Ieri mattina è stato presentato a Roma, presso il Museo Criminologico in via del Gonfalone, “Ragazzi Fuori”, il terzo Rapporto sugli Istituti di Pena per Minorenni, realizzato da Antigone: una stimolante occasione per accendere i riflettori su una realtà spesso rimossa dai media “mainstream”.
Sono stati proposti numeri e storie sugli istituti minorili, visitati tutti nei mesi scorsi dagli inviati di Antigone. Un’iniziativa che merita essere apprezzata anche sulle colonne di un quotidiano telematico come “Key4biz”, attenta alle tematiche delle minoranze e delle diversità, che dovrebbero essere sempre più oggetto di sensibilità e sensibilizzazione nella “società digitale”.
Su queste colonne, tante volte abbiamo intinto nell’inchiostro bordeaux (rosso sangue) per segnalare, lamentare, denunciare la frequente inutilità di tanti “osservatori”, soprattutto nell’ambito mediologico-culturologico (vedi “Key4biz” del 20 novembre 2014: “Eccone un altro: ma servono davvero tutti questi Osservatori?”): quei pochi che dovrebbero funzionare istituzionalmente spesso non funzionano, ed altri, di iniziativa privata, sono spesso deficitari di pluralità di approccio, e quindi sottoposti ad inevitabile rischio di parzialità se non partigianeria.
Le comunità professionali di riferimento sono spesso private della strumentazione essenziale per conoscere, la trasparenza è più invocata che praticata, ed anche il “policy making” diviene inevitabilmente miope. Citiamo, per tutti, ancora una volta, il depotenziato “Osservatorio dello Spettacolo” del Ministero dei Beni e Attività Culturali e Turismo ed il killerato “Ufficio Studi” della Rai.
Esistono eccezioni alla regola: tra queste, senza dubbio, l’encomiabile attività dell’Associazione Antigone, nata alla fine degli anni Ottanta nel solco della omonima rivista contro l’emergenza promossa – tra gli altri – da Massimo Cacciari, Stefano Rodotà e Rossana Rossanda.
È un’associazione politico-culturale a cui aderiscono prevalentemente magistrati, operatori penitenziari, studiosi, parlamentari, insegnanti, operatori dei media e cittadini, che a diverso titolo si interessano di giustizia penale.
Antigone è un soggetto attivo nella promozione di una conoscenza accurata della realtà carceraria, nel tentativo di superare stereotipi e tabù. Particolare l’attenzione di Antigone verso i media: ci limitiamo a ricordare che dal 2010 Antigone cura la trasmissione radiofonica “Jailhouse Rock”, ovvero “Suoni, suonatori e suonati dal mondo delle prigioni”, in onda settimanalmente su Radio Popolare, dove storie di musica e di carcere si incrociano tra di loro. All’interno della trasmissione, va in onda il “Grc”, il primo giornale radio dal carcere interamente realizzato da detenuti e realizzato nelle redazioni create “ad hoc” nel carcere romano di Rebibbia Nuovo Complesso e in quello milanese di Bollate.
La collaborazione con “Jailhouse Rock” ha portato le band di Bollate a uscire più volte dall’istituto di pena, partecipando a festival e concerti. Un paio di anni fa, Antigone ha collaborato alla realizzazione del radio reportage in 5 puntate “Senza via d’uscita”, viaggio negli ospedali psichiatrici giudiziari, andato in onda nel contenitore di Radio 3 “Tre Soldi”.
Nel 2012 Antigone ha ottenuto l’autorizzazione, insieme al service giornalistico multimediale Next New Media, ad entrare in 25 istituti di pena italiani, scelti tra i più rappresentativi del panorama carcerario nazionale, con le videocamere, realizzando il primo “webdoc d’inchiesta” sul sistema penitenziario italiano, “Inside carceri”.
Il documentario web, che si compone di 32 video, 2 audiogallery, 3 infografiche, 177 immagini e oltre 20 schede di testo, è online sul sito www.insidecarceri.com e tutti i suoi contenuti sono scaricabili gratuitamente. Nel 2013, il webdoc “Inside carceri” ha vinto il premio per il miglior soggetto-sceneggiatura-storia originale al Festival dell’Immaginario di Perugia.
