La rivoluzione industriale 2.0 o industria 4.0 nasce dall’interazione tra industria e tecnologia e ha l’obiettivo di far dialogare tra di loro le fabbriche, il capitale umano e i prodotti stessi. Ovviamente, l’industria 4.0 sarà portatrice di grande sviluppo economico a patto che si continui ad investire in maniera massiccia in tecnologie e soprattutto nell’Internet delle Cose.
Secondo un recente rapporto di Accenture, grazie al piano di investimenti (Made in China 2025) che la Cina sta affrontando in ambito tecnologico e soprattutto nel campo dell’Internet delle Cose, entro il 2030 è previsto un aumento del valore della produzione economica annuale di 1,8 trilioni di dollari. Uno dei settori che trarrà beneficio maggiore da questo piano di investimenti è quello manifatturiero.
Sempre secondo le cifre di del rapporto, attraverso nuovi investimenti nell’Internet delle Cose, il settore manifatturiero cinese riceverà nei prossimi 15 anni benefici cumulativi pari a 196 miliardi di dollari. La Cina, insomma, ha tutte le intenzioni e i numeri per rafforzare la propria economia attraverso investimenti mirati nello sviluppo di sistemi che mettano in correlazione la produzione industriale e l’utilizzo della tecnologia.
Tralasciando alcuni paesi che hanno già intrapreso questa conversione verso l’industria 4.0, come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, in Europa c’è un polo d’eccellenza, che è rappresentato dalla Germania.
Il governo di Angela Merkel ha fatto partire la Strategia Industria 4.0 nel 2011, con la collaborazione tra il Ministero dell’Istruzione e Ricerca con quello dell’Industria, Economia, Lavoro, Interni e Sanità. I primi fondi stanziati nel 2011 ammontavano a 200 milioni di euro ripartiti fra Economia e Istruzione. Ad oggi, i fondi sono stati incrementati considerevolmente e soltanto per Istruzione e Ricerca sono stati stanziati 200 milioni a partire dal 2015.
La Germania continua quindi a investire in piattaforme digitali, software, gestione di big data e robotica, il tutto in nome della digitalizzazione dell’industria che non solo porterà benefici economici maggiori ma creerà, a differenza di quanto molti prospettano, ulteriori posti di lavoro. In Germania si ipotizza per il 2030 un aumento di circa 400mila posti di lavoro nel settore manifatturiero 4.0, una cifra significativa che però cela non pochi problemi. Il rovescio della medaglia è la necessità di garantire formazione di manodopera che abbia le così dette ‘digital skills’. Un capitale umano che sia in grado di adattarsi e integrarsi nel processo digitale dell’industria.
Formare le risorse in chiave digitale ha dei costi notevoli. Si tratta di un investimento a lungo termine che in Germania hanno decisso di fare.
E per quanto riguarda l’Italia?
Quanto siamo distanti dalla digitalizzazione manifatturiera?
Premesso che, nonostante il peso del settore manifatturiero sul totale dell’economia sia passato dal 17,7% del 2007 al 15,5% del 2014, nella Ue l’Italia continua a mantenere la seconda posizione per peso nel manifatturiero, con in testa la Germania e in terza posizione la Francia. Ciò significa che lo sviluppo dell’industria 4.0 è una necessità primaria per il nostro paese e non un’opzione. Questo ovviamente se vorremo continuare ad essere competitivi a livello europeo e globale e se vorremo ottenere delle proiezioni di crescita positive del PIL.
E non bastano la nuova strategia per il mercato unico digitale della Commissione Ue, presentata a maggio dal presidente della Commissione Jean Claude Juncker, insieme al commissario Günther Oettinger, Commissario per l’Economia e la società digitale e Andrus Ansip, Vicepresidente responsabile per il Mercato unico digitale , volto a portare il PIL europeo del manifatturiero al 20% entro il 2020; o il recente asse franco-tedesco sull’industria 4.0.
Ad oggi, l’Italia non ha ancora una strategia ben definita industria 4.0. E anche se ce l’avesse o fosse presentata (a quanto si dice ciò avverrà il 21 novembre a Venaria in occasione del primo ‘”Italian Digital Day” organizzato dal Digital Champion Riccardo Luna, al quale dovrebbe partecipare anche il premier Matteo Renzi….. ndr.). L’Italia registra comunque un ritardo rispetto agli altri paesi membri per quanto riguarda l’infrastruttura della rete (che condiziona notevolmente lo sviluppo di una qualsivoglia industria 4.0) e, non meno importante, la mancanza da parte delle imprese italiane di una cultura digitale e tecnologica, che siano visti come un’opportunità e non come un freno.
Questa mancanza è, innanzitutto, responsabilità delle associazioni d’impresa che non sono state capaci di trasmettere e far percepire i vantaggi della trasformazione digitale alle PMI.
Detto ciò, non vorremmo che questa repentina accelerazione da parte del Governo sulla strategia dell’industria 4.0 fosse dovuta solamente alla brama di ‘accaparrarsi’ i fondi sbloccati dall’UE nell’ambito della strategia per il mercato unico digitale, ma si spera che ci siano degli obiettivi concreti che portino a un reale cambiamento dell’industria e, di conseguenza, a una crescita dell’economia italiana.