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ilprincipenudo. Referendum: rischio stallo per il sistema mediale-culturale italiano

Angelo Zaccone Teodosi

I risultati del referendum di domenica 4 dicembre 2016 determineranno conseguenze discretamente gravi sull’economia politica del sistema culturale e mediale italiano: si apre una fase di stallo, ed il rischio di stagnazione è dietro l’angolo.

Analizziamo tre delle questioni più importanti in agenda: la futura convenzione tra Stato e Rai, la novella legge Franceschini-Giacomelli su cinema ed audiovisivo, la novella Task Force governativa per l’agenda digitale, questioni tutte peraltro affrontate con cura ed attenzione, nel loro iter, dalle colonne di “Key4biz”.

Su tutte e tre le vicende, pende oggi la pesante e pericolosa “spada di Damocle” di una incertezza di brevissimo e breve periodo: quale che sia l’esito delle consultazioni tra il Presidente del Consiglio dimissionario ed il Presidente della Repubblica, si ha ragione di temere che i processi decisionali subiranno un inevitabile rallentamento.

Alcuni plaudiranno, altri criticheranno. Paradossalmente la vittoria schiacciante del “No” consentirà ai fautori del “Sì” di sorridere in modo beffardo: “avete voluto ostacolare la riforma decisionista ed accelerante?! ora cucinatevi i bei risultati della vostra improvvida decisione!”. Quest’atteggiamento è emerso tra le righe del sofferto quanto dignitoso discorso di mezzanotte del Presidente del Consiglio Matteo Renzi, durante il quale ha “scaricato” sul Comitato del No la patata bollente del “cosa fare?” nelle prossime settimane, anche rispetto alla legge elettorale.

Chi redige queste noterelle è convinto che la situazione è così confusa che sia bene ridare presto, anzi subito, la parola agli elettori, a legislazione vigente, ovvero con i minimi correttivi che la stessa Corte Costituzionale può apportare all’attuale sistema elettorale. Per quanto il Partito Democratico ed i suoi alleati possano vantare certamente ancora una buona maggioranza parlamentare, crediamo che lo “scontro” epocale, provocato dallo stesso Renzi, richieda un chiarimento della base elettorale, piuttosto che “governi tecnici” o “governi istituzionali”, governicchi o rimpasti di sorta di esecutivi che finirebbero per apparire – riteniamo – un insulto alla democrazia.

Focalizzando l’attenzione sulle questioni che abbiamo identificato (Rai/Mibact-Mise/Presidenza del Consiglio dei Ministri) il rallentamento dei processi è prevedibile e forse inevitabile.

Cinema e audiovisivo

Se è vero che la legge cinema e audiovisivo è stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale del 26 novembre 2016 (si tratta della Legge 14 novembre 2016, n. 220 recante “Disciplina del cinema e dell’audiovisivo”), approvata dopo un ultimo passaggio parlamentare con tempi record (vedi alla voce “decisionismo renziano” interpretato da Franceschini), è verosimile immaginare che un Governo dimissionario “in ordinaria amministrazione” (immaginiamo sia quello che accadrà nei prossimi giorni) non sarà esattamente in grado – anche perché avrà ben altro cui pensare! – di fornire indicazioni accurate rispetto alla gran massa di decreti attuativi, ministeriali ed interministeriali, e regolamenti di varia natura (oltre una decina di provvedimenti) che dovranno dare “corpo” alla “ossatura” della legge in questione. Come è noto, coloro che criticano la nuova legge (che pure certo non disconoscono che lo Stato ha finalmente deciso di allocare risorse consistenti a favore del settore, dopo anni e decenni di miserie e tagli) la considerano una sorta di “scatola vuota”, e sono preoccupati per quel che vi verrà inserito.

Lo scenario che si prospetta è quindi preoccupante, per tutti gli operatori del settore cinema ed audiovisivo: incertezza ed alea. Si osservi – en passant – che una delle questioni nodali della legge appena approvata (vedi anche “Key4biz” del 24 ottobre 2016, “Tutte le stranezze della ‘quasi-legge’ sul Cinema”) è la quantificazione dei danari che verranno assegnati alla parte “culturale” ovvero “qualitativa” dell’intervento dello Stato nel settore. In sostanza, la norma primaria prevede che, all’interno della quota di “sostegno selettivo” (che rappresenta un 18% del nuovo “Fondo Cinema”), siano riservate risorse alla Biennale di Venezia, al Csc – Centro Sperimentale di Cinematografia, a Cinecittà Luce (destinato a divenire sempre più braccio operativo del Ministero), al Museo Nazionale del Cinema, ed altri soggetti istituzionali ancora, che finiscono con assorbire una grossa fetta del budget complessivo.

