“La rivoluzione industriale digitale dell’Industria 4.0 è un’opportunità imperdibile per riposizionare e rendere più sostenibili i fattori competitivi del nostro Paese soprattutto in favore del nostro tessuto di PMI”. E’ quanto ha affermato nei giorni scorsi il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, anticipando l’intenzione del Governo di inserire nella prossima legge di bilancio un primo pacchetto di misure per accompagnare questa nuova rivoluzione industriale, ormai ineludibile.
Una rivoluzione che l’Italia rischia di perdere perché c’è da recuperare un grosso divario in termini di investimenti rispetto alle altre maggiori economie europee e mondiali. Per recuperare e spingere gli investimenti innovativi in chiave 4.0, si calcola una spesa di circa 8 miliardi annui nei prossimi 5 anni.
Ma non basta. Dall’industria si chiede un cambio di mentalità, che consenta di massimizzare i numerosi vantaggi dell’Industry 4.0 già nel breve termine, e soprattutto un Piano concreto che acceleri l’attuazione di quelle che sono le proposte del Governo.
La misura del gap
Come ha sottolineato nel corso del suo intervento al recente Internet of Things Summit di Milano l’ad di Italtel e vicepresidente di Anitec Stefano Pileri, “negli ultimi 15 anni gli investimenti in tecnologie hanno contribuito per il 45% alla crescita media del Pil Usa e per il 30% a quella europea. In Italia il dato si ferma al 20%”. Così come, ha aggiunto, “mentre negli altri paesi europei gli investimenti digitali rappresentano oggi mediamente il 6,4% del Pil, in Italia raggiungono il 4,7%”.
Giusto per fare un esempio, l’Italia resta il secondo paese manifatturiero d’Europa ma, mentre in Germania – la prima in classifica – il valore aggiunto dell’industria manifatturiera è di 629 miliardi di euro, nel nostro paese è di 256 miliardi. Valore aggiunto che è andato inoltre via via deteriorandosi, passando dal 23% del PIL nel 2000 al 18% nel 2013.
Ma a cosa è dovuto questo continuo arretramento nei livelli di produttività ed export del settore manifatturiero? L’Italia, come molti altri paesi occidentali, sconta in parte i danni legati al trend diffuso dell’esternalizzazione della produzione, ma anche quelli di un vistoso gap infrastrutturale che non permette, per esempio, alle imprese di sfruttare i vantaggi della fibra ottica.
Basti pensare, ricorda l’ad di Italtel, “che il 77% delle aree industriali della Lombardia è ubicato in aree identificate come bianche”, a fallimento di mercato, fuori quindi da quegli interessi economici che portano un operatore a investire in quell’area. E “questo non è possibile in un momento in cui si parla di Industry 4.0”, ha affermato Pileri, secondo cui il cui costo di questo ritardo “è calcolabile in circa 2 punti di Pil e nella mancata creazione di circa 700 mila posti di lavoro”.
Eppure facendo leva sulla digitalizzazione dell’industria, spiega Pileri, si potrebbero infatti amplificare i punti di eccellenza che da sempre hanno caratterizzato il tessuto produttivo italiano, prima di tutto “la spiccata tendenza a riconoscere e valorizzare le esigenze del cliente finale, quella che oggi si chiama ‘customerizzazione’”.
Cosa ancora più importante, aggiunge, “se finora la produzione di eccellenza che ha fatto grande il Made in Italy nel mondo è stata spesso classificata come ‘di nicchia’, grazie alla digitalizzazione potrà essere abbinata a una manifattura su larga scala, che potrà consentire alla nostra industria di risalire la china della competitività sui mercati internazionali”.
E ancora, sottolinea Pileri, “integrando virtualmente Supply Chain e filiere si potranno garantire risposte immediate alla volatilità della domanda e si potrà così rimediare ai danni provocati da un eccessivo ricorso all’esternalizzazione, riportando la produzione ‘near shore’”.
Un’inversione di tendenza già evidente nel settore tessile dove “manifattura e produzione offshore dei capi di abbigliamento stanno velocemente diminuendo perché i sei mesi di tempo necessari alla produzione, trasporto, sdoganamento e consegna dei capi è enorme rispetto alla necessità di adattare i modelli alla variazione dei gusti e quindi della domanda”.