Tra le iniziative di studio, ricerca, monitoraggio, vanno segnalati anzitutto l’Osservatorio sulle Condizioni di Detenzione in Italia (nel marzo 2015, è stata presentata la XI edizione, intitolata significativamente “Oltre i tre metri quadri”), ma anche l’Osservatorio Europeo delle Condizioni di Detenzione, il Centro Europeo di Studi Formazione Documentazione e Ricerca sul Diritto Penale e l’Esclusione Sociale, l’Ufficio del Difensore civico delle Persone Private della Libertà…
Antigone pubblica sul proprio sito web – “rara avis”, in Italia – il proprio bilancio sociale: va osservato come con risorse contenute, ovvero meno di mezzo milione di euro l’anno, l’associazione riesca a svolgere una grande pluralità di utili attività. Quasi tre quarti dei finanziamenti provengono peraltro da fondi dell’Unione Europea, da progetti finanziati nell’ambito della Direzione Generale Criminal Justice; un 9 per cento dei ricavi derivano dall’Open Society Foundations – Osf (il “think tank” promosso dal controverso miliardario liberal-progressista George Soros) ed un 6 per cento da progetti finanziati dalla Chiesa Valdese grazie all’8 per mille.
Tra le tante battaglie condotte da Antigone, particolarmente importante è la lotta al proibizionismo, fenomeno che costa all’Italia oltre un miliardo di euro l’anno. Questa è infatti l’incredibile cifra che spende ogni anno lo Stato Italiano per tenere in carcere persone condannate per fatti di droga: persone che, nella grande maggioranza dei casi, non hanno nessun tipo di pericolosità sociale.
Si tratta infatti per lo più di consumatori, piccoli coltivatori e piccoli spacciatori, ovvero di coloro che più di altri finiscono nelle reti della giustizia penale…
Secondo Antigone, si tratta dei “frutti avvelenati del proibizionismo e delle leggi che, negli ultimi 30 anni, sono state applicate nel nostro Paese, per ultima la Fini-Giovanardi che, dal 2006 alla sua abrogazione per incostituzionalità nel febbraio 2014, ha portato ad una vera e propria incarcerazione di massa, con oltre 200.000 ingressi in carcere per reati in violazione del solo art. 73” (che colpisce appunto consumatori e piccoli spacciatori). Secondo Antigone, la via per superare il problema è quella tracciata da alcuni Stati degli Usa nonché l’Uruguay, ovvero la legalizzazione della cannabis.
Il 3° Rapporto Antigone sugli Istituti Penali per Minori (“Ipm”) evidenzia una situazione che può apparire quasi idilliaca, rispetto alle perduranti criticità del complessivo sistema penitenziario italiano (che nell’ultimo anno si è in parte “svuotato”): come scrive Patrizio Gonnella, Presidente di Antigone, nella prefazione, “le carceri minorili hanno oramai, fortunatamente, un uso davvero residuale all’interno del sistema della giustizia dei minori. Proprio per questo, tuttavia, rischia di essere stigmatizzante. Solo i più cattivi vanno a finire in galera: è questo il messaggio che dobbiamo oggi decostruire”.
Si tratta effettivamente di una realtà “minuscola”, se confrontata con il sistema della giustizia penale per gli adulti: 400 ragazzi (in 16 istituti penali), a fronte dei 52mila detenuti a fine 2014 (in 206 istituti penitenziari). Si ricordi che i detenuti erano 68mila a fine 2010, triste record della storia penitenziaria italiana, record che ci è valso la condanna della Corte Europea nel 2013.
A fine luglio 2015, secondo i dati diffusi da Antigone, i detenuti erano 52.754, di cui un impressionante 34 per cento “imputati”, ovvero presunti innocenti. Gli stranieri sono il 33 per cento del totale. Da segnalare che ai 53.623 detenuti a fine 2014, si debbono associare ben altri 22.209 persone che sono sottoposte a misura alternativa (affidamento ai servizi sociali, detenzione domiciliare, lavoratori di pubblica utilità, semi-libertà). In sostanza, le persone sottoposte a misure in qualche modo “sotto controllo penale” sono ben 75mila! Se si pensa alle famiglie coinvolte, abbiamo a che fare con una fetta non indifferente del totale della popolazione nazionale.
Per quanto riguarda la giustizia minorile, si tratta di una realtà che riguarda poche centinaia di giovani, una media di circa 400 negli ultimi dieci anni (401 ragazzi nel 2013, 362 ragazzi nel 2014): per decenni, la presenza dei ragazzi negli “Ipm” italiani si era attestata attorno alle 500 unità, ma a seguito dell’ondata riformatrice che ha investito il sistema penitenziario degli adulti (e che si è portata dietro a ricasco anche quello minorile), si era arrivati a meno di 350 presenze, oggi nuovamente aumentate dalla presenza dei giovani adulti negli istituti per minori.
In ogni caso, numeri oggettivamente molto bassi.
