Key4biz

ilprincipenudo. Relazione Agcom: Italiani penultimi in Europa per uso del web

Angelo Zaccone Teodosi

Un dato, per tutti, sintetizza le 276 pagine della “Relazione annuale 2017 sull’attività svolta sui programmi di lavoro” dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, presentata questa mattina, nelle solite rituali modalità, alla Camera dei Deputati, e le 27 pagine della “Presentazione” letta (c’è voluta un’oretta) dal Presidente Angelo Marcello Cardani: l’Italia è ancora al penultimo posto nella classifica dell’Unione Europea per percentuale della popolazione che utilizza internet (vedi il resoconto “Key4biz”). Verrebbe da concludere subito una lettura critica di questi documenti: ciò basti.

Ha presentato la kermesse, in modo assolutamente neutrale, uno dei quattro Vice Presidenti della Camera, Simone Baldelli (Forza Italia), che si è limitato ad un cenno sulla necessità di tutelare al meglio i diritti delle categorie “deboli” (disabili in primis).

Accantonando ogni “vis polemica”, naturale sorge il quesito: l’Agcom sta assolvendo, anzi ha assolto, nei suoi vent’anni di vita (la norma istitutiva risale appunto al 1997), il ruolo che la legge le assegna?! La risposta non è univoca, e veltronianamente ci verrebbe da rispondere: “sì, ma anche no” ovvero “no, ma anche sì”.

A fronte di un sistema mediale molto vischioso, lo scenario italiano non sembra granché cambiato, nell’arco dell’ultimo ventennio: nello specifico televisivo, il duopolio Rai-Mediaset, evolutosi in triopolio Rai-Mediaset-Sky, ne è la evidente riprova. Le ragioni di questa conservazione sono molteplici (politico-partitiche anzitutto, per le note ragioni di correlazione tra Mediaset e Forza Italia, e tra Rai ed il “partito-Rai”), e non si può certo attribuire all’Agcom una responsabilità prevalente nell’aver assecondato il naturale (o innaturale e patologico?!) corso delle cose.

L’ecologia dei media è concetto che in Italia non s’è affermato, anzi viene ignorato dai più (Agcom inclusa).

Si può però domandare cosa abbia fatto l’Autorità, per esempio, su due collegati fronti: l’emittenza televisiva locale, ormai ridotta al lumicino, e la produzione audiovisiva indipendente, che continua in verità a dipendere dal succitato triopolio (e dalle sovvenzioni del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo). Avrebbe potuto fare di più?

Riteniamo di sì.

Basti pensare che nelle quasi trecento pagine della “Relazione”, anche quest’anno, non vi è nemmeno cenno alle emittenti televisive locali. Come già denunciammo su queste colonne (vedi “Key4biz” del 21 giugno 2016), l’Agcom non ci rivela nemmeno quante siano, e questo dato è ignoto anche al Ministro Antonio Calenda ed al Sottosegretario Antonello Giacomelli: anche qui, verrebbe naturale commentare “ciò basti”.

La “Relazione annuale” dell’Agcom evidenzia, ancora una volta, un deficit descrittivo ed analitico dello scenario nel suo complesso: perché questa mancanza di volontà scenaristica organica?

Perché, ancora, l’assenza anche soltanto di cenni di analisi comparativa internazionale, soprattutto per quanto riguarda la parte media (e contenuti)?!

Perché un soggetto per alcuni aspetti omologo, qual è l’Ofcom, ovvero la britannica Office of Communications, dedica invece quasi sempre attenzione alle analisi comparative internazionali, soprattutto nello specifico dei media, e l’Agcom no?!

Come usava dire Giulio Andreotti, “a pensar male degli altri si fa peccato, ma spesso ci si indovina”: noi crediamo che una più intensa, accurata, approfondita attività di ricerca e studio da parte dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni costringerebbe l’istituzione (ed anche le istituzioni altre cui Agcom si rivolge, Parlamento e Governo in primis) a “ri-specchiarsi” meglio, a rendere più trasparente l’economia – anche semantica – del sistema dei media.

Forse lasciare il sistema in assenza di una fotografia e radiografie accurate consente un margine di gioco maggiore alle “forze della conservazione”. Sia ben chiaro: non c’è qui una contrapposizione netta, come in “Star Wars”, tra le Forze del Male guidate da Dart Fener e l’Alleanza Ribelle (o più formalmente, l’Alleanza per la Ricostruzione della Repubblica), ma semplicemente un pasticcio, tutto italiano, nel quale – esemplificativamente – né le televisioni locali né i produttori audiovisivi indipendenti sono riusciti a rappresentare al meglio (nemmeno attraverso le rispettive “lobby”) i propri interessi. E l’Agcom si è mostrata pesce in barile… “Garante” sì, ma sostanzialmente garante della conservazione.