Senza contare i benefici legati alla possibilità di minimizzare i tempi di inattività degli impianti grazie a strategie di manutenzione predittiva e di incrementare, grazie al tracciamento di persone e strumenti, la produttività del lavoro, “rimasta sostanzialmente piatta in Italia tra il 2007 e il 2013, mentre in Francia e Germania cresceva dell’1,5% e dell’1,3%”, dice Pileri che sottolinea infine come grazie alla digitalizzazione, che consente la connettività in tempo reale e la gestione remota degli impianti industriali si potranno “avviare nuovi modelli di business e ottenere importanti risparmi su spese operative ed energetiche”.
Un ritardo che va colmato: cosa farà il Governo?
Al suo insediamento, il ministro ha istituito un gruppo di lavoro operativo che ha individuato una serie di misure di intervento che si concentrano su 5 aree: Investimenti in innovazione; Fattori abilitanti; Standard di interoperabilità, sicurezza e comunicazione IoT; Rapporti di Lavoro, salario e produttività; Finanza d’impresa
Gli obiettivi identificati per ciascuna di queste aree sono molteplici. Si punta innanzitutto a stimolare gli investimenti nell’analitica dei big data e nelle informazioni che producono per costruire nuovi modelli di business. Ma occorre anche “sviluppare la nuova imprenditorialità innovativa in una logica di neutralità settoriale, la nascita di startup il loro scale up, l’accesso al venture capital e la collaborazione fra nuove imprese innovative e imprese già consolidate”.
In base al piano del Governo bisognerà poi potenziare le infrastrutture di connettività guardando non soltanto alle esigenze di cittadini e consumatori, ma soprattutto a quella di imprese e distretti industriali, ai quali occorrerà garantire – come peraltro chiesto più volte chiesto dai rappresentanti dell’industria di settore – una copertura a 100 Mbps attraverso il Piano Banda Ultra Larga.
Per centrare l’obiettivo occorrono investimenti per 10 miliardi di euro l’anno per tre anni.
Un altro punto che dimostra come il Governo intenda recepire le esigenze manifestate dall’industria è quello della necessità di ridurre il digital divide delle PMI e creare, come ha detto il ministro, “ambienti di contaminazione, trasferimento di conoscenze e cross fertilization, valorizzando i centri di eccellenza esistenti per la costituzione della rete di “Digital Innovation Hubs” specializzata nel trasferimento di tecnologie e applicazioni per la maturazione digitale del nostro tessuto di PMI e la costruzione di nuovi modelli di business”.
Occorre poi agire sul piano della formazione tecnica, sia nelle scuole che nelle università, investendo nelle cosiddette competenze STEM (science, technology, engineering and mathematics), “con particolare attenzione a: computer sciences, gestione di dati di grandi dimensione alla loro modellazione matematica e all’incrocio di queste nuove discipline con l’ingegneria in una chiave di contaminazione e multidisciplinarietà”.
Così come sul piano della standardizzazione, è essenziale partecipare ai tavoli di lavoro internazionali “per tutelare le caratteristiche del contesto italiano in una prospettiva di adozione di standard aperti ma ‘guidati’ dai bisogni industriali”.
Sul piano del lavoro, ha detto il ministro, “…le relazioni industriali dovranno assumere una forma più flessibile, essere fortemente decentrate in modo da valorizzare le competenze e le abilità”, mentre su quello finanziario, “diventa prioritario costruire una finanza d’impresa capace di sostenere lo sforzo di investimenti necessario a cogliere le opportunità di Industria 4.0”, anche considerando la difficoltà del sistema bancario a espandere il moltiplicatore creditizio.
Quel che però è davvero essenziale, sulla scorta di quanto fatto in paesi come la Germania e altre nazioni a forte trazione manifatturiera, è la creazione di “un’architettura di governance pubblico-privata sul tema Industria 4.0”, ha concluso il ministro.
Parere favorevole dell’Industria: buon punto di partenza, ma occorre accelerare e concretizzare
I punti evidenziati dal ministro in termini di incentivi agli investimenti, diffusione delle infrastrutture nei distretti industriali, rilancio delle competenze STEM, standardizzazione, finanza d’impresa e creazione di Digital Innovation Hub sembrano cogliere in larga misura le raccomandazioni dell’industria digitale, evidenziate nei giorni scorsi sempre da Stefano Pileri.
“Si tratta di raccomandazioni importanti che segnano l’avvio di un percorso, Certo, non abbiamo finito ma siamo sulla buona strada”, ha detto Pileri.