Benché, già dal 2014, la Corte di giustizia europea avesse stabilito che la conservazione indiscriminata dei dati di traffico telematico generati dagli utenti (numeri IP utilizzati nelle connessioni, sessioni di posta elettronica, localizzazione degli accessi ecc.) fosse illegittima, l’Italia ha continuato a mantenere in vigore quella parte del Codice dei dati personali (l’art. 132 bis, per la precisione) che impone agli operatori di conservare i dati in questione.
Di proroga in proroga, siamo arrivati all’ultima scadenza, quella del 30 giugno 2017, senza – perlomeno alla data di pubblicazione di questo articolo – che Parlamento o Governo abbiano emanato qualche provvedimento per congelare l’enorme quantità di dati attualmente custoditi da operatori telefonici e internet provider.
Resta da capire se la scelta delle Istituzioni dipenda dalla volontà di rispettare l’indicazione della Corte europea, oppure da una mera dimenticanza.
Quale che sia la ragione, con buona probabilità dal primo di luglio pubblici ministeri, polizia giudiziaria e servizi segreti non potranno più “contare” su un importante strumento informativo.