Stessa critica può essere mossa all’Autorità rispetto ad altre questioni: è forse stata incisiva la sua attività nella definizione del ruolo che la Rai può (potrebbe) avere nel sistema radiotelevisivo nazionale?!

Non ci sembra proprio, e riteniamo che la nuova convenzione dell’aprile 2017 ne sia la riprova. Agcom è stata passiva anzi supina, rispetto alla tanto decantata quanto inutile “consultazione” nazionale promossa dal Governo, la famigerata “CambieRai” (vedi “Key4biz” del 27 luglio 2016): perché non è stata l’Autorità a farsi invece promotrice di una indagine seria ed indipendente su cosa potrebbe essere il “public service media” nello scenario contemporaneo?! Attendiamo di vedere cosa uscirà dal novello “contratto di servizio” la cui gestazione è da poco iniziata…

E che dire della grande questione delle “fake news”? Chiacchiere a gogò, in ogni dove, e tutto continua come prima, nonostante le belle intenzioni annunciate e ribadite dalla Presidente della Camera Laura Boldrini (vedi “Key4biz” del 2 maggio 2017), e nonostante le preoccupazioni fatte proprie anche dal Presidente Angelo Marcello Cardani, che pure, su questo fronte, si esprime in modo netto, a favore di un intervento normativo, piuttosto che di pratiche di auto-regolamentazione.

Ma, in questo modo, Agcom si libera ed autoassolve, passando la palla ad altre istituzioni: perché non promuove piuttosto una ricerca comparativa internazionale, da porre a disposizione del Parlamento, dato che nessuno ha una simile strumentazione?!

E che dire della tutela del pluralismo informativo e politico, della parità di accesso ai mezzi di informazione?! L’Autorità ritiene di aver svolto al meglio questo ruolo? La “Relazione 2016”, a pagina 158, propone una tabella sintetica inedita, certamente interessante, intitolata “Piano di monitoraggio per il pluralismo”, sulla quale l’Agcom dovrebbe stimolare una discussione pubblica approfondita (anche sul metodo di rilevazione, oltre che sui risultati…).

Crediamo che basti osservare il (mal) trattamento dell’immagine femminile sui media, televisione in primis (ma che dire anche della pubblicità esterna?!), per acquisire una risposta che vada oltre il formale assolvimento dei propri compiti.

E che dire del trattamento delle minoranze altre, a partire dagli immigrati?! Qualche mese fa, Agcom ha adottato una bella delibera (che ha avuto come relatore il Commissario Antonio Nicita), ma, poi, concretamente, in che cosa si è andato a tradurre il “richiamo” che ha formulato nei confronti dei fornitori di servizi e media audiovisivi e radiofonici… affinché sia garantito nei programmi audiovisivi e radiofonici… “il rispetto della dignità della persona e del principio di non discriminazione, in particolare nella trattazione dei fenomeni migratori e delle diversità etnico religiose”?!

E che dire della tutela dei minori sui vari media?! L’Agcom forse non sa che basta digitare “YouPorn” su un qualsiasi motore di ricerca, ed anche un bambino può accedere ad un flusso sconvolgente di immagini pornografiche, che possono turbare profondamente lo sviluppo evolutivo (ed un rapporto sano con l’eros)? Altro che retorica del Facebook “vietato ai minori” di 12 anni…

A pagina 11 della “Presentazione”, Cardani scrive: “occorre interrogarsi sui fenomeni patologici o controindicativi dell’uso eccessivo (fino a creare dipendenza) o incontrollato (ore e forme di utilizzo dei minori e degli adolescenti) di Internet ed affrontare – anche in una logica educativa e di sostenibilità – gli effetti negativi sulla società e sui singoli individui”.

Bene, bravo, bis.

