L’atteggiamento del Governo Renzi nei confronti della Rai non è né chiaro né trasparente: se è un dato di fatto che l’Esecutivo ha autoritariamente privato il “public service broadcaster” italiano di 150 milioni di euro (in nome della “spending review” universale) con un gesto che sembra irrazionale, la complessiva strategia governativa appare confusa, ed i pochi segnali che emergono sono contraddittori, all’interno di uno scenario di (apparente?!) immobilismo.
La data del rinnovo della convenzione di servizio pubblico si avvicina, ma temiamo che qualche “atto di forza” governativo verrà assunto ben prima del maggio 2016.
#ilprincipenudo ragionamenti eterodossi di politica culturale e economia mediale, a cura di Angelo Zaccone Teodosi, Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) per Key4biz.
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Quel che spiace è che non si concretizzi in nessun luogo una discussione profonda e seria, pubblica e aperta, intorno ad una tematica così importante e delicata.
Si registrano piccole iniziative, si ascoltano voci singole, si organizzano convegni, si legge qualche intervento sui quotidiani, ma manca completamente un dibattito approfondito, un confronto accurato, un set documentato, un laboratorio critico.
Qualche giorno fa, è stata la stessa Rai a promuovere un incontro, dal titolo ambizioso ed altisonante: “Missione, indipendenza e governance del servizio pubblico: l’esperienza europea”. Iniziativa tenutasi il 14 ottobre all’Auditorium Loyola dell’Università Gregoriana (perché la scelta di questo luogo?!).
Ci limitiamo a segnalare che la kermesse ha registrato un’audience… da canale minore del digitale terrestre ed una ricaduta stampa tendente a zero.
Ci limitiamo a segnalare che non è stato distribuito uno straccio di dossier, o finanche un minimo di documentazione essenziale su tematiche sì delicate. E ciò basti. La Presidente Anna Maria Tarantola ha comunque utilizzato questa passerella per denunciare che il “sistema duale” italico non ha funzionato, e che la Rai, dal 2005, vanta un credito di ben 2,3 miliardi di euro nei confronti dello Stato (a proposito di “certezza di risorse”!).
E che dire dell’iniziativa promossa l’11 e 12 settembre a Roma presso il Maxxi “The Promise of Eu” (officiata da Mise, Rai, Ebu, Formez, ecc.), nell’ambito del mitico Semestre Italiano, su cui abbiamo scritto su queste colonne (leggi: “Quanti inutili convegni (parte seconda): effimere kermesse senza seguiti”)? Riproposizione di kermesse organizzate in modo improvvisato ed affrettato, impostate male e mal comunicate, che finiscono per lasciare il tempo che trovano…
In sintesi: ancora una volta, si promuovono iniziative che non stimolano un “evidence-based policy-making”.
Deficit di conoscenze
Lo stato dell’arte delle conoscenze su queste materie è deficitario, e le responsabilità vanno cercate nella sonnolenza sia della stessa Rai (che ha ridotto in modo estremo i budget per “r&d”, e non ha più nemmeno un Ufficio Studi), sia dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (che ha anch’essa sostanzialmente azzerato le proprie attività di ricerca e studio). Dell’italica accademica, meglio tacere, data la sostanziale inesistenza di corsi e studi di politica ed economia mediale.
Contratto di servizio
La deriva nella quale è stata peraltro costretta la Rai è veramente indegna di un Paese civile: ci limitiamo a ricordare che il “Contratto di Servizio 2013-2015” (si noti bene: “2013-2015”, e siamo a metà ottobre 2014!) è ancora in fase di “perfezionamento”, e si tratta di un contratto, ovvero di una bella dichiarazione di intenti, che – tra le tante falle – andrebbe ad escludere le trasmissioni di intrattenimento dai generi di servizio pubblico (pura follia).
Il Presidente della Vigilanza Roberto Fico sollecita la Presidente Rai alla firma del nuovo contratto (il precedente è scaduto nel dicembre del… 2012) con il Ministero dello Sviluppo, ma la Tarantola sembra nicchiare. Peraltro, il parere della Vigilanza non è vincolante, e quindi… parole al vento!
