Automazione e robotica fanno la propria comparsa in settori sempre nuovi, travalicando l’uso industriale, con applicazioni crescenti in casa, negli ospedali, in ufficio, in strada, nelle nostre automobili, nei trasporti, nell’intrattenimento, nella sicurezza.
Considerando gli ambiti industriali, commerciali, di servizi alle persone e militari, l’intera industria della robotica mondiale varrà 67 miliardi di dollari nel 2025, con un tasso di crescita annua (Carg) calcolato da Boston Consulting Group attorno al 10% circa.
Solo la robotica industriale vale oggi oltre 11 miliardi di dollari, con 1,5 milioni di unità impiegate negli impianti di tutto il mondo.
Che tipo di rapporto si verrà a creare tra uomini e macchine sul posto di lavoro?
Difficile rispondere a questa domanda senza prendere per buoni studi universitari, ricerche e Report d’impresa. Le macchine da tempo sono al fianco degli operai, solo che negli ultimi anni si parla sempre più spesso di automazione totale, di industria 4.0, di impiego massiccio di robot al posto degli uomini.
Ma è proprio così?
Nei giorni scorsi la CBS ha riportato l’annuncio della Bicycle Corporation of America di voler riportare negli Stati Uniti il 10% della propria produzione. È la dottrina Trump: riportare la produzione in patria, investire nel Made in USA e creare nuovi posti di lavoro.
Solo che nella notizia c’era dell’altro. La Bca parlava di un nuovo impianto produttivo nell’area di Manning, South Carolina e della necessità comunque di investire in automazione per rimanere competitivi sul mercato (soprattutto nei confronti della manifattura cinese), con il risultato che dopo aver investito 6 milioni di dollari in robot è stato necessario anche creare 140 nuovi posti di lavoro.
Da notare in questo caso che a creare occupazione è il binomio innovazione tecnologica e mobilità sostenibile.
Le macchine hanno bisogno di noi, evidentemente. Forse è possibile evitare la disoccupazione di massa da tanti immaginata e proprio i lavoratori sembrano crederci per primi. Ad esempio, il 57% degli europei vede di buon occhio l’innovazione tecnologica nel mondo del lavoro. Gli italiani sono i più ottimisti, con il 62% dei favorevoli secondo dati Epson, solo il 4% si dice consapevole che la propria mansione tra qualche anno non esisterà più (dello stesso parere il 6% degli europei).
Da dove viene tutto questo ottimismo? Stando ai risultati dell’indagine diffusa ieri da Epson, il concetto di learning society sembra farsi strada tra i lavoratori europei, anche se i timori restano tutti.
Il 75% dei lavoratori europei (e il 78% degli italiani) ritiene comunque che l’utilizzo di nuove tecnologie potrebbe comportare una riduzione del numero di dipendenti nell’azienda. A tale riguardo, i più preoccupati sono gli spagnoli (80%) seguiti a ruota dagli italiani (78%), mentre i tedeschi (67%) lo sono molto meno (forse perché in Germania la transizione all’industria 4.0 è già iniziata da qualche anno).
I maggiori timori di perdere il posto di lavoro provengono dai giovani e dai top manager.
Allo stesso tempo, però, aggiornando le proprie conoscenze e competenze, impegnandosi in percorsi formativi specializzati, il 72% degli europei si dice sicuro di poter trovare il modo di lavorare con le macchine, fianco a fianco.
Anche qui curiosamente gli italiani sono tra i più ottimisti, con l’86% degli intervistati che non si preoccupa più di tanto del proprio futuro occupazionale nell’era dell’industry 4.0.
A sorpresa, il settore manifatturiero si è rivelato particolarmente ottimista: qui il 75% prevede il passaggio a un modello di produzione più localizzato, con il 55% degli intervistati (57% in Italia) concorde sul fatto che i livelli di occupazione rimarranno invariati o aumenteranno.