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Il 5,5% comprende solo informazioni elementari. Turchia e Cile peggio di noi
L’analfabetismo funzionale in Italia rimane a livelli altissimi. Lo confermano i dati più attendibili, quelli dell’indagine Piaac-Ocse del 2019, l’ultima disponibile sulla materia. Secondo la classifica, in Italia circa il 28% della popolazione tra i 16 e i 65 anni è analfabeta funzionale. Uno dei dati peggiori d’Europa, secondi solo alla Turchia dove il problema chiama in causa il 47% della popolazione. In tutto il mondo sono 773 milioni i giovani e gli adulti che non possono vantare un’alfabetizzazione di base. Nell’anno prima del Covid solo lo 0,6% dei quindicenni italiani, contro l’1,1% della media Ocse, raggiungeva il livello più elevato di preparazione. Ma con la pandemia i numeri, quando verranno rilevati nuovamente, saranno peggiori, sia in Italia che nel mondo dato che il 62,3% dei giovani sono rimasti a casa da scuola.
Che cos’è l’analfabetismo funzionale?
Non si tratta tanto di non saper leggere e scrivere, come si intende normalmente; l’analfabetismo funzionale consiste nell’incapacità di comprendere e usare le informazioni che si incontrano nella vita di tutti i giorni, a causa delle non sufficienti abilità nella lettura e comprensione del testo, e nel calcolo.
L’analfabetismo funzionale è un problema per il Paese
La presenza di una elevata percentuale di analfabeti funzionali nella forza lavoro indebolisce la possibilità di innovazione e la competitività del sistema perché una persona che non riesce a fare proprie le informazioni che riceve non è nemmeno in grado di elaborarle e migliorare, quindi, le propria capacità innate. E’ un problema non solo per la persona stessa, che non riesce a sviluppare le proprie capacità, ma anche per il sistema Paese. L’Ocse misura tramite una indagine demoscopica dettagliata il livello di alfabetizzazione dei cittadini dei Paesi membri tra i 15 e i 64 anni, quindi in età lavorativa, e i risultati sono eloquenti. In Italia abbiamo i risultati peggiori tra i Paesi europei che fanno parte dell’Ocse.
I dati sull’analfabetismo funzionale in Italia
Sono il 27,7% gli italiani inclusi nella definizione di analfabetismo funzionale. Ovvero coloro che si fermano al livello 1 di alfabetizzazione o addirittura al di sotto di esso. Vi è un 5,5% che comprende solo informazioni elementari contenuti su brevi testi scritti e non digitali ed espressi con un vocabolario di base (livello inferiore a 1) e un 22,2% che si limita alla comprensione di testi misti, cartacei e digitali, sempre brevi, con l’inserimento di informazioni personali. Ma non va oltre. Si tratta di competenze che, per intenderci, non consentono lo svolgimento di un lavoro che non sia meramente manuale.
L’analfabetismo funzionale nel mondo
Tra i Paesi Ocse solo in Turchia e in Cile la percentuale di quanti si ritrovano in una situazione di analfabetismo funzionale è superiore, arrivando rispettivamente al 45,7% e al 53,4%. Mentre la Spagna con il 27,5% raggiunge livelli analoghi a quelli italiani, anzi, con una percentuale di quanti si ritrovano al di sotto del livello 1, il 7,2%, superiore. Al di sopra della media Ocse gli altri Paesi in qualche modo mediterranei, come Israele, Grecia, Slovenia, Francia. In quest’ultimo caso gli analfabeti funzionali arrivano al 21,6%, contro una media del 18,9%. Leggermente meglio fanno Germania e Stati Uniti con il 17,5% ciascuno.
Le persone funzionalmente analfabete: ecco dove sono
È forse particolarmente sorprendente il fatto che meglio di Germania o Francia in Europa facciano quei Paesi dell’Est più avanzati che infatti sono all’interno dell’Ocse, come Repubblica Ceca, Slovacchia, Estonia. In questi la percentuale di analfabeti funzionale è particolarmente bassa, rispettivamente dell’11,8%, dell’11,6% e del 13%. Si tratta della conseguenza del fatto che è alta, maggiore del 40% la quota di persone che si colloca al livello 3, quello medio.
L’Europa dell’Est e il Giappone sono all’avanguardia
Altrove, per esempio nei Paesi del Nord Europa, sono decisamente elevate anche le percentuali di quanti raggiungono invece il livello 4 e 5, i più alti, al sopra di quello medio. In Finlandia si arriva al 22,2%, in Norvegia al 13,7%, in Svezia al 16,1%. In Italia solo al 3,3%, per intenderci.
