Il mondo dello spettacolo italiano (inteso soprattutto come teatro, musica, danza, ovvero il cosiddetto “spettacolo dal vivo”) si trova a vivere un’estate torrida, e non soltanto per ragioni meteorologiche: come è noto, il 28 giugno 2016 una rivoluzionaria sentenza del Tar del Lazio ha bocciato il controverso regolamento ministeriale Salvo Nastasi/Dario Franceschini (approvato nell’estate del 2014, ma la cui prima applicazione risale all’estate del 2015) che ha modificato i criteri di intervento pubblico a sostegno del settore, introducendo l’ormai famigerato “algoritmo della rottamazione”; la bocciatura del decreto ha determinato un blocco immediato dei finanziamenti pubblici, che è stato temporaneamente superato da una decisione di “sospensiva” del Consiglio di Stato, assunta in tempi record, il 2 luglio, nelle more della prima “camera di consiglio” che è calendarizzato per il 21 luglio…
“Key4biz” dedica particolare attenzione a questa vicenda (vedi, da ultimo, “Tarantella Fus: il Consiglio di Stato ‘congela’ lo stop del Tar ai fondi per lo spettacolo”) non soltanto per l’importanza in sé (riguarda centinaia di impresari di spettacolo e migliaia e migliaia di artisti ed altri lavoratori del settore), ma perché è sintomatica di quel governo “nasometrico” della “res publica” culturale, che tanto inchiostro assorbe in questa rubrica di analisi critica delle politiche culturali e delle economie mediali.
Si tratta dello stesso “morbo” che riguarda la riforma della Rai o lo sviluppo del digitale od il ruolo della Siae: si governa con approssimazione estrema e deficit di adeguata strumentazione tecnica.
Le valutazioni di impatto sono pressoché inesistenti, così come le analisi di efficienza ed efficacia, gli studi scenaristici e le ricerche predittive..
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In attesa della “camera di consiglio” di giovedì 21 luglio, il settore dello spettacolo comprensibilmente s’agita, con prese di posizione ed appelli, e appare opportuno un aggiornamento ed un monitoraggio in tempo reale.
Merita anzitutto essere segnalato l’appello che è stato diffuso giovedì 7 luglio, ovvero una lettera aperta firmata da 100 e più esponenti del settore culturale, che hanno manifestato la propria opposizione alle dinamiche “stop & go”, ovvero ad una ri-messa in discussione della riforma dello spettacolo dal vivo avviata nell’estate del 2014. Da Franca Valeri a Michele Placido, dalla grecista Eva Cantarella all’architetto Stefano Boeri, passando per Nicoletta Braschi, Claudio Santamaria, Rocco Papaleo, l’appello è indirizzato a Governo e Parlamento affinché non vengano vanificate le novità della riforma, e si arrivi presto anche a una “legge-quadro” per il settore (in verità invocata da molti decenni).
L’appello è inequivocabilmente intitolato: “Cento firme a sostegno del cambiamento”.
L’iniziativa è stata sostenuta (promossa?!) dall’Agis (Associazione Generale Italiana dello Spettacolo), nella persona del Presidente Carlo Fontana, che ha presentato al Ministro Dario Franceschini l’appello firmato da attori, registi, intellettuali: tra gli altri, da Anna Maria Guarnieri ad Umberto Orsini, da Maurizio Scaparro a Giuseppe Cederna, e, ancora, Adriana Asti, Anna Bonaiuto, Corrado Tedeschi, Massimo Ghini…
Si legge nell’epistola che la riforma “ha portato rinnovamento in un mondo ingessato da regole immobili da troppi anni e che, in nome della storicità di diritti acquisiti, finivano spesso per privilegiare realtà invecchiate nell’inazione e nella incapacità a rinnovarsi… La riforma ha introdotto una più corretta classificazione delle categorie sia per la Prosa che per la Musica e la Danza, senza trascurare la Promozione e la Distribuzione; ha introdotto criteri di oggettività nella valutazione dei risultati, premiando l’incremento del pubblico, delle giornate di lavoro (in particolare di quelle dei giovani al di sotto dei trentacinque anni), favorendo quindi l’accesso alle professioni dello spettacolo dal vivo di generazioni da anni emarginate o addirittura escluse dalla dignità del lavoro anche attraverso i criteri della continuità artistica; ha offerto al pubblico la crescita qualitativa delle imprese di spettacolo chiamate a privilegiare la presenza sul proprio palcoscenico; ha introdotto inoltre un sistema comparativo fra i soggetti appartenenti alla medesima categoria, sistema che prima non esisteva”. I firmatari auspicano quindi che non si vanifichi il lavoro fin qui fatto, e concludono: “Se nel nostro Paese è davvero il momento di profonde e radicali riforme, deve continuare con determinazione e costanza il confronto già avviato fra categorie dello spettacolo e istituzioni, nella prospettiva di un continuo miglioramento delle regole che, nell’interesse comune, possa pervenire a una sua forma definitiva con un Codice dello Spettacolo. È importante non rimettere in discussione le riforme quando finalmente arrivano”.
