La lettura dei quotidiani di venerdì 3 ottobre evidenzia uno scenario “bellico”, sia a livello economico (la Borsa Italiana che ha perso il 4% in un giorno), sia a livello istituzionale (il Presidente della Repubblica che verrà ascoltato dai magistrati come un cittadino “qualsiasi”, le palate di fango che Luigi De Magistris lancia a destra a manca incluso verso Giorgio Napolitano giustappunto), sia a livello politico (Silvio Berlusconi che minaccia di cacciare Raffaele Fitto come cacciò Gianfranco Fini, il sintomatico scontro tra Matteo Renzi e Massimo D’Alema e la prospettiva scissionista), sia a livello… culturale.
Un Paese inquieto ed agitato, con infiniti nodi che sembra arrivino al pettine in curiosa e preoccupante coincidenza. Il “crash” sembra dietro l’angolo, anche nel sistema culturale, nonostante gli encomiabili ma timidi tentativi del Ministro Dario Franceschini, che finiscono per apparire come palliativi per un malato terminale.
#ilprincipenudo ragionamenti eterodossi di politica culturale e economia mediale, a cura di Angelo Zaccone Teodosi, Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) per Key4biz.
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La politica culturale
In rari casi, in verità, la politica culturale, in Italia, riesce a guadagnarsi le prime pagine dei quotidiani e l’attenzione dei riflettori mediali, ma la notizia degli annunciati licenziamenti al Teatro dell’Opera di Roma è di quelle che potremmo definire veramente epocali.
Non interessa qui l’aspetto “tecnico”, anche se mai ci era capitato di leggere di ipotesi di “esternalizzazioni” di… un coro o di un’orchestra (!!!) in una fondazione lirico-sinfonica, ma queste ipotesi evidenziano quanto la situazione sia grave ed emergenziale (a male estremo, estremo rimedio?!): quel che ci interessa è evidenziare come questa degenerazione sia frutto di un mal governo determinato da profondo (se non totale) deficit cognitivo.
Deficit di conoscenza
Lo stato dell’arte delle conoscenze sul sistema culturale italiano è allarmante: nessuno, da decenni e decenni, si prende la briga di analizzare seriamente il rapporto tra offerta e domanda, di esplorare le caratteristiche del mercato.
Nessuno, da decenni e decenni, si è interrogato seriamente sul senso, le caratteristiche, le modalità dell’intervento della mano pubblica nel mercato culturale.
Da decenni e decenni, si “governa” sulla base di eredità storiche che hanno radici lontane nel tempo.
Nessuno ha mai promosso seriamente studi di impatto, analisi di efficienza ed efficacia, valutazioni critiche sull’intervento dello Stato nel sistema culturale. Questa situazione disastrata si riscontra sia a livello di Stato centrale che di Regioni: ha senso che lo Stato continui a destinare centinaia di milioni di euro l’anno a favore di elefanti cultural-burocratici come le fondazioni lirico-sinfoniche?
Quanto incide la loro offerta sul mercato culturale?!
Al di là dei target di mercato, qual è la loro capacità di produrre un’offerta che sia qualitativamente valida, rispetto alle omologhe istituzioni francesi o britanniche o tedesche?
Sul fronte regionale, il disastro è ancor più grave: non esiste una ricerca una che possa consentirci di comprendere come le centinaia di milioni di euro di fondi europei “destinati” alla cultura siano stati effettivamente spesi, con quali risultati, con quali benefici per la collettività.
Uno dei casi più incredibili è il mega-programma “Sensi contemporanei”, di cui, da anni, invano si va chiedendo una rendicontazione. Quasi inesistenti in Italia i casi di istituzioni culturali, sostenute dalla mano pubblica, che propongano dei “bilanci sociali”, ovvero una strumentazione informativa che consenta di capire il senso del loro intervento sul mercato culturale.