Ma nessuno batte il Giappone, dove allo stesso tempo è massima la quota di forza lavoro nel livello 4 e 5, il 22,6%, e minima quella che si ritrova in una condizione di analfabetismo funzionale, solo il 4,9%. Questi numeri sono chiaramente collegati a quelli, particolarmente elevati in Italia, di coloro che non studiano e non lavorano (i Neet), a quelli sull’abbandono scolastico e a quelli sulla scarsità di laureati. Tutti fattori su cui è primario agire per ritornare con pieno diritto tra le nazioni più sviluppate.
L’analfabetismo funzionale è anche digitale
Ma c’è di più. La persona che è analfabeta funzionale ha enormi problemi anche con la tecnologia, al punto da non riuscire a comprendere il testo scritto su una pagina web o ad assimilare le informazioni su come utilizzare internet e le sue potenzialità. Un analfabeta funzionale è, cioè, spettatore “passivo” di internet: usa i social, ma non li sa maneggiare a proprio vantaggio. Quindi, appunto, è un utilizzatore passivo.
Un altro esempio riguarda lo smartphone: l’analfabeta funzionale non riesce a trovare un numero di telefono sul cellulare, ovvero, non comprende che i numeri di telefono registrati si trovano all’interno della rubrica telefonica. E, anche nel caso riuscisse ad accedere, non è in grado di trovare quello che cerca. Non è detto, quindi, che non sappia leggere e scrivere, il punto è che non comprende il senso di un testo scritto, nemmeno se è su un cellulare e comprende poche parole o anche una sola.
Il test per misurare l’analfabetismo funzionale
A livello internazionale sono stati messi a punto dei test specifici per misurare il grado di analfabetismo funzionale di una persona. Sono questionari che servono per verificare se si è davvero in questa condizione oppure no e, quindi, sono molto diversi rispetto ai test per misurare il Qi, il Quoziente di intelligenza.
I test per l’analfabetismo funzionale si dividono in due gruppi, quelli ideati per verificare il grado di literacy e quelli numeric. Alle risposte ad ognuno dei due gruppi di test vengono assegnate dei punteggi che indica il livello di proficiency, cioè, il grado di conoscenze. I livelli sono 6 dove il primo indica un risultato ottimo e l’1 il risultato peggiore. Ecco in che modo:
Livello 1: punteggio inferiore a 176: analfabetismo totale o quasi
Livello 2: punteggio da 176, ma minore di 226: analfabetismo funzionale grave
Livello 3: punteggio da 226, ma minore di 276: analfabetismo funzionale
Livello 4: punteggio da 276, ma minore di 326: conoscenze sufficienti o appena sufficienti
Livello 5: punteggio da 326, ma minore di 376: buone conoscenze
Livello 6: punteggio da 376 in su. conoscenze elevate / molto elevate
La definizione di analfabetismo funzionale
La definizione di analfabetismo funzionale è stata codificata nel 1984 dall’Unesco e consiste nella “condizione di una persona incapace di comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere da testi scritti per intervenire attivamente nella società, per raggiungere i propri obiettivi e per sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità”.
La differenza tra analfabeti e analfabeti funzionali
L’analfabeta funzionale è differente, quindi, da una persona analfabeta. Chi è completamente analfabeta, infatti, non sa leggere o scrivere, mentre un analfabeta funzionale conosce l’alfabetizzazione, cioè è in grado di leggere, scrivere, esprimersi con correttezza grammaticale e stilistica, fare calcoli aritmetici basilari, ma non comprende il significato di tutte le parole o comunque non riesce a fare un discorso complesso, comprendere e analizzare tutto ciò che legge.
Come combattere l’analfabetismo funzionale con la digitalizzazione
Per combattere l’analfabetismo funzionale, o almeno tentare di prevenirlo, c’è solo una strada da percorrere: potenziare l’istruzione. Ovvero, una possibile soluzione potrebbe essere la formazione con corsi online in modo da stimolare l’analfabeta funzionale ad usare i device (pc, tablet o smartphone). Non solo: l’e-learning (l’apprendimento online) permette di poter fruire dello stesso contenuto in vari modi, come video, testo o audio, e suddividere gli argomenti da leggere in più parti, così da concentrarsi sul singolo micro-contenuto.
I dati si riferiscono al: 2021
Fonte: Ocse