Il dibattito
Va dato atto che è stato Articolo21, benemerita sinistrorsa associazione cultural-politica (attuale Segretario Generale è Tommaso Fulfaro, tra i promotori vanno annoverati Beppe Giulietti, Vincenzo Vita, Renato Parascandolo), a rappresentare l’avanguardia di una “consultazione” (annunciata da tempo dal Governo e finora non concretizzatasi), con un incontro promosso nel luglio del 2013 presso il Cnel, un successivo ad ottobre in occasione del festival Eurovisioni, un altro presso l’Università di Torino nell’aprile del 2014, un altro ancora in occasione dell’ultima edizione (XXVIII) di Eurovisioni ancora, il 10 ottobre scorso a Villa Medici…
Quasi una provocazione, quella di Articolo21, che ha anche coinvolto centinaia di studenti in un concorso per la riscrittura della carta d’identità della Rai in previsione del rinnovo della concessione. Accantoniamo noiosi accademici e saccenti esperti, e ci rivolgiamo alle… giovani menti, per acquisire stimoli innovativi?! Siamo ridotti un po’ male, allora.
Dispersione di idee
Occasioni di incontro e dibattito ce ne sono, ma la dispersione è di idee e contenuti, presto effimeri, ormai una patologia diffusa. Citiamo alcune altre iniziative: il 23 settembre, a Torino, nell’ambito del “Prix Italia”, c’era stato un (altro) dibattito su “mission e governance” del servizio pubblico che s’evolve da radiotelevisivo a crossmediale, stimolato dagli attivisti di InfoCivica (ed in particolare, dal Segretario Generale Bruno Somalvico), ma anche lì non è emersa alcuna particolare novità.
Continua tenace l’esperimento dialettico promosso con “100 parole, 100 mestieri per la Rai”, una sorta di “brainstorming” voluto dal neo Presidente dell’Associazione dei Dirigenti Rai (Adrai) Luigi De Siervo, amministratore delegato di RaiCom ma soprattutto consigliere di fiducia del premier Renzi.
Avviato il 23 giugno presso lo Studio 2 di via Teulada, il percorso è stato sviluppato accademicamente dal decano dei mediologi italiani, il professor Mario Morcellini (Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale dell’Università di Roma “Sapienza”), che ha programmato quattro seminari, all’interno dell’iniziativa denominata “Pallacorda Rai”, ovvero “Vocazione Servizio Pubblico”: il 21 luglio, l’incontro introduttivo, intitolato “Dalle criticità alle proposte. Verso una ridefinizione delle priorità per un nuovo servizio pubblico”; il 17 settembre, incontro su creatività, sperimentazione, contenuti e linguaggi; l’8 ottobre, incontro sul giornalismo di servizio pubblico; il 31 ottobre, incontro su un tema ancora non precisato (secondo la scaletta originaria, “quali risorse per il servizio pubblico” oppure “la Rai come media company pubblica”)…
Il 25 settembre, la Fondazione gasparriana “Fare futuro” ha promosso l’incontro “A 10 anni dalla legge Gasparri come cambia la televisione”: il Direttore Generale della Rai ha utilizzato questa occasione per sostenere che “sarebbe auspicabile e opportuno che la governance della Rai fosse più vicina ad aziende come Eni, Enel, Finmeccanica e Poste, che a enti pubblici come le asl o le biblioteche comunali”.
Elucubrazioni teoriche
Individuali prese di posizione, interessanti elucubrazioni teoriche, in sostanza ludi intellettuali e politici, che purtroppo non contribuiscono granché al miglioramento qualitativo dello stato dell’arte delle conoscenze in materia ed alla disseminazione del necessario know-how nelle comunità professionali di riferimento.
Basti ricordare che la Rai ha interrotto nel 2009 un decennale progetto di “Osservatorio Rai-IsICult sui Sistemi Televisivi Pubblici Europei”, ovviamente per… carenza di budget (si tratta di un progetto ideato da chi scrive queste noterelle e, in origine, da Francesca Medolago Albani, allora partner di IsICult e da qualche anno Responsabile dell’Ufficio Studi dell’Anica).
Fonti incerte e inutili convegni
E che le “fonti” per acquisire informazioni accurate su queste tematiche siano deboli ed incerte, non adeguatamente validate, viene confermato anche dalla debolezza metodologica dei dati utilizzati da Angelo Guglielmi e Stefano Balassone, nel pamphlet fresco di stampa “Finalmente la riforma Rai!”, edito per i tipi di Bompiani.
Come diavolo si può ragionare di “buon governo” ed eccellente “governance”, non disponendo di dataset minimamente affidabili, di analisi comparative internazionali, di valutazioni di impatto?
Convegni, quanti inutili convegni… Così operando, l’Italia (Governo Renzi) si conferma un Paese approssimativo, spannometrico, nasometrico, il regno dei borbonici “facite ammuina” e dell’“aumm aumm” pervasivo. Si governa a vista. Anzi, si governa… alla cieca! Nel mentre… “fiumi di parole”, come cantavano gli indimenticati Jalisse.
Le mosse di Matteo Renzi
Intanto, nell’ombra (o al buio?!), il Governo “elabora”, nelle sue segrete stanze (nulla si sa del gruppo di “saggi” cooptati da Antonello Giacomelli, che peraltro non s’è più riunito da settimane).
Il 16 settembre, in un intervento alla Camera, Matteo Renzi ha annunciato che “al termine dei 1.000 giorni (si tratta dell’iniziativa governativo-comunicazionale “Passodopopasso. Mille giorni per cambiare l’Italia”, in cui si rimanda all’omonimo sito web peraltro incredibilmente in versione “beta” ancora a metà ottobre, n.d.r.), ci sarà una riforma della Rai in cui la ‘governance’ sarà sottratta ai singoli partiti”.
Il Premier ha dichiarato “sarà sottratta ai singoli partiti” (ma non alla partitocrazia?! potrebbe commentare ironicamente un pannelliano…) ed ha rivendicato: “io dico… io che sono il capo del partito più grande in Italia e che rivendica con orgoglio di non aver mai incontrato l’Ad dell’azienda pubblica” (se non lo ha incontrato, verrebbe da ironizzare, è perché la Rai ha ancora un “Cda” ed un “Presidente” ed un “Dg”, e non ancora un “Amministratore Delegato”…).
Critiche vacue
Si è espresso criticamente il Presidente della Commissione di Vigilanza, Roberto Fico: “Il governo Renzi, con il prelievo forzoso di 150 milioni di euro, ha dato il via alla vendita di RaiWay in mano ai privati. Insomma, Renzi non avrà parlato con il dg, ma ha dato un colpo forte alla Rai e ad un asset strategico per il Paese”.
Le parole di Fico vanno condivise, ma – da non militanti grillini – ci domandiamo: cosa ha combinato fattivamente il Presidente della Vigilanza, da quando ha assunto la prestigiosa carica, per determinare un “new deal” concreto nelle policy pubbliche in materia?!
D’accordo, il Movimento 5 Stelle è parlamentariamente costretto nell’angolino, ma forse ci si attenderebbe un qualche conato di maggiore interventismo (concreto non retorico): per esempio, se castrato politicamente, perché Fico non si dimette dall’incarico?!
Riforma Rai, più annunciata che reale?
Attingiamo al cosiddetto stenografico, per capire meglio cosa ha detto esattamente Matteo Renzi il 16 settembre: “Al termine dei mille giorni, ci sarà una riforma della Rai, in cui la ‘governance’ deve essere sottratta dalle scelte del singolo partito. Lo dice il capo del partito più grande d’Italia, che rivendica con orgoglio il fatto di non avere mai incontrato in questi primi mesi l’amministratore delegato dell’azienda pubblica, lasciando la libertà, a quell’azienda, di svolgere il compito che gli azionisti le hanno dato”. (Un anti-renziano potrebbe commentare che quella “libertà” è stata discretamente limitata dalla decisione di taglio budgetario dei 150 milioni…).
Una manciata di secondi, poche righe nell’economia di un discorso la cui trascrizione richiede una decina di pagine. E ciò basti. Peraltro, sempre con poche parole Renzi aveva annunciato, il 18 aprile, durante la presentazione del decreto legge Irpef, che la Rai veniva chiamata a “concorrere al risanamento dei conti pubblici”, con un contributo giustappunto di 150 milioni di euro. E comunque 1.000 giorni son 1.000 giorni: la riforma Rai è più annunciata che reale?! E Renzi reggerà… 1.000 giorni???
