La notizia clamorosa circolava già da ieri l’altro (martedì 28 giugno), ovvero da quando era stata depositata una sentenza del Tar del Lazio destinata a “fare storia”, oltre che giurisprudenza, ma è stata rilanciata alla grande soltanto questa mattina (giovedì 30), con un articolo a piena pagina sul quotidiano “La Repubblica”, a firma di Anna Bandettini: il Tribunale Regionale del Lazio ha sentenziato che il “decreto Nastasi” del luglio 2014, che ha rivoluzionato il sistema di sostegno pubblico allo spettacolo in Italia, va “annullato”.
Le conseguenze sono devastanti, ai limiti del surreale, se non dell’incredibile: tutto il sistema dei finanziamenti pubblici allo spettacolo viene bloccato.
Il Ministro Dario Franceschini, questa mattina, a margine di una conferenza stampa, ha dichiarato a chiare lettere: “non ci sono molte possibilità di scegliere: il Direttore Generale bloccherà i finanziamenti, perché il decreto è già annullato da una sentenza esecutiva; quindi, se non c’è un cambiamento in Consiglio di Stato, vengono purtroppo bloccati i finanziamenti, anche quelli in corso di pagamento”.
Il Ministro ha assunto la netta decisione dopo una sofferta riunione, questa mattina alle 8.30, nella sede del dicastero, e l’impostazione assunta è stata veramente radicale, più di quanto si potesse prevedere ancora ieri. In effetti, ieri, il Direttore Generale dello Spettacolo dal Vivo Ninni Cutaia aveva dichiarato: “Posso solo dire che stiamo pensando di ricorrere in appello. I nostri uffici legislativi stanno studiando i possibili effetti di questa sentenza del Tar del Lazio. È arrivata sui nostri tavoli da ventiquattro ore, gli avvocati stanno facendo le loro valutazioni. I finanziamenti del 2015 sono già stati erogati, così come gli acconti, per il 50 per cento, di quelli del 2016. Se verranno bloccati o meno, per ora non lo sappiamo”.
Secondo le parole del Ministro, sembrerebbe che verranno bloccati soltanto i finanziamenti erogandi, ma lo scenario appare assolutamente confuso, nelle sabbie mobili del diritto amministrativo.
Si tratta di 407 milioni di euro, ovvero della dotazione 2016 del Fondo Unico dello Spettacolo (Fus), ovvero della gran parte delle sovvenzioni pubbliche destinate al cinema, al teatro, alla lirica, alla musica, ai circensi ed allo spettacolo viaggiante.
In verità, il cinema è escluso, perché il “decreto Nastasi” è relativo esclusivamente allo “spettacolo dal vivo”, ma si ha ragione di ritenere che una simile epocale sentenza finisca per avere conseguenze anche in relazione all’iter del disegno di legge Franceschini-Giacomelli di riforma dell’intervento dello Stato nel settore cinematografico-audiovisivo (vedi “Key4biz” del 29 gennaio 2016, “Rivoluzione cinema: ma come saranno allocate le risorse?”), perché il Tar mette in discussione lo spirito stesso della riforma del 2014: ovvero del “quantitativo” rispetto al “qualitativo”.
L’iter del ddl Franceschini (Atto Senato n. 2287) approvato nel Consiglio dei Ministri del 28 gennaio 2016, è in fase evoluta di dibattito parlamentare, nel tentativo di “congiunzione” cioè “compromesso” con la più radicale (e… “qualitativa”) proposta di legge-quadro promossa da Rosa Maria Di Giorgi, comunicata alla Presidenza del Senato il 24 marzo 2015 (Atto Senato n. 1835). Peraltro, lo stesso Franceschini sta lavorando ad un novello “Codice dello Spettacolo” che dovrebbe affrontare la scottante materia.
Ricordiamo che stiamo quindi trattando di pubbliche sovvenzioni per complessivi 141 milioni di euro a favore delle attività di teatro, musica, danza, circhi, spettacolo viaggiante, ovvero oltre un terzo della dotazione totale del Fus (che è stata nel 2015 di 406 milioni di euro, sempre ricordando che le fondazioni lirico-sinfoniche assorbono, da sole, un incredibile 41% del totale, ovvero 182 milioni di euro).
Il Ministero corre tempestivamente ai ripari, ma nel mentre si prospetta una paralisi di dimensioni impressionanti, e prevediamo che sarà presto necessario un intervento “dall’alto”, ovvero un decreto legge promosso da Franceschini e benedetto da Renzi in sede di Consiglio dei Ministri. Il Ministro ha precisato oggi: “Se c’è una sentenza del Tar che annulla il decreto, naturalmente noi ci attiveremo al Consiglio di Stato, con tutte le cose che si devono fare per chiedere che venga modificata quella sentenza. Sono fiducioso, perché ci sono ottime ragioni che l’Avvocatura sosterrà in Consiglio di Stato… D’altronde, quando ci sono 120 ricorsi, si può anche immaginare che, se un ricorso viene accolto, produce degli effetti; non è che i ricorsi sono delle dichiarazioni di principio”.