Ma… concretamente, come si è interrogata Agcom, e quali risposte si è data e ci potrebbe dare, su queste tematiche?! Non ci sembra di aver registrato, in questi anni, fiere prese di posizione o interventi minimamente incisivi sulla realtà, rispetto a questioni come la ludopatia, ed il rapporto che il sistema dei media ha rispetto a queste fenomenologie che incidono profondamente sul tessuto sociale del nostro Paese. Agcom annuncia oggi che è in gestazione una nuova edizione aggiornata di un “Libro Bianco sul rapporto tra media e minori”, ma ci si domanda a cosa serva realmente, data la totale inutilità della prima edizione?! Ad arricchire gli scaffali della inutilizzata riflessione teorica della letteratura socio-mediologica?! Questa volta, annuncia Agcom, ci sarà però anche un “vademecum non solo per i broadcaster, ma anche anche e soprattutto per i genitori” (pag. 24 della “Presentazione” del Presidente). Ah, beh, allora…

A pagina 196 della “Relazione”, si legge: “Relativamente al web, il Presidente ha ricordato l’Osservatorio permanente delle garanzie per i minori e dei diritti fondamentali della persona su Internet, istituito dall’Autorità proprio con l’intento di monitorare fenomeni quali l’istigazione all’odio, le minacce, le molestie, il bullismo, l’hate speech e la diffusione di contenuti deplorevoli”.

Bene, bravo, bis.

Ma, di grazia, la cittadinanza (e gli operatori, e i giornalisti) può conoscere i risultati delle attività di monitoraggio di questo (sconosciuto, anche nei risultati)… “Osservatorio permanente”?!

L’unico “Osservatorio” promosso da Agcom che ci sembra abbia registrato una qualche capacità innovativa di fare un po’ luce in settori bui è l’“Osservatorio sul Giornalismo” (realizzato dal Servizio Economico-Statistico Ses dell’Autorità) che, nella seconda edizione resa nota nel marzo 2017 (a seguito di un questionario pubblicato online fino all’11 novembre 2016), ha evidenziato dati inquietanti sulla deriva di questo mestiere, sul suo impoverimento intellettuale e reddituale… Forse ci avrebbe dovuto pensare prima (molti anni fa) l’Ordine Nazionale dei Giornalisti, ma stendiamo un velo di pietoso silenzio su quest’altro organismo…

E che dire della produzione di “user generated content”: chi dovrebbe studiare questo fenomeno – sia nella sua dimensione semantica, sia nella sua dimensione economica – se non un soggetto come l’Agcom?! Non esiste infatti soltanto la questione del rispetto delle quote di programmazione e investimento in opere europee e di produttori indipendenti, che pure mostra dati – secondo il dettaglio proposto dalla “Relazione 2016” (pagg. 38-40) – che sembrano assolutamente positivi, anche se, dall’altro fronte (ascoltando associazioni di categoria come l’AptAssociazione Produttori Televisivi e le imprese che non sono associati a queste lobby) emerge invece uno scenario di… sangue, sudore, lacrime, ovvero di subordinazione rispetto alla gestione dei diritti (temiamo che vi sia una qualche approssimazione nelle procedure di autocertificazione da parte dei broadcaster e nelle attività metodologiche di verifica da parte degli uffici Agcom, ma questo è un discorso altro).

E che dire del ruolo di Agcom nella lotta alla pirateria?! L’Autorità è soddisfatta dei risultati del “Regolamento” entrato in vigore tre anni fa, e della sua conseguente attività istituzionale? In questi tre anni, sono pervenute – si legge nella “Relazione 2016” (pag. 31) – 709 istanze di rimozione di contenuti illeciti su web: “La funzione dell’Autorità è stata fin da subito quella di contenere e contrastare il fenomeno della pirateria, esercitando una funzione di tutela e, al contempo, di promozione delle opere digitali che colpisca in maniera decisa, in particolare, i casi di violazione reiterata e intenzionale”.

D’accordo, ma i dati che Fapav (Federazione per la tutela dei contenuti audiovisivi e multimediali) ha presentato qualche settimana fa evidenziano dinamiche inquietanti, rispetto alla propensione degli italiani nel fruire di opere “piratate” (vedi “Key4biz” del 5 giugno 2017). Forse l’Agcom dovrebbe promuovere una riflessione autocritica sulla inadeguatezza di questa sua strumentazione, rispetto ad un fenomeno di massa che ruba risorse alla creatività. E si osservi come la Siae – Società Italiana Autori Editori (che pure ha un ruolo centrale – ed istituzionale – nel mercato dei contenuti legali, non soltanto a tutela dei propri oltre 80mila associati) non è mai citata nemmeno una volta, nella “Relazione 2016” dell’Agcom!

