruttura sostenibile e resiliente: “4) è condivisa dalla società, e qui c`è il tema del dibattito pubblico sul quale giovedì avvierò una commissione; 5) ha una governance efficace del processo, che eviti di impiegare – come facciamo in Italia – dieci anni per realizzarla; 6) infine, tiene conto dell`efficienza dell`investimento tenendo conto dell`intero ciclo di vita dei materiali, il che vuol dire usare materiali riciclabili”.
Sulla definizione di infrastrutture green, però, ci sono secondo Giovannini ancora dei punti da chiarire con la Commissione europea: “Attualmente, il divieto di finanziare la manutenzione delle strade si può derogare solo se il progetto accompagna processi di digitalizzazione per l’aumento della sicurezza. Ma noi riteniamo che ci sia una possibile eccezione per le aree interne dove, non essendo possibile costruire ferrovie Av o regionali, bisogna migliorare il sistema stradale per connetterle a punti di snodo di sistemi di mobilità più sostenibili. Ma la sfida principale del Paese è che il Pnrr impone a tutti dì andare molto veloci”.
Semplificazione e mancanza di competenze tecniche
Altro punto chiave per il completamento del Pnrr è il tema (non certo nuovo) della semplificazione. In termini generali, per semplificare le procedure il ministro ha detto che si è insediata “una commissione in cui sono presenti Corte dei Conti, Consiglio di Stato, Anac. Dobbiamo ragionare in primo luogo su come sono state applicate le norme approvate nell’ultimo biennio e poi immaginare percorsi particolari per le opere del Pnrr”.
“In parallelo – ha aggiunto il ministro – abbiamo una commissione con i ministeri della Transizione ecologica e della Cultura per capire come alcuni processi, la valutazione di impatto ambientale, i pareri delle Sovrintendenze, i percorsi a livello ministeriale, possano essere efficientati”.
E poi c’è l’altro grande problema nazionale, che sono le competenze: “C’è un problema serio di capacità tecniche nella pubblica amministrazione, soprattutto a livello locale, come ha mostrato la Banca d`Italia. Perché se devo fare un progetto, non basta semplificare, devo avere comunque un ingegnere in grado di farlo”.
I dipendenti pubblici in Italia sono poco più di 3,5 milioni (dati Istat per il 2017), di cui più della metà sono impiegati ministeriali. C’è da chiedersi come sia possibile che ci sia ancora “un problema serio di capacità tecniche nella pubblica amministrazione“.
Perchè non è stato avvertito per tempo l’avvicinarsi di questo problema?
Cosa ha impedito nel tempo un miglioramento del livello generale di competenze tecniche nella PA?
Dove nascono le resistenze?
Trovare una risposta a queste domande significa anche avere il coraggio di affrontare i limiti strutturali di un apparato burocratico non adeguato alle difficoltà del tempo che viviamo, che sono poi prima di tutto culturali e poi di natura politica.