Stampa 3D, Interne of Things, robotica/automazione, realtà aumentata, economia dei dati, intelligenza artificiale, cloud, nuovi materiali, sono tra le tecnologie più avanzate che caratterizzano il paradigma dell’Industria 4.0.
Un panorama di innovazione che si integra perfettamente nella trasformazione digitale in atto e che è sintetizzato nel nuovo Rapporto dell’’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) “La Nuova Rivoluzione industriale: implicazioni per i governi e per le imprese”, presentato ieri al Ministero dello Sviluppo economico, nell’ambito della Presidenza Italiana del G7.
Il documento si focalizza su alcuni temi principali che, da qui al 2030, saranno investiti in pieno dalla trasformazione digitale dell’industria: l’impatto sul mercato del lavoro, sulla produzione e sull’ambiente, ma anche sulla qualità della vita, l’economia reale e il commercio, la distribuzione del reddito tra le famiglie.
Per quel che riguarda il mercato del lavoro, ad esempio, non si conoscono la velocità e l’entità degli adeguamenti futuri ma “la resilienza e la prosperità saranno più propense in paesi che adottano politiche orientate al futuro, con istituzioni funzionanti, con cittadini più istruiti e informati e con capacità tecnologiche essenziali in diversi settori”.
Di certo, la “padronanza delle nuove tecnologie di produzione” promette di favorire una produzione più ecologica, nonché più sicurezza sul lavoro (i lavori pericolosi saranno svolti da robot), prodotti e servizi innovativi e più personalizzati e una crescita più rapida della produttività.
Ciò che si chiede a decisori politici e legislatori è porre in atto tutte le misure possibili per rendere l’adeguamento dell’industria 4.0 il meno duro possibile in termini di posti di lavoro persi e di distribuzione del reddito, “con politiche di lungo periodo dedicate al miglioramento delle competenze, alla mobilità della forza lavoro e allo sviluppo del territorio”.
Sappiamo bene, infatti, che se da un lato le nuove tecnologie creano posti di lavoro attraverso molteplici meccanismi, tali per cui gli aumenti della produttività riflettono effetti positivi sull’economia in generale, dall’altro queste trasformazioni possono richiedere adeguamenti significativi. “Molti lavoratori potrebbero infatti incontrare serie difficoltà se dovessero avvenire tagli di posti di lavoro sia in un settore rilevante dell’economia sia in diversi settori contemporaneamente”.
Una sfida importante consiste nella trasformazione digitale di quelle piccole e medie imprese soprattutto che non sono native digitali.
A tal fine, secondo il Rapporto, “sarà essenziale implementare e redistribuire le risorse umane ed economiche in modo efficace”. Occorrerà, per di più, allineare le politiche che promuovono la concorrenza sui mercati di beni, “rendere più flessibile il mercato del lavoro, eliminare i disincentivi per l’uscita delle
imprese dal mercato e gli ostacoli alla crescita per le aziende di successo”.
Le competenze digitali e le competenze tecniche che integrano le macchine sono vitali: “Tutti i cittadini devono possedere delle “solide” qualifiche di base e generiche”.
È necessario favorire una “maggiore interazione tra l’industria, l’istruzione e la formazione”, e questa necessità potrebbe accentuarsi con l’aumentare dell’intensità delle conoscenze nella produzione. A questo fine, è importante ideare sistemi efficaci sia per l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita sia per la formazione sul posto di lavoro, in modo che “l’aggiornamento delle competenze possa essere in linea con il rapido ritmo dei cambiamenti tecnologici”.
L’economia dei dati sarà “un fattore centrale nella produzione del ventunesimo secolo”. “È necessario adottare misure volte a incoraggiare gli investimenti nei dati che abbiano ricadute positive sulle aziende stesse e tra di esse”, si legge nello studio.
Altro fattore strategico sarà la qualità dell’infrastruttura digitale e il relativo accesso a potenti sistemi informatici.
In ultimo, si legge nelle conclusioni del Rapporto, “occorre costruire una riflessione nel lungo periodo”. Oltre ad affrontare le sfide nel breve termine, infatti, i rappresentanti del mondo del business, dell’istruzione, dei sindacati e del Governo, “devono essere pronti a formulare politiche adeguate e prevedere le evoluzioni future a prescindere dalle scadenze elettorali”. In questo approccio, è necessario riflettere su una serie di nuovi rischi e di sfide posti dalle tecnologie emergenti nonché su come le priorità politiche debbano evolvere in ambiti così diversi come la proprietà intellettuale, la concorrenza, le politiche commerciali e le implicazioni dell’organizzazione di mercato.