I dati quantitativi relativi al carcere minorile in Italia vanno analizzati anzitutto nel contesto del radicale processo di “de-carcerizzazione” minorile iniziato negli anni Cinquanta. Se i ragazzi detenuti negli istituti di pena per minori erano addirittura 8.500 nel 1949, erano scesi a 7.100 nel 1950, a 2.600 nel 1960, a 1.400 nel 1970 ed a 900 nel 1975… Questa massiccia de-carcerizzazione dei minori, in anni in cui diminuiva anche la popolazione detenuta adulta, non è stata dunque il frutto di stravolgimenti normativi, ma di un profondo cambiamento culturale ed organizzativo. Il Codice di Procedura Penale Minorile del 1988 ha probabilmente portato a compimento questo percorso sul piano processuale, consolidando una tendenza alla de-carcerizzazione, che invece per gli adulti negli anni ’70 si interrompe. Ma la giustizia penale non vive del solo processo, ed è proprio al di fuori della disciplina processuale che si rilevano ancora gli aspetti maggiormente problematici del nostro sistema.
Un altro dato interessante è rappresentato dai cosiddetti “ingressi”, ovvero i minorenni in stato di arresto, fermo o accompagnamento fino all’udienza di convalida che deve aver luogo entro 96 ore, nei 27 cosiddetti “Cpa” ovvero Centri di Prima Accoglienza: tra il 1998 ed il 2015, l’andamento complessivo degli ingressi nei Cpa è progressivamente decrescente, passandosi dai 4.222 ingressi del 1998 ai 2.193 del 2012, dopo di che questo calo negli ingressi subisce una significativa accelerazione. Nel 2013, sono entrate 2.020 ragazzi, nel 2014 addirittura 1.548, per un calo complessivo dunque di oltre il 60 per cento…
In sintesi, la situazione della giustizia penale per i minori sembra essere ormai in controtendenza rispetto alla deriva generale, che può essere sintetizzata dalla formula del passaggio “dallo stato sociale allo stato penale”, a fronte della crescente pressione del sistema penale sulla nostra società. Il sistema della giustizia penale per i minori sembra potersi porre invece come laboratorio evoluto per una riforma del sistema della giustizia penale per gli adulti.
La presentazione del rapporto (clicca qui per il download) è avvenuta all’interno di un vivace dibattito che ha coinvolto – oltre al Presidente di Antigone ed alla coordinatrice del rapporto Susanna Marietti – Amedeo Spagnolo (dirigente di ricerca dell’Isfol), Sebastian Amelio (dirigente Miur), Alessio Scandurra e Silvia Caravita (ricercatori di Antigone), Lucilla Di Rico (ricercatrice Isfol).
Sono stati chiamati come “discussant” due importanti rappresentanti istituzionali: Francesco Cascini, da qualche settimana Capo Dipartimento della Giustizia Minorile e di Comunità (nuovo dipartimento che associa per la prima volta il “minorile” al “sociale”), e Mauro Palma, esponente del Comitato di Coordinamento degli Stati Generali dell’Esecuzione Penale, nonché Presidente del Consiglio Europeo per la Cooperazione nell’Esecuzione Penale.
Entrambi hanno rappresentato quel “new deal” voluto dal Ministro della Giustizia Andrea Orlando. Apprezzabile osservare come entrambi abbiano partecipato al dibattito per tutta la durata o quasi dello stesso, contraddicendo quell’immagine tipica di “toccata e fuga” che spesso caratterizza i nostrani politici e dirigenti apicali dell’amministrazione nelle occasioni convegnistiche.
Va ricordato che sono in corso due processi di riforma importanti: a fine settembre, è stato approvato dalla Camera ed è approdato in Senato il disegno di legge di modifica del codice penale e del codice di procedura penale, che era stato depositato a Montecitorio a dicembre 2014, dopo la presentazione a giugno delle linee-guida della riforma della giustizia. È composto da 34 articoli: dall’estinzione del reato per condotte riparatorie agli aumenti di pena per furti e rapine, dalla stretta sui ricorsi in Cassazione dopo il patteggiamento a motivi di appello più rigorosi…
Il disegno di legge prospetta modificazioni ritenute valide da gran parte della comunità professionale, ma il pubblico dibattito è stato travolto dal “casus belli” dalla legge delega al governo sulle intercettazioni, che alcuni (il quotidiano “il Fatto”, in particolare, ne ha fatto una battaglia campale) ritengono possa degenerare in “bavaglio allo stampa”. Sono altresì in corso gli “Stati Generali sull’Esecuzione Penale”, fortemente voluti dal Ministero della Giustizia Andrea Orlando, che dovrebbero portare tra fine anno ed inizio del prossimo ad una grande occasione di discussione pubblica sul senso della “pena” nell’Italia attuale, fornendo stimoli per l’azione di riforma del Governo.