In verità, nel caso in ispecie, con la sentenza n. 07479/2016, a firma del Presidente (ed estensore) Leonardo Pasanisi (magistrato che presiede la Seconda Sezione Quater), il Tar manifesta non soltanto una formale critica ad un decreto ministeriale, ma propone anche delle… “dichiarazioni di principio” sostanziali: in sintesi, il finanziamento della cultura non può avvenire attraverso meccanismi prevalentemente quantitativi, e deve invece essere soprattutto la qualità il criterio discriminante (si apre poi un capitolo infinito su cosa si possa e debba intendere per “qualità”, ma questo è un altro discorso). Il Tribunale Amministrativo va oltre, arrivando infatti a sostenere che il “fattore qualitativo”, ovvero esso “solo può giustificare l’intervento finanziario statale”. Altro che… “automatismi” tanto invocati dai neo-liberisti. E che dire, allora, del tanto decantato “tax credit” per l’industria cinematografica, basato invece su indici prevalentemente quantitativi?! Indirettamente, il Tar andrebbe a scardinare anche quell’architettura “meccanica”…
La questione assume veramente una grande rilevanza politica, e conferma l’esigenza, ormai ineludibile, di avviare un serio ragionamento critico, complessivo e strategico, sull’intervento della “mano pubblica” nel sistema culturale italiano: da decenni sosteniamo questa necessità, e da anni anche sulle colonne di questa rubrica “ilprincipenudo” su “Key4biz”.
Lo Stato italiano continua infatti ad intervenire nelle politiche culturali e nelle economie mediali senza disporre di una “cassetta degli attrezzi” adeguata: ne consegue che ogni intervento – normativo o regolamentativo che sia – mostra piedi di argilla, non appena qualcuno cerca di comprenderne l’efficienza, l’efficacia, e finanche il senso stesso.
La sentenza del Tar si pone come sonora bocciatura rispetto ad un regolamento ministeriale che s’è impropriamente elevato a norma di legge: molti osservatori critici (tra cui chi redige queste noterelle), a suo tempo, l’avevano denunciato, ma non son stati ascoltati. Il Tar sentenzia, in sostanza, che il decreto ministeriale a firma Nastasi “non è lo strumento adeguato” per riformare l’intervento pubblico a favore dello spettacolo.
La vicenda specifica del nuovo “regolamento” sul Fus è stata peraltro oggetto di approfondita attenzione, sulle colonne di “Key4biz” (vedi, da ultimo, “Fus: nuove iniziative e progetti speciali, ma il decreto Nastasi può migliorare”, su “Key4biz” del 16 dicembre 2015), anche perché sintomatica dei deficit cognitivi che il sistema pubblico di sostegno alla cultura continua ad evidenziare: deficit che riguarda lo spettacolo, così come i finanziamenti all’editoria o alle emittenti radiofoniche e televisive locali o ai beni culturali. Il problema si pone a 360 gradi, Rai inclusa ovviamente.
Ricordiamo: nell’estate 2015, sono stati resi noti i risultati della prima concreta applicazione del cosiddetto “decreto Nastasi” (dal nome dell’allora Dg del Ministero, Salvo Nastasi, da un anno Vice Segretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri) emanato nell’estate del 2014, che ha rivoluzionato gli storici meccanismi di sostegno pubblico allo spettacolo – attraverso quel che è stato definito “l’algoritmo della rottamazione” – e nel mondo del teatro e della musica italiani si son registrati umori neri da una parte di operatori del settore.
Soggetti storicamente sovvenzionati – e spesso altamente qualificati – sono stati esclusi, e ciò ha determinato inevitabili reazioni di rabbia, mentre molti nuovi entranti (di cui una parte significativa “under 35”) hanno apprezzato lo scardinamento di fatto di un “assetto storico” del sistema. Molti si son dichiarati soddisfatti (a partire dai nuovi entranti, naturalmente), ma si son registrate proteste, assemblee, lettere aperte, interrogazioni parlamentari, istanze di accesso agli atti, ed infine gli immancabili ricorsi al Tar… Oltre 120 ricorsi: nella storia d’Italia, non s’era mai registrata una “resistenza” così impressionante.
Il pronunciamento del Tar laziale del 28 giugno 2016 accoglie specificamente le contestazioni del milanese Teatro dell’Elfo-Puccini e della parmense Fondazione Teatro Due – entrambi rappresentati in giudizio dall’avvocato Beniamino Caravita Di Toritto – secondo alcuni le più “pesanti” sugli oltre 120 ricorsi presentati a seguito delle assegnazioni decise con il “decreto Nastasi”.