Ancora più incredibile che, nelle quasi trecento pagine, della “Relazione” (peraltro impaginata con grafica non proprio innovativa) non sia mai stata utilizzata, nemmeno 1 volta una, la parola “autori”. O, ancora, “creatività”. O “industrie creative”… Si tratta di “mondi separati”, o semplicemente ignorati da Agcom??? Da non crederci veramente.

E rispetto alle attività dei Comitati Regionali per le Comunicazioni (Co.re.com.), delegati da Agcom a svolgere numerose funzioni, non sente l’Autorità l’esigenza di una analisi critica comparativa (anche rispetto alle risorse allocate, sia economiche sia professionali, ed all’“output” prodotto da ognuno), per evidenziare le “buone pratiche” tra una Regione e l’altra?!

E che cosa combina invece l’ormai silente Consiglio Nazionale degli Utenti (Cnu), “organo ausiliario” dell’Agcom, la cui debole voce negli ultimi anni non s’ode proprio più?! La “Relazione 2016” dedica una evanescente colonnina (pag. 190) a questo organo, che “esprime, quindi, nella propria composizione, il pluralismo del mondo associativo e della società civile”. Lo “esprime”, d’accordo, il… pluralismo: ma cosa sta facendo concretamente, dato che le sue attività sembrano ormai clandestine anzi arcane?! Non dovrebbe essere il Cnu interlocutore privilegiato ed attivo dell’Agcom, proprio su tematiche delicate e strategiche come il pluralismo?! Misteri…

E che dire, ancora, della necessità di ragionare sulla vetustà di uno strumento come il “Sic” ovvero il “Sistema Integrato delle Comunicazioni”, che forse richiederebbe una revisione strutturale e di perimetrazione, per rendere la cassetta degli attrezzi di Agcom meno povera ed arretrata, anche rispetto a tematiche scabrose come la “concentrazione” oligopolistica, che caratterizza tanti segmenti del sistema mediale italico?

La domanda brutale è: Agcom ritiene di essere dotata di strumentazione tecnica adeguata per misurare le conseguenze – non soltanto a livello di concentrazione economica, ma socio-culturali – di operazioni come la joint-venture tra H3g e Wind, Open Fiber (50 % Enel e 50 % Cassa Depositi Prestiti), Rti-Finelco, Gedi-Itedi, per arrivare a controverse dinamiche come Vivendi-Telecom Italia? Crediamo che, con onestà, dovrebbe rispondere “no”. E dovrebbe quindi attrezzarsi di conseguenza.

E l’Autorità non dovrebbe dotarsi anche di un “bilancio sociale”, che consenta di studiare e comprendere i suoi costi e ricavi rispetto alle comunità di riferimento e le interazioni con gli “stakeholder” tutti (cittadinanza inclusa)?!

Non ritiene Agcom che il bilancio stesso dell’Autorità debba essere allegato e ben illustrato nella sua “Relazione annuale”?

Le risorse economiche dell’Agcom sono adeguate alle funzioni assegnatele dalla legge? I 362 dipendenti (di cui 38 dirigenti) sono sufficienti, oppure è necessario rafforzare l’organico?!

Si legge nella “Introduzione” alla Relazione a firma del Presidente Angelo Marcello Cardani (pag. 10): “Nell’ultimo anno, Agcom ha ricevuto dal legislatore nuove competenze (censimento dei call center, vigilanza sul secondary ticketing, disciplina dei diritti connessi al diritto d’autore, vigilanza sulla pubblicità in tema di scommesse e giochi online, misure di tutela delle popolazioni colpite da eventi sismici nel sistema delle comunicazioni elettroniche). Tutto questo è avvenuto senza che siano state attribuite nuove risorse, né finanziarie, né umane, ma soprattutto a fronte di un contenzioso mai sanato con le imprese già sottoposte a contribuzione. Forse è il caso di ripensare al modello privato di finanziamento”. In questo, ha certamente ragione il Presidente: che senso ha affidare ad Agcom nuove funzioni senza però dotarla di risorse integrative adeguate e senza assegnarle comunque certezza di risorse?! Ma che allora la lamentazione venga rappresentata con voce alta e dura: per coerenza, almeno.

Potremmo continuare per pagine e pagine, ma non vogliamo infierire.

I nostri rilievi critici sono al contempo di natura tecnica (il deficit di strumentazione cognitiva) e di natura politica (il debole ruolo istituzionale in sé e la modesta volontà critica).

Non crediamo che Agcom sia una istituzione inutile: semplicemente crediamo che essa potrebbe svolgere un ruolo più attivo e critico, meno conservativo, nel “regolare” e “stimolare” il sistema dei media.