I firmatari rientrano tutti, verosimilmente, tra coloro che son stati comunque beneficiati dalle nuove regole, e, ad una prima lettura, potrebbe trattarsi di una sorta di “difesa d’ufficio” in nome di alti pubblici princìpi, ma in sostanza anche di legittimi interessi personali.
Il Ministro Franceschini risponde tempestivamente… a stretto giro di posta, anzi di tweet: “Le 100 personalità che mi hanno scritto per sostenere la riforma dello spettacolo ci impegnano ad andare avanti”.
L’appello dei cosiddetti “100” ha registrato una discreta rassegna stampa, sui quotidiani di venerdì 8 luglio.
L’indomani la Cgil, attraverso il Sindacato dei Lavoratori della Conoscenza – Slc, ha riproposto la equilibrata tesi che aveva già espresso, ovvero della necessità di non criminalizzare chi, escluso dalle nuove regole, ha ritenuto di ricorrere al Tar per difendere le proprie posizioni (ed interessi): “il Ministro Franceschini trasforma in nemico del cambiamento chi critica i nuovi criteri di ripartizione del Fondo Unico per lo Spettacolo, e alimenta la frattura tra i lavoratori”, ha sostenuto Emanuela Bizi, Segretaria nazionale Slc-Cgil, aggiungendo che “il decreto, di certo, aveva il nobile obiettivo di superare un sistema da troppi anni irrigidito per favorire l’ingresso dei giovani e chi produce spettacoli di qualità. Ha raggiunto questo obiettivo? Noi crediamo di no. È davvero possibile sostenere che gli esclusi dal decreto siano davvero tutti incapaci di produrre spettacoli di qualità? Additarli come nemici del cambiamento, perché hanno presentato ricorso, ed il Tar ha dato loro ragione, è uno slogan ingannevole e pericoloso… Soltanto una legge dello spettacolo costruita ascoltando tutte le parti coinvolte può portare a superare rendite di posizione e clientele che in questi anni sono state la regola”.
Un’osservatrice critica sempre molto attenta come Anna Bandettini, nel suo blog “Post teatro” su “la Repubblica”, ha peraltro segnalato sabato 9 luglio gli effetti paradossalmente negativi della lettera aperta: “Chi temeva che la raccolta di firme a favore del decreto Franceschini servisse solo a spaccare il mondo dello Spettacolo ha avuto ragione. E se non bastasse, si litiga anche tra i firmatari. Ieri, infatti, è stata resa nota la lettera in cui si sottolinea la legittimità del decreto, il suo spirito di rinnovamento eccetera. Una replica a chi, tra teatri, compagnie, associazioni concertistiche, ha fatto ricorso. Con la lettera è stata presentata anche la lista dei firmatari, non tutti convintissimi a quanto pare, visto che qualcuno ha già smentito di aver realmente voluto firmare (vedi Tindaro Granata), chi dietro le quinte ha detto di aver sbagliato, chi giura di aver saputo che Giulia Lazzarini non voleva firmare, chi ha perfino confessato di credere di aver firmato un sostegno all’attività del Teatro Franco Parenti di Milano (sic!). Né chi sostiene il decreto né chi lo combatte aveva bisogno di piccinerie”.
Ancora una volta – ed è certamente inevitabile nel “rutilante” mondo dello spettacolo – “artisti pro” ed “artisti contro”, mossi da ragioni più meno alte e più o meno basse, nella infinita soggettività che caratterizza il sistema dell’arte.
Ieri, domenica 10 luglio, nella sua rubrica di lettere dei lettori su “la Repubblica” (certamente un sismografo sensibile dell’elettorato di centro-sinistra in Italia), Corrado Augias ha pubblicato anche un’epistola di Nicola Piovani, condividendo la provocazione del noto compositore: “Vado molto lontano dalla realtà se concludo che in Italia l’unica cosa che si riesce davvero a fare è restare immobili? Che è più tranquillo non toccare e non modificare alcunché? Che, in ultima analisi, ha ragione il personaggio Estragone che, in ‘Aspettando Godot’, esclama: ‘Non facciamo niente, è più prudente’?”.
Augias riporta alcuni dati: in base ai criteri del nuovo regolamento, su 840 soggetti che hanno presentato istanza per il triennio 2015-2017, “per il 75 per cento degli interessati, il contributo è aumentato; per il 15, è diminuito; il 10 per cento è rimasto senza contributi. Poiché a nessuno piace vedersi privati di un introito, da questo 10 per cento son partiti i ricorsi”.