In altre parole, la nuova legge cinema ed audiovisivo assegna molti danari pubblici per il rafforzamento strutturale dell’industria, attraverso “automatismi di mercato” (come dire?! “va’, Stato, dove il mercato ti porta”…), ma oggettivamente non presta adeguata attenzione alla ricerca creativa, alla sperimentazione di nuovi linguaggi, alle opere cosiddette “difficili”, alla produzione indipendente, alle potenzialità della produzione audiovisiva su web… Non a caso è stata una legge la cui gestazione è avvenuta nelle segrete stanze del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e del Ministero dello Sviluppo Economico, dalle quali è uscita la proposta governativa: in quelle stanze, gli esponenti della parte “artistica” del settore (gli autori e le varie categorie professionali del settore) non sono stati fatti entrare, e la dialettica con loro è avvenuta soltanto “ex post”, in sede di dibattito parlamentare.

Curiose dinamiche, per una democrazia aperta e “bottom-up” (almeno nelle intenzioni dichiarate). O dinamiche banalmente spiegabili con la sostanziale sudditanza ideologica dell’esecutivo rispetto alle logiche del “capitale” ovvero dei “poteri forti” (da Anica ad Apt, da Mediaset a Rai, e finanche gli “over-the-top”, Google in primis). Gli industriali… in prima fila, anzi al tavolo delle decisioni, gli autori e gli utenti, ovvero la comunità professionale e la società civile… in piccionaia!

I maligni hanno poi osservato come, quando vi è la “volontà politica”, però, le risorse si trovano eccome: non sono state trovate, nella legge cinema e audiovisivo, per sostenere in modo più robusto i “contributi selettivi”, ed in generale “l’arte”, ma qualche giorno fa, il provvedimento collegato alla Manovra è divenuto Legge dello Stato, con il via libera definitivo del Senato: gli stanziamenti ulteriori per le agevolazioni fiscali al cinema e all’audiovisivo passano da 30 a 60 milioni di euro (risorse che vengono sottratte al bilancio del Mibact). Per il “tax credit” (che alcuni liberisti considerano evidentemente la panacea per la cultura italica) i danari pubblici si trovano, per la ricerca creativa e la produzione indipendente un po’ meno (chissà perché)… E peraltro, in questa situazione di complessiva incertezza, chi avrà il coraggio di nominare il previsto novello Consiglio Superiore per il Cinema e l’Audiovisivo?!

Questione Rai

Sulla Rai, la questione è ancora più delicata quanto grave, e riteniamo che le responsabilità “attendiste” del Presidente Matteo Renzi e del Sottosegretario Antonello Giacomelli siano veramente imperdonabili (vedi anche “Key4biz” del 21 novembre: “Convenzione Stato-Rai: rinnovo congelato fino al referendum”): peraltro, fonti governative avevano confermato, giorni fa, che il documento che rinnova l’affidamento della concessione a viale Mazzini (che per legge deve essere rinnovata, per dieci anni, entro fine gennaio 2017) non era previsto all’ordine del giorno dei prossimi Consigli dei Ministri, e che quindi il “confronto” non sarebbe stato avviato nel breve periodo, nelle more dell’esito referendario.

Non entriamo nel merito del fatto che martedì della scorsa settimana, 29 novembre, si è pur tenuto un incontro “a porte chiuse”, presso la sede di Largo Di Brazzà del Ministero dello Sviluppo economico, iniziativa promossa dal Sottosegretario con delega alle Comunicazioni Antonello Giacomelli, sul rinnovo della concessione Rai per gli anni 2017/2026 nonché sulla revisione della direttiva europea “Avms” (cioè della direttiva sui servizi di media audiovisivi). Incontro di cui dava peraltro pubblica notizia, nella propria newsletter (edizione del 25 novembre), soltanto uno degli… invitati, ovvero l’associazione AerAnti-Corallo (l’altra “voce” dell’imprenditoria del settore radiotelevisivo italiano rispetto a Confindustria Radio Tv). L’incontro, ancora una volta, è stato aperto ai rappresentanti dell’anima economica del settore (dai broadcaster televisivi agli editori della carta stampata), senza che siano stati coinvolte le associazioni degli autori (da 100autori ad Anac a Wgi) o degli utenti (di grazia, sono deboli, eppure esistono, a cominciare dall’istituzionale Consiglio Nazionale degli Utenti Cnu, organo “ausiliario” dell’Agcom, alla cattolica Aiart).

Non comprendiamo perché in Italia si continui a ragionare con logiche “a porte chiuse”, su questioni così delicate ed importanti per l’interesse collettivo… Con buona pace della “democrazia digitale” peraltro, ovvero dei “processi partecipati”. Si predica bene, e si razzola male.

Nel mentre, peraltro, con la convenzione ed il contratto di servizio in alto, anzi altissimo, mare, a Viale Mazzini prevale un clima di comprensibile preoccupazione. Non è ben chiaro se la “missione” pubblica imposta dallo Stato prevederà novelli compiti gravosi, e non è ben chiaro se, a fronte di novelli obblighi, saranno garantite risorse ulteriori. La prevista riduzione del canone da 100 euro a 90 è un’altra variabