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Infrastrutture nel Sud del mondo: dal G7 un piano da 40 trilioni di dollari per digitale, clima e salute

Ripartire dalle infrastrutture per cambiare il mondo

Un mondo migliore è ancora possibile, basta immaginarlo, costruirlo e renderlo accessibile a tutti. Sembra facile, ma non lo è, e dal G7 in Cornovaglia arriva questo messaggio: “Build Back Better World”: i leader del Paesi del G7 hanno proposto un piano mondiale per dotare i Paesi in via disviluppo di infrastrutture al passo con i tempi.

Infrastrutture, un termine di cui oggi si torna a parlare molto e che acquista quasi un significato diverso rispetto al passato, legato alla possibilità di crescita economica e industriale, ma anch’essa diversa, perché deve essere sostenibile, cioè non deve più emettere gas serra, a basso impatto sull’ambiente e in grado di dimostrarsi resiliente agli effetti dei cambiamenti climatici.

Per questo gli Stati promotori del piano hanno chiesto un pacchetto di investimenti di grandi dimensioni, circa 40 trilioni di dollari (40.000 miliardi di dollari), da impiegare in quattro aree di interesse primario: salute, digitale, clima e uguaglianza di genere.

Sulle infrastrutture si concentra un grande carico di innovazione tecnologica, ma anche la questione importantissima della sicurezza nazionale e le tensioni geopolitiche di grande rilevanza mondiale.

Strategie anti-Cina

La mossa del G7 è stata “ispirata” da quanto fatto dal Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, cioè il mega piano infrastrutturale da 2 trilioni di dollari. Non a caso, secondo molti esperti, si tratterebbe di una mossa strategica per aumentare il livello di contrasto al piano del millennio: La Nuova Via della Seta annunciata da Pechino.

C’è da chiedersi, ma il G7 vuole davvero aiutare i Paesi in via di sviluppo per entrare nella modernità tecnologica, o vuole solo dar fastidio alla Cina? Sembra banale porsi queste domande, ma non lo è, perché entrambe le cose non si possono fare, quindi bisognerà capire quale dei due fini sarà perseguito davvero.

Per ridare un futuro migliore a Paesi che a fatica riescono a vivere il presente bisogna favorire un nuovo processo di industrializzazione, ma diverso dal passato, perché dovrà essere realizzato a partire da parametri come zero emissioni, neutralità climatica ed accesso all’energia pulita.

Per dar fastidio alla Cina, invece, basta riportare questi Paesi in terreno di neutralità politica, se non nell’orbita di influenza diretta dell’ex Occidente (appunto, con un mega piano di investimenti). Ma questo è scontro politico-finanziario e bisogna stare molto attenti a non far pagare il prezzo della nuova “guerra fredda” USA-Cina proprio a quei Paesi che il G7 vuole aiutare.

L’Unione europea sempre divisa

Se la Gran Bretagna e il Canada hanno deciso di abbracciare in pieno la sfida lanciata da Washington a Pechino, molto più complicato appare il dibattito all’interno dell’Unione europea tra falchi e colombe. La Francia vuole un’azione di contrasto più netta e decisa nei confronti della Cina, mentre Italia e Germania hanno posto l’accento sulla necessità di un dialogo sempre aperto con Pechino per aprire una nuova stagione di cooperazione in diverse aree strategiche.

La cattiva notizia è che l’Unione europea torna a presentarsi di nuovo divisa su questioni di grande rilevanza strategica per i prossimi decenni. Tirata per la giacca da più parti, l’Ue non sembra in grado di mantenere un punto di vista condiviso sul mondo e questo, già di per sé, dovrebbe essere motivo di allarme e preoccupazione a Bruxelles.

Quali sono i valori che vogliamo caricare su queste infrastrutture? In cosa vogliamo riconoscerci nel nuovo millennio? Quali i principi guida che vogliamo seguire? iniziamo a dare risposte chiare a queste domande, soprattutto noi europei misuriamoci sulla possibilità di assumere un nuovo ruolo sullo scacchiere globale.

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