Negli ultimi 10 anni il numero degli occupati nelle imprese ad alto tasso di innovazione è calato del 2,6%. Lì dove si è investito di più in innovazione tecnologica digitale la contrazione è stata anche del 5,4%. Questi sono i dati sull’andamento del mondo del lavoro nell’ultimo Rapporto Cerved 2017 dedicato alle PMI, illustrati nel capitolo focalizzato completamente sull’industria 4.0 in Italia.
I dati sono relativi ad un ampio campione di imprese, con ricavi superiori a 500 mila euro nel 2007, che è stato abbinato ai dati INPS sui lavoratori dipendenti del settore privato, con informazioni sulle loro caratteristiche, sui contratti, sulle retribuzioni percepite.
Tra il 2007 e il 2015 il numero di lavoratori nelle aziende analizzate si è contratto, passando da 8,4 a 8,1 milioni di unità (-2,6%). Gli investitori in innovazione sono il gruppo che ha maggiormente ridotto l’occupazione (-5,4%) nel periodo analizzato, a causa della maggiore mortalità delle imprese di questo cluster.
Le società che hanno fortemente investito in innovazione ma anche in capitale fisico prima della crisi (dette le Aquile), mostrano caratteristiche peculiari: sono più giovani, impiegano più donne, più under 45 e una forza lavoro più qualificata.
Se però si conteggiano anche i lavoratori delle imprese nate tra il 2008 e il 2015, il gruppo delle aquile risulta quello che ha maggiormente ampliato la propria base occupazionale. I dati indicano infatti che, delle 253 mila società che costituiscono il campione del 2007, solo 171 mila sono rimaste sul mercato fino alle fine del 2015 (-32%), con un calo ancora più marcato tra gli investitori in innovazione, che hanno perso circa il 40% delle società che operavano nel 2007 (da 11 mila a 6,6 mila imprese).
Tutto questo si è riflesso sul numero di lavoratori persi in imprese uscite dal mercato, maggiore nel gruppo delle aquile (15,8% dei lavoratori del 2007) rispetto agli altri gruppi (circa il 10%).
La maggiore precarietà dei lavoratori di imprese innovative è però accompagnata da una percentuale più bassa di disoccupati di lungo periodo, persone senza un’occupazione per almeno dodici mesi
La maggiore propensione all’investimento si traduce in una maggiore rischiosità rispetto alle altre imprese. Questo si è riflesso in tassi di default più alti, che però sono più che compensati da una alta natalità. Dal punto di vista di bilancio, le aquile sopravvissute mostrano risultati particolarmente positivi in termini di crescita, produttività e redditività.
Per quanto riguarda la forza lavoro, nonostante l’alto tasso di default incida sulla probabilità di non essere più impiegati, le imprese fortemente innovative sono quelle che hanno più accresciuto l’occupazione.
La dinamica delle retribuzioni ha mostrato una crescita più sostenuta tre le imprese che hanno investito in innovazione (+19,3% contro una media pari al 16,8% calcolata sul totale dei lavoratori), mentre la produttività è cresciuta molto più velocemente tra le società che hanno investito maggiormente in innovazione.
Qui la crescita salariale risulta piuttosto omogenea tra i quattro gruppi di aziende (grandi, medie, piccole e micro), compresi quelli che hanno contratto maggiormente fatturato e valore aggiunto, cioè come dire che le retribuzioni seguono trend non legati alle performance economiche delle imprese.
Relativamente la Piano imprese 4.0 del Ministro dello Sviluppo economico, che ha già prodotto risultati sensibili sia in termini di investimenti (+9% su base annua) sia di aumento di spesa in R&S (aumenti attesi fra il 10% e il 15%), i dati più recenti indicano che il piano ancora non mostra evidenze empiriche degli effetti sulle imprese italiane e, più in particolare, sui lavoratori. In particolare, la possibilità di automatizzare molte mansioni con l’utilizzo di nuove tecnologie ha suscitato timori sugli effetti occupazionali del piano.