Google dovrà rimuovere informazioni di “inesattezza manifesta” che emergono da una ricerca online, se gli utenti possono dimostrare che sono sbagliate.
Lo ha deciso la massima Corte europea tornando sul complesso tema del ‘diritto all’oblio’ online, dove da anni si contrappongono gli schieramenti di chi ritiene vada data precedenza alla libertà di informazione e chi al diritto alla privacy.
Il Caso dei due manager contro Google
La Corte di Giustizia dell’Ue si è pronunciata in particolare su richiesta di due dirigenti di un gruppo di società di investimento, che avevano chiesto a Google di deindicizzare dai risultati sulla ricerca online dei propri nomi alcuni articoli di critica del modello di investimento del gruppo e di rimuovere anche le loro foto in miniatura visualizzate nella ricerca.
Il colosso di Mountain View aveva replicato di non sapere se le informazioni fossero sbagliate o meno, e nella controversia è stato infine un tribunale tedesco a chiedere alla Corte a Lussemburgo di pronunciarsi sull’equilibrio del diritto all’oblio.
Non è necessaria una decisione del tribunale e che le persone possono “fornire solo prove che possono essere ragionevolmente richieste”.
Per la Corte il motore di ricerca deve deindicizzare, ossia togliere dal risultato, tali informazioni e, soprattutto, secondo i giudici chi presenta la richiesta non deve esibire per prova una decisione giudiziaria contro l’editore del sito internet in questione: basta che forniscano prove che si possono trovare “ragionevolmente”.
Deve cioè presentare “elementi di prova pertinenti e sufficienti”, idonei a corroborare la richiesta e “atti a dimostrare il carattere manifestamente inesatto” delle informazioni incluse nel contenuto indicizzato.
In Italia la Cassazione favorevole al diritto all’oblio con deindicizzazione globale
In Italia la Cassazione si è espressa favorevole al“Diritto all’oblio con deindicizzazione globale e non solo su motori di ricerca in Ue” .
Lo ha chiarito la Prima sezione civile della Cassazione, con l’ordinanza n. 34685 deposita il 25 novembre 2022, accogliendo il ricorso del Garante Privacy contro Google Llc, Google Italy Srl e riformando la decisione del Tribunale di Milano del settembre 2020 che, accogliendo parzialmente il ricorso del colosso di Mountain View, aveva limitato il provvedimento assunto dal Garante nell’ottobre 2017 riducendolo all’ordine di rimozione degli Url sulle sole versioni nazionali del motore di ricerca corrispondenti agli Stati membri dell’Unione Europea.
Per dare attuazione al “diritto all’oblio“, le Autorità italiane – e cioè il Garante per la privacy ed anche i giudici – possono dunque ordinare, in conformità al diritto Ue, al gestore di un motore di ricerca di effettuare una deindicizzazione globale: il cosiddetto global delisting o global removal.
Un repulisti esteso dunque anche ai Paese extra europei, andando a incidere sulle versioni del motore al di fuori dell’Ue. Una tale decisione dovrà essere presa all’esito di un bilanciamento tra il diritto della persona alla tutela della sua vita privata e alla protezione dei dati personali e il diritto alla libertà d’informazione, tuttavia – e questo è un altro passaggio decisivo – tale valutazione va fatta “secondo gli standard di protezione dell’ordinamento italiano”, senza dunque badare alle regole vigenti nei paesi esteri. Fermo restando, ovviamente, che le altre nazioni (fuori dell’Ue) potranno anche non tener conto di tale ordine.