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Influencer marketing: la Camera della Moda e la difesa di un settore che vorrebbe restare al di fuori delle regole

La settimana che è appena trascorsa ha segnato il ravvivarsi delle polemiche sull’influencer marketing, la ben nota tecnica di comunicazione pubblicitaria che consiste nell’affidare a personaggi famosi la promozione di questo o quel prodotto nella consapevolezza dell’efficacia che questo “endorsement” continua ad avere sui consumatori che faticano a distinguere se il post pubblicato sui social network ha carattere pubblicitario o meno.
Come è noto, proprio per rendere trasparenti queste sponsorizzazioni, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (sollecitata proprio dall’Unione Nazionale Consumatori) ha più volte esortato queste celebrities ad accompagnare i post con una semplice indicazione (#Ad/Adv + il tag dell’azienda inserzionista) utile a spiegare all’utente la natura commerciale del contenuto pubblicato online. Sul punto, inoltre, il quadro si arricchisce del prezioso intervento dell’Istituto dell’Autodisciplina pubblicitaria (IAP) che ha pubblicato una edizione aggiornata della Digital Chart per spiegare nel dettaglio a influencer e inserzionisti come etichettare i post in caso di accordi di sponsorizzazione e anche qualora il testimonial abbia ricevuto in omaggio il prodotto/servizio che viene esibito.
Negli ultimi tempi, con l’Unione Nazionale Consumatori abbiamo intensificato l’attività di monitoraggio del fenomeno che, ben lungi dall’affievolire la sua pressione comunicativa, va estendendosi a forme “innovative” come, ad esempio l’ampio catalogo di sponsorizzazioni dei brand a favore di personaggi televisivi che postano foto dal “dietro le quinte”: da Alessia Marcuzzi che spopola sui social in compagnia dei brand che la vestono per Le Iene (Italia1), così come Rosario Fiorello in VivaRaiPlay (RaiUno), fino ad Alessandro Cattelan alla conduzione di XFactor (SkyUno).

Sarà forse per questa nostra nuova richiesta di provvedimenti a carico dei brand del fashion che la scorsa settimana abbiamo visto scendere in campo la Camera Nazionale della Moda Italiana. L’organizzazione, incurante del dibattito (anche tecnico-legale) in corso da anni, semplicemente prova a ritagliarsi un’area nella quale, considerata (così si dice) la peculiarità del “settore moda”, le regole applicabili in altri campi sarebbero “poco gestibili per gli operatori del fashion”! Già proprio così, avete capito bene: secondo la Camera Nazionale è necessario che sia fatto un “ragionamento specifico” per il comparto! E per questo avrebbe dato vita a un “tavolo di lavoro per la discussione degli aspetti più rilevanti tra i maggiori fruitori dell’attività promozionale svolta dagli influencer”. Beh, detto così ci saremmo aspettati di essere coinvolti, ma andando più a fondo si scopre che il cosiddetto “tavolo” si è concretizzato in un confronto “avvenuto al momento tra un numero ristretto di aziende leader della moda italiana, selezionate tra quelle particolarmente attive nell’ambito dei social network”…
L’iniziativa si commenta da sé e non meriterebbe troppa attenzione se non fosse che la Camera ha pubblicato quelle che chiama “Linee guida e regole interpretative per gli influencer”. E già la definizione di questo documento mi sembra fuorviante se è vero che è stato redatto “con lo scopo di riassumere le best practices attualmente adottate dai brand del settore”. Quindi non di “linee guida” si tratterebbe, bensì di una fotografia delle prassi (legali o meno poco importa) già in uso nel settore: viene da pensare che la Camera sia stata richiesta di realizzare un documento da contrapporre alle linee guida (queste sì) redatte dall’Istituto dell’Autodisciplina pubblicitaria (IAP) e forse persino ai precetti che, seppur nella forma della moral suasion, ha pubblicato l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.
Anzi, a leggere le ragioni dell’iniziativa dichiarate dalla stessa Camera della moda, vengono a galla le preoccupazioni del settore, se è vero che le linee guida sarebbero altresì finalizzate “ad aprire un dialogo con le istituzioni, anche in vista dell’emanazione di futuri eventuali provvedimenti legislativi in materia, ma anche con i social network maggiormente interessati e gli influencer o loro rappresentanti”. Insomma, la Camera si fa avanti (lasciatemi dire, facendo ricorso alla peggiore dinamica corporativa) con l’intento di contrapporre la voce del mondo fashion alle regole attuali che, seppur in una logica soft-law, sono poste a garanzia dei consumatori e della concorrenza.