Il caso romano è molto interessante
E’ giunto un Sindaco che annunciava una rivoluzione tecnocratica, ma finora Ignazio Marino si è scontrato con un “esistente” che è così roccioso, e resistente, da rendere debole la sua capacità d’intervento. Nello specifico culturale, s’è appassionato alla pedonalizzazione dei Fori Imperiali, che sarà anche gran bella battaglia estetica, ma certamente non esalta i cittadini romani, e poco incide – almeno nel breve periodo – sulla politica culturale capitolina.
Ha dapprima affidato l’assessorato alla Cultura ad una studiosa di economia dei media, Flavia Barca, per tardivamente scoprire che si trattava di una ricercatrice qualificata ma senza alcuna esperienza come amministratrice pubblica.
Nel mentre, lo scenario culturale di Roma Capitale è divenuto un campo di battaglia, di cui la vicenda del Teatro Valle e quella più recente del Cinema America sono gli epifenomeni: il dorso romano del “Corriere della Sera” infierisce – con le firme di Paolo Conti e Paolo Fallai – da mesi senza pietà.
Nel mentre, continuano a chiudere le librerie romane, ed i cinema ed i teatri, e l’offerta culturale cittadina s’impoverisce.
Da qualche settimana, il Sindaco Ignazio Marino ha chiamato come pompiere Giovanna Marinelli, figura atipica di studiosa culturologica ma al contempo amministratrice culturale, con ricca esperienza storica (è stata tra l’altro l’alter ego del più longevo assessore alla cultura d’Italia, il compianto Gianni Borgna).
Marinelli ha ereditato il deficit cognitivo e quindi la confusione della sua predecessora ovvero l’assenza di strumenti informativo-tecnici che possano consentirle (a lei o a qualsivoglia assessore che si insediasse) di capire se ha senso assegnare dieci milioni di euro al Teatro dell’Opera di Roma piuttosto che alla Fondazione Cinema per Roma, piuttosto che… a residenze per giovani artisti piuttosto che alla produzione di web serie…
Arriva poi il giorno, in cui il Ragioniere di turno della pubblica amministrazione di turno si reca dal Sindaco di turno e dichiara: “Primo Cittadino, non ci sono danari nemmeno per pagare gli stipendi”.
E scoppia il dramma
Lavoratori in agitazione, sindacati che fanno il loro mestiere, i media che finalmente si interessano dell’emergenza, e… cittadini che si domandano magari “e chi se ne frega, dato che io non ci sono mai riuscito a mettere piede al Teatro dell’Opera, dati i prezzi pazzeschi?!”.
Nessuno ha mai studiato “chi” andasse al Teatro dell’Opera di Roma, e quanto la sua offerta incidesse nel mercato culturale locale.
Nessuno ha mai studiato le politiche di prezzo.
Nessuno si è mai posto domande su quanto l’assetto strutturale ed organizzativo dell’ente fosse lontano anni-luce dai casi di eccellenza di altri Paesi d’Europa…
Per decenni, si è “governato” a vista, nasometricamente, ereditando anno dopo anno quel che si faceva “prima”.
Con qualche conato di efficienza e trasparenza durante le giunte di centro-sinistra (da Francesco Rutelli a Walter Veltroni), per poi rendere il tutto ancora più grigio durante la giunte di centro-destra (Gianni Alemanno).
Arriva poi l’eterodosso Marino, il marziano ovvero il chirurgo d’eccellenza “prestato” alla politica, e si attenderebbe una svolta radicale, anzitutto nel metodo: conoscere, prima di deliberare.
Ma anche Marino ignora la lezione di Luigi Einaudi, e si limita a governare “a vista”, senza strategia complessiva. E perché non riesce ad elaborare una strategia?! Anche perché non dispone della cassetta degli attrezzi che è indispensabile per il buon governo della “res publica” (anche culturale, ma ovviamente non soltanto): strumenti tecnici di conoscenza, di analisi, valutazione, previsione, monitoraggio. La triste dinamica si riproduce, e la patologia s’aggrava. Il caso dell’Opera di Roma è “sconcertante” (aggettivo quanto mai ficcante, data la situazione) ma semplicemente sintomatico di una patologia storica, che si sta aggravando diffusamente.