Urgente la questione del canone
Secondo alcuni, si potrebbe presto intervenire (entro novembre) con un decreto legge per l’urgente questione del canone (una “riforma radicale” annuncia il Sottosegretario Giacomelli), e rimandare ad un disegno di legge una riforma più ambiziosa, che, guardando al “modello” Bbc (che peraltro temiamo ben pochi abbiano studiato per bene), potrebbe prevedere un “Consiglio di Sorveglianza”, una specie di organismo-cuscinetto tra il Parlamento e l’amministrazione aziendale, che assorbirebbe il compito di nominare il Cda ovvero l’Amministratore Delegato (se non Unico, e già circola il nome di Antonio Pilati, se non addirittura quello dello stesso Giacomelli).
I pessimisti temono una soluzione… all’amatriciana.
Qualcuno ha prospettato anche un ruolo attivo dell’Agcom, ma il 6 ottobre il Sottosegretario Giacomelli ha prontamente precisato “nessun ruolo dell’Authority nella governance”.
Si osserva che quello del “Consiglio di Sorveglianza” sarebbe un modello simile a quello utilizzato dalla Società Italiana Autori Editori (l’Assemblea degli associati Siae nomina il Consiglio di Sorveglianza, il Consiglio di Vigilanza nomina il Consiglio di Gestione), che pure è soggetto giuridico di tutt’altra natura (si tratta di un “ente pubblico economico a base associativa”, e gli associati sono circa 100mila, sebbene una minima parte di questa base partecipi ai processi elettorali), anche se forse è opportuno qui ricordare che Siae è socia per lo 0,44 per cento della Rai (il restante 99,56 per cento delle azioni è in mano al socio Ministero per l’Economia).
Da segnalare anche l’eccentrica (ma stimolante) proposta di Enrico Buemi, senatore del Psi, che ha illustrato il 7 ottobre il disegno di legge del Partito Socialista per la riforma dei criteri di nomina ai vertici della televisione pubblica, con tre punti-cardine: no alla privatizzazione; passaggio della maggioranza azionaria detenuta dal Dipartimento del Tesoro ad una fondazione indipendente, espressione delle maggiori istituzioni culturali del Paese, Fondazione che – a sua volta – nomina il Cda, nel tentativo di sottrarre così la “governance” dell’azienda alla lottizzazione dei partiti; possibilità per gli utenti (ovvero gli abbonati) di eleggere i propri rappresentanti ai vertici aziendali attraverso la sola esibizione della ricevuta di pagamento del canone…
Sindacati agitati
Nel mentre, si agitano – giustamente – anche i sindacati: il 15 ottobre, il coordinamento nazionale Rai di Slc Cgil, Uilcom Uil, Ugl Telecomunicazioni, Snater, Libersind-ConfSal, alla luce delle scelte del Governo e dei vertici aziendali, ha evidenziato la preoccupazione per il futuro dell’azienda di servizio pubblico, esprimendo la assoluta contrarietà alla vendita e la collocazione in borsa della società Rai Way.
Più specificamente, i sindacati hanno inviato ai vertici aziendali una richiesta d’incontro, in tempi rapidissimi, su tre presupposti: fermo della vendita di Rai Way; confronto sul “Piano Industriale”; informativa sul nuovo “contratto di servizio” tra Rai e Rai Way.
I sindacati hanno trasmesso la richiesta a Viale Mazzini chiarendo che i termini del confronto non potranno andare oltre i 5 giorni, superati i quali il coordinamento ha dato il mandato alle segreterie per avviare le procedure di sciopero sui punti già definiti. Si sciopera per cosa, esattamente?! In sostanza, per mantenere lo “status quo”, dato che l’incertezza per il futuro (così oscuro…) è tale da preoccupare i lavoratori sindacalizzati, e da far temere loro che ogni cambiamento non possa che essere peggiorativo…
Si vola basso, anzi rasoterra, allorquando la questione Rai, strategica per la socio-economia del Paese, meriterebbe ben più seria attenzione ed un coraggioso lavorio immaginifico.