Nessuno – a quanto ci risulta – ha ritenuto di pubblicare la decisione monocratica assunta il 2 luglio dal Consiglio di Stato (n. 02530/2016 / n. 05568/2016), a firma del giudice Sergio Santoro, che presiede la Sezione Sesta in sede giurisdizionale, ma alcuni estratti sono interessanti e meritano essere riportati: in relazione al ricorso presentato dal Ministro Franceschini (ovvero dall’Avvocatura dello Stato), “ritenuto che l’adozione del provvedimento cautelare monocratico d’urgenza presuppone l’esistenza di una situazione ad effetti irreversibili ed irreparabili tale da non consentire neppure di attendere il tempo intercorrente tra il deposito del ricorso e la prima camera di consiglio utile, che nella fattispecie è calendarizzata per il prossimo 21/7/2016, e che tale pregiudizio, per le ragioni indicate, sussiste nella specie, essendovi quindi l’estrema gravità ed urgenza di cui agli artt. 56 e 98 c.p.a. (…) rilevato infatti in particolare, quanto al periculum in mora, che la sentenza appellata ha annullato i provvedimenti impugnati, preordinati ai trasferimenti al settore dello spettacolo dal vivo, senza indicare i procedimenti da seguire per assicurare la continuità del finanziamento a tale vitale settore della cultura italiana, e che tale continuità può essere assicurata mediante l’adozione della sospensione cautelare della sentenza appellata e dei suoi effetti, almeno fino alla trattazione collegiale nella camera di consiglio della medesima istanza…”.
Il magistrato ha deciso di intervenire d’urgenza, con un provvedimento sospensivo, nella coscienza che la sentenza del Tar del Lazio ha bloccato e quindi paralizzato tutto il sistema dei finanziamenti pubblici allo spettacolo. La domanda che sorge però spontanea è: cosa accadrà il 21 luglio, allorquando il Collegio dovrà ri-affrontare il “periculum in mora”?! La formula utilizzata – incluso quell’“almeno” – preoccupa: “almeno fino alla trattazione collegiale nella camera di consiglio della medesima istanza”.
Nell’arco di tempo tra il 2 (deposito del ricorso da parte del Mibact) ed il 21 luglio (camera di consiglio), temiamo che nessuno possa trovare una bacchetta magica, per evitare gli “effetti irreversibili ed irreparabili”… Mancano 10 giorni soltanto.
La questione è complessa, ingarbugliata, controversa, ma dobbiamo ribadire la lamentazione tante volte espressa su queste colonne: non esiste (perché nessuno l’ha mai voluta promuovere) una analisi critica approfondita del funzionamento del Fondo Unico dello Spettacolo, e quindi – che si tratti di ipotetica legge di sistema del Fus o di concreto regolamento ministeriale assurto a rango di legge – non è oggettivamente possibile comprendere chi ha veramente ragione… nemmeno nella contrapposizione tra gli “ammessi” e gli “esclusi”.
Nessuno conosce il reale stato di salute del sistema dello spettacolo in Italia, né in relazione al rapporto tra “domanda” ed “offerta”, né in relazione al mercato del lavoro, né riguardo all’effettiva efficacia dell’intervento della “mano pubblica”: questa è la nuda inquietante vera verità.
Ci piacerebbe leggere, nella sentenza del Consiglio di Stato, l’esigenza urgente ed indilazionabile di una riforma del sistema dei finanziamenti pubblici alla cultura (ed anche ai media: vedi alla voce “canone Rai” e sostegni all’emittenza radiotelevisiva locale) che sia finalmente basata su una preliminare adeguata conoscenza tecnica della realtà.
Ci piace qui ricordare che, a suo tempo (fine dicembre 2015), la Corte dei Conti sentenziò che il rischio che la mancanza di una finalizzazione precisa dei contributi pubblici alle radio e tv locali finiva per far apparire gli stessi “un mero sostegno economico alla gestione delle emittenti” (vedi “Key4biz” del 21 giugno 2016, “Tv locali nel limbo, fra caos frequenze e contributi a pioggia”). La Corte denunciava “un aiuto pubblico generico e indifferenziato”.
In relazione al Fus, la situazione è (lievemente) migliore, ma l’algoritmo ‘diabolico’ corregge solo in minima parta la logica del “finanziamento a pioggia”, perché è un meccanismo “tecnocratico” soltanto in apparenza: è un “gigante dai piedi di argilla”, ovvero un’astrusa equazione basata su dati incerti, perché né il Ministro né le Commissioni ministeriali (né le Commissioni parlamentari…) dispongono di una radiografia minimamente accurata dell’economia della cultura in Italia.
Clicca qui, per leggere l’appello dei 100 “Cento firme a sostegno del cambiamento” (in relazione al blocco del “regolamento Fus” deciso dal Tar del Lazio il 28 giugno), reso noto il 7 luglio 2016.
Clicca qui, per leggere il provvedimento del giudice monocratico Sergio Santoro, assunto dal Consiglio di Stato il 2 luglio 2016, di sospensiva della sentenza del Tar del Lazio del 28 giugno 2016, in relazione al regolamento Nastasi/Franceschini.