Viene contestato anche il cosiddetto famigerato “algoritmo”, che caratterizzava il decreto ministeriale. La sentenza del Tar stabilisce che il decreto, che affida ad un algoritmo, in base a determinati criteri, l’assegnazione delle quote del Fus ai vari richiedenti, determina una “grave svalutazione della qualità artistica” dei progetti, mentre, di conseguenza “privilegia irragionevolmente gli indici quantitativi”. Continua la magistratura amministrativa: “Il passaggio dalla logica dell’intervento ‘a pioggia’ a una logica maggiormente selettiva è apprezzabile, ma il passaggio attraverso il ricorso ad indici quantitativi largamente prevalenti appare irragionevole”.
Più specificamente: “L’Amministrazione invoca i benefici di una maggiore ‘oggettivazione’ dei parametri di riferimento, che si basa sull’adozione di indici e algoritmi. Ma il Collegio ritiene che questo sistema finisca con il rappresentare, di fatto, un’abdicazione al difficile ma ineludibile compito di una valutazione (percentualmente ma anche sostanzialmente) adeguata del fattore qualitativo, che solo può giustificare l’intervento finanziario statale in subiecta materia”. E quindi il Tar sentenzia: “Queste considerazioni conducono a ritenere l’illegittimità anche “sotto il profilo sostanziale dell’intero sistema di valutazione stabilito dall’art.5 del Decreto Ministeriale 1 luglio 2014, unitariamente considerato come basato su criteri e fasi tra loro praticamente inscindibili”.
Pesante anche un altro passaggio della sentenza: “il Decreto Ministeriale ha natura sostanziale di regolamento, ed è stato emanato in violazione delle disposizioni procedimentali che prevedono, tra l’altro, il parere obbligatorio del Consiglio di Stato (che non risulta essere stato acquisito)”. Ciò consente di “rilevare la radicale illegittimità, anche a prescindere dagli ulteriori profili attinenti alla violazione dell’art.117 della Costituzione”.
La bocciatura è quindi formale e sostanziale.
Al di là delle inquietanti immediate conseguenze nell’economia del settore dello spettacolo, non resta che augurarsi che il Ministro voglia fare in modo che quanto accaduto possa stimolare un “rilancio” di lungo respiro, e la rimessa “in gioco”… ovvero la ri-definizione delle “regole del gioco”, che deve avvenire attraverso ampie pubbliche consultazioni ed un articolato dibattito parlamentare: sereno e strategico, oltre che sinceramente autocritico. Il sistema culturale italiano ne ha necessità, non si può continuare a governare in modo così “nasometrico”, teorizzando bene ma razzolando male… è di lunedì scorso la pesante accusa mossa in prima pagina dal quotidiano diretto da Marco Travaglio, che ritiene che Franceschini dipenda troppo da lobby come l’Anica (vedi l’articolo di Tommaso Rodano, “Il grande banchetto del cinema italiano” su “il Fatto Quotidiano” del 27 giugno).
La sentenza del Tar del Lazio dimostra che, a là Bartoli, “gl’è tutto sbagliato, gl’è tutto da rifare”. Franceschini deve anzitutto dotarsi di strumentazione tecnica adeguata, per navigare in quel mare che c’è tra il dire ed il fare. Il suo spirito di riforma è apprezzabile, ma corre il rischio di costruire castelli di sabbia, se non si dota di analisi di impatto, valutazioni di efficienza ed efficacia.
Buona parte delle criticità del Fondo Unico dello Spettacolo (incluse queste ultime) sarebbero peraltro state evitate, se la prevista “Relazione annuale al Parlamento sul Fus” sulla gestione del Fondo fosse stata quel che il legislatore del 1985 avrebbe voluto divenisse, e non degenerasse all’attuale status di un documento autoreferenziale a circolazione semi-clandestina, assolutamente deficitario di dati ed analisi critiche. Tante volte, anche su queste colonne, abbiamo denunciato il depotenziamento della struttura ad hoc prevista dalla legge, l’Osservatorio dello Spettacolo del Ministero. A distanza di vent’anni, si deve rimpiangere, ancora una volta, che una proposta per l’istituzione di una commissione di indagine parlamentare sul Fus, a suo tempo promossa da Alfonso Pecoraro Scanio (XIII Legislatura, del 13 maggio 1996), non abbia mai visto lo sviluppo dell’iter… Non è mai troppo tardi, per riprendere quella saggia previsione ed opportuna istanza.
Clicca qui, per leggere la Sentenza n. 07479/2016 del Tar del Lazio depositata il 28 giugno 2016, che annulla il “decreto Nastasi” del 1° luglio 2014 di ripartizione del Fondo Unico dello Spettacolo (Fus). Presidente ed estensore Leonardo Pasanisi, consiglieri Francesco Arzillo e Cecilia Altavista.
Clicca qui, per leggere la proposta di inchiesta parlamentare d’iniziativa di Alfonso Pecoraro Scanio: “Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulla gestione del Fondo Unico per lo Spettacolo”, XIII Legislatura, Doc. XXII n. 3, presentata il 13 maggio 1996.