Francesco Cascini (Capo Dipartimento della Giustizia Minorile e di Comunità), in un intervento lucido ed equilibrato, ha lamentato come spesso si tenda ad assegnare al Ministero della Giustizia un ruolo improprio, allorquando alcune tematiche sensibili (dalla sanità alla cultura) dovrebbero essere affrontate con un’azione coordinata con gli altri dicasteri competenti, il che purtroppo raramente avviene. Cascini ha più volte lamentato la grande “frammentazione degli interventi” istituzionali (che è peraltro tematica cui abbiamo dedicato fiumi di inchiostro su queste colonne).
Cascini ha anche manifestato una piccola ma sintomatica provocazione “iconologica”: negli istituti per i minori, gli agenti non indossano l’uniforme: è giusto? è sbagliato?!
Il Capo Dipartimento ha sostenuto che se l’agente penitenziario deve rappresentare – come rappresenta – lo Stato, quella “uniforme” è un simbolo di uno Stato, che dovrebbe porsi come autorevole e non autoritario, e quindi anche il minore detenuto non dovrebbe vederlo come fonte di timore.
Mauro Palma (consigliere del Ministro Orlando per le tematiche sociali ed esponente del Comitato di Coordinamento degli Stati Generali dell’Esecuzione Penale nonché Presidente del Consiglio Europeo per la Cooperazione nell’Esecuzione Penale), ha evidenziato, in un intervento colto e raffinato, come il rapporto di Antigone sia un caso di eccellenza più unico che raro a livello europeo: viene autorizzato il monitoraggio della realtà carceraria ad una pur qualificata realtà associativa comunque privata, che pure resta estranea rispetto all’amministrazione dello Stato.
Non accade nemmeno in Paesi che si ritiene – spesso a torto – più evoluti del nostro anche in materia di ordinamento giudiziario. Palma ha evidenziato come sia in atto un “nuovo corso”, una vera e propria “nuova stagione politica”, che finalmente assegna particolare importanza alla dimensione culturale del fenomeno carcerario, in una prospettiva di welfare sociale, riconoscendo importanza alla strategia così come ai simboli.
Con franchezza, ha comunque riconosciuto che in Italia, al di là della situazione complessivamente positiva, esistano alcuni istituti di pena per i minorenni che hanno caratteristiche “inaccettabili”, e sui quali urge intervenire. Palma ha anche fatto cenno alla problematica sempre più delicata e strategica dell’accesso della popolazione detenuta, giovani inclusi, ad internet: come regolare il rubinetto digitale senza degenerare in repressione?!
In parte diverso, ovvero piuttosto critico, l’approccio dell’intervento appassionato di Cristina Maggia, giudice ligure e Vice Presidente dell’Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia: pur segnalando come la situazione della giustizia minorile italiana sia forse la migliore a livello europeo, ha denunciato che permangono problematiche di coordinamento organizzativo e di limitatezza delle risorse che finiscono spesso per vanificare parte degli sforzi dei magistrati e degli educatori. Efficace una teoria della Maggia, basata sulla sua esperienza di giudice: “sono convinta che ogni persona sia migliore delle sue peggiori condotte”.
In conclusione, emerge dalla presentazione del rapporto di Antigone come il modello di carcerazione debba sempre più essere ispirato a principi di rispetto della dignità umana e di integrazione sociale: più vi è legalità e umanità e cultura nel sistema penitenziario, più questo produce effetti significativi nell’abbassamento della recidiva. Lo sviluppo di attività di formazione professionale (con particolare attenzione ai laboratori artigianali) e di promozione della cultura (teatro, musica, letteratura… con ruolo attivo del detenuto) dimostrano come una giustizia “mite” paghi, in termini di costi sociali e di complessivo “welfare” sociale (riduzione dei costi dei danni futuri, una fenomenologia che va ben oltre ogni vincolo da “spending review”).
Da segnalare infine come l’Osservatorio presentato oggi da Antigone non benefici di sovvenzionamenti pubblici di sorta: se questa è – per alcuni aspetti – una ulteriore garanzia di autonomia e di libertà, essa appare anche come un segno di disattenzione da parte delle istituzioni, rispetto ad uno strumento cognitivo che riteniamo dovrebbe essere fortemente sostenuto e promosso dal Ministero della Giustizia in primis.