La questione alla quale la Camera sembra maggiormente interessata è quella dell’utilizzo degli hashtag #ad/#adv, che (udite udite) potrebbe persino rivelarsi “fuorviante e comunicare un messaggio errato al consumatore”. E’ il caso ad esempio (cito testualmente il documento) del “post contenente un abito o accessorio prestato o regalato dal brand che talvolta è creato per un’occasione particolare e non sarà mai messo in vendita, pertanto il consumatore non potrà mai trovare tale accessorio o abito nei negozi”. Altro caso ricorrente (e difficilmente gestibile dal brand secondo l’impostazione della camera) è quello in cui “l’influencer realizzi un post in cui indossa un prodotto regalato o prestato dal brand magari per una occasione speciale” (Notte degli Oscar o simili). In questo caso -secondo la Camera- “l’influencer è sempre una celebrity a cui il brand fa un omaggio nella speranza che quest’ultimo lo apprezzi e lo indossi, ma senza avere la reale possibilità di ottenere impegni e imporre obblighi in merito a ciò che verrà comunicato con il relativo post, anche per ovvie ragioni di opportunità che rendono poco praticabile la richiesta di inserire specifici hashtag nella comunicazione via social media”.
Insomma, avete capito bene: secondo la Camera della Moda le attuali regole stanno strette al settore, quindi liberi tutti! Ci sarebbe da sorridere se la proposta non provenisse da chi, rappresentando un ambito così importante per il sistema Italia, dovrebbe aver compreso da tempo l’importanza di dar vita ad una relazione “onesta” con i consumatori, ma evidentemente non è bastata la lezione degli scandali che hanno coinvolto varie griffe (dalla contraffazione allo sfruttamento dei lavoratori, fino alle problematiche connesse ad un “made in” non sempre veritiero).

Così, adesso dobbiamo leggere di questa “ribellione” del settore del fashion alle pur basilari regole di trasparenza dell’advertising! Una difesa autolesionistica e puerile dei propri interessi di bottega: se da un lato comprendo che si tratta di difendere gli importanti investimenti pubblicitari dell’influencer marketing nel settore della moda, d’altro canto mi chiedo come possa sfuggire che simili atteggiamenti danneggiano la stessa relazione che i brand hanno faticosamente costruito negli anni con i propri clienti.
Senza dire che gli estensori delle neonate “Linee Guida Influencer” hanno dovuto arrampicarsi sugli specchi: proprio la casistica descritta a supporto delle proprie tesi (pur rappresentando alcuni casi-limite), conferma infatti la necessità di etichettare i post. E infatti, anche qualora il capo di abbigliamento sia un “pezzo unico” creato per una specifica occasione è del tutto evidente che la sua esibizione sia finalizzata a fare conoscere il brand (o a rafforzarne la notorietà) presso il pubblico dei consumatori. La Camera della moda non ritiene che sia necessario specificare nella foto postata dal red carpet che quell’abito o accessorio sia stato fornito per scopi pubblicitari? E se (altro caso citato dalla Camera della Moda) una celebrity indossi il capo ricevuto in omaggio da un brand, non credete sia necessario specificare questa circostanza? Noi riteniamo di sì, trattandosi di pubblicità che, per sua natura deve essere dichiarata come tale, mentre la Camera propone (tra l’altro) di non considerare necessario in questi casi l’hashtag #ad/#adv/#sponsored (o al limite prevederne uno ad hoc).

Non c’è da stupirsi: il documento della Camera della Moda va anche oltre, con la proposta di evitare l’obbligo di etichettare il post se il brand regala o presta il prodotto oppure se si limita a pagare all’influencer “le sole spese di partecipazione a specifici eventi, quali trasporto e alloggio”! E persino che sia sufficiente “l’inserimento dell’hashtag solo al primo post e a quelli successivi in cui sia eventualmente fotografato il medesimo accessorio o indumento”.
Ed in conclusione, quindi, forse un merito dobbiamo riconoscerlo all’iniziativa della Camera della Moda: simili tentativi non fanno che ricordare a chi rappresenta i consumatori quanto sia ancora rilevante per la pubblicità il canale influencer marketing e quanto sia importante per le Istituzioni di controllo non abbassare la guardia.

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