L’industria 4.0 o quarta rivoluzione industriale muove i suoi primi passi in Germania, con il piano “High-tech strategy” del 2007. Un programma coordinato di investimenti in alcuni settori considerati chiave, tra cui nanotecnologie, biotecnologie e ICT. Poi venne la Piattaforma per l’industry 4.0 gestita direttamente dal ministero dell’Economia e dell’Istruzione tedeschi, perché all’innovazione tecnologica deve procedere in parallelo un corposo programma formativo per la diffusione delle competenze digitali.
Per le fabbriche 4.0 servono manager, impiegati e operai ben preparati.
Investimenti in ricerca e sviluppo, questo è il concetto magico per dare nuovo impulso all’industria manifatturiera digitale, alla crescita economica e alla competitività delle aziende sui mercati internazionali. La Germania investe in tale settore il 2,8% del PIL, più del doppio dell’Italia.
A settembre il Governo italiano è sceso in campo in favore dell’Industria 4.0 con un Piano Nazionale ad hoc che prevede investimenti pubblici per 13 miliardi di euro nel periodo 2017-2020, che dovrebbero mobilitarne 24 miliardi privati. Il documento varato dal Ministero dello Sviluppo è denominato “Industry
4.0, la via italiana per la competitività del manifatturiero”.
Come si legge nell’articolo di Giuseppe Capuano sulla rivista del Mise, “Quaderno informativo – Mercato e consumatori”, pubblicata lo scorso 28 novembre, la crisi ha mostrato come il funzionamento spontaneo dei mercati non è perfetto e il mercato dei capitali non tende naturalmente ad allocare le risorse verso le attività con le maggiori aspettative di profitto.
Ne consegue che lo Stato può e deve intervenire, come ci insegnano alcuni casi studio relativi ai Paesi-mercato BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica), dove con interventi di “chiara matrice keynesiana” gli Stati sono riusciti a “ridurre gli impatti economici maggiormente negativi della crisi”.
Tra gli strumenti di intervento a livello macroindustriale che anche in Italia potrebbero dare ottimi risultati per il rilancio del settore e per mettere il turbo all’industria 4.0 c’è la “metrologia legale”. Se per metrologia ci si riferisce alla scienza “che ha per oggetto la definizione delle unità di misura, la realizzazione, conservazione e replicazione dei relativi campioni, lo studio delle tecniche di misurazione”, la metrologia legale “si occupa di assicurare mediante procedure legislative, amministrative e tecniche la qualità e la veridicità delle misurazioni effettuate per il buon funzionamento della concorrenza e del mercato nell’ambito di scambi economici”.
Scopo ultimo di questo strumento è quindi assicurare il buon funzionamento del mercato, la tutela del consumatore e la trasparenza del mercato. Si tratta generalmente di imprese, il 92,2% in Europa e il 95,1% in Italia, che hanno meno di 9 addetti, secondo la definizione comunitaria denominate “micro imprese”.
L’applicazione della metrologia legale riguarda prodotti di imprese manifatturiere europee per un valore di vendita totale di circa 3,25 miliardi di euro. Più di 200 mila i lavoratori coinvolti.
Per fare un esempio, un settore molto importante in Italia che è interessato direttamente dalla metrologia legale è quello dei trasporti/autotrasporti: “caratterizzato dall’installazione, utilizzo e verifica dei cronotachigrafi analogici e digitali e ora “intelligenti” al fine di garantire la sicurezza sul lavoro e sulle strade”.
Si consideri che le imprese di autotrasporto in Italia sono circa 150.000, con circa il 90% delle nostre merci che si sposta su gomma.
C’è da dire che la metrologia non è sempre stato considerato “uno strumento di policy legato ad una strategia di politica industriale più ampia”, ma più semplicemente “una sommatoria di necessari interventi tecnici eseguiti secondo precise regole burocratiche”. Secondo l’autore, infatti, la metrologia legale dovrebbe trovare progressivamente più spazio nei piani del Governo per l’industry 4.0, perchè “favorisce la certezza di alcuni ‘costi di transazione’ tra soggetti economici, una maggiore trasparenza e sicurezza negli scambi commerciale e costituisce una precondizione per il buon funzionamento del mercato”.
In ultima analisi, una precondizione, quest’ultima, fondamentale “per il buon esito di ogni azione/misura di politica industriale e, più in generale, atta a favorire una maggiore efficienza/efficacia economica degli interventi di politica economica”.