Dovrebbe anzitutto dedicare maggiore attenzione alle attività di studio e di “fact-checking”, interloquendo con le accademie ed i centri di ricerca, alzando lo sguardo oltre i “provinciali” confini nazionali; dovrebbe stimolare indagini conoscitive e ricerche demoscopiche che consentano di comprendere come si evolve la fruizione dei media e qual è lo stato reale del pluralismo informativo, politico e sociale, gli effetti di medio periodo delle concentrazioni verticali ed orizzontali, lo stato di salute delle industrie culturali e mediali, in termini di creazione di contenuti originali e di estensione dello spettro espressivo…

Dovrebbe finanche porsi come agente provocatore, laboratorio di stimolazione intellettuale e politica: non come assonnato notaio che registra passivamente là dove va inerzialmente il mercato.

Un esempio per tutti: l’industria della stampa quotidiana sta registrando una contrazione gravissima in Italia, anno dopo anno (Agcom certifica un -7% di ricavi complessivi nel 2016), con una conseguente riduzione del pluralismo e l’impoverimento continuo dei giornalisti: Agcom si è mai posta il quesito su come questo processo di degenerazione potrebbe essere corretto, ragionando in modo organico sull’ecologia dei media in Italia?!

Questa passività, questa inerzia… dipende da una legge istitutiva non sufficientemente chiara nel delineare le funzioni dell’Autorità?! Oppure… dipende dai meccanismi perversi per cui il Consiglio di Agcom è emanazione di una lottizzazione partitocratica, che produce risultati geneticamente vischiosi?

Il quesito è complesso, ne abbiamo coscienza.

Il Parlamento dovrebbe promuovere (se proprio non vuole farla Agcom stessa) una indagine comparativa internazionale sulle caratteristiche e le funzioni delle “autorità indipendenti” in materia di tlc e media e industrie culturali: senza questo “know how”, qualsiasi ragionamento sulla possibile (crediamo necessaria) riforma e rigenerazione dell’Agcom, a vent’anni dalla sua istituzione, non ha senso.

Il futuro dell’Agcom temiamo non possa essere affrontato o risolto con l’accetta, e con soluzioni radicali ma sempliciste, come invece appaiono, per molti aspetti, quelle proposte dal MoVimento 5 Stelle: non è stato oggetto di grande attenzione mediale da parte dei mezzi di comunicazione “mainstream”, ma si segnala che pochi giorni fa (mercoledì 5 luglio) la piattaforma del Movimento “Rousseau” (il cosiddetto “sistema operativo” dei grillini) ha pubblicato online il “#Programma Telecomunicazioni del MoVimento 5 Stelle”, sottoposto a pubblica consultazione.

Il documento, invero sintetico e schematico, prevede alcuni quesiti, sottoposti ai propri elettori e simpatizzanti, che esprimono sostanzialmente il pensiero del MoVimento in materia di “telecomunicazioni” (in verità, anche di “media”). Per quanto riguarda la Rai e la sua “governance”, ovvero il Consiglio di Amministrazione, si “prevede un avviso pubblico dell’Agcom (a sua volta riformata), precisi requisiti di competenza e cause di ineleggibilità per gli aspiranti consiglieri di amministrazione (non aver ricoperto cariche politiche), un sorteggio e audizione in Parlamento per il definitivo parere”.

La prospettiva del “sorteggio” ci preoccupa non poco, ma… Quell’Agcom… “a sua volta riformata” ci sembra eccessivamente vago: di grazia, riformata come?!

Infine, una annotazione “coreografica”: per la prima volta nella storia delle presentazioni Agcom, il rito ha separato rigidamente i “vip” ed i “plebei”: la prestigiosa “Sala della Regina” è stata dedicata aristocraticamente alle istituzioni ed ai top manager del sistema mediale, mentre una folta schiera di altri invitati (tra cui i giornalisti, con qualche privilegiata eccezione) è stata dirottata in piccionaia (addirittura al piano di sopra, nella “Sala del Mappamondo”), costretta a fruire della presentazione su schermo video (tanto valeva, per molti, fruire comodamente dello “streaming” della web tv della Camera). Al di là della spiacevolezza classista della inelegante procedura… ancora una volta, nessuna chance di dibattito, nessuna conferenza stampa: una ritualità tipica dei rigidi consessi sovietico-borbonici. Cui prodest?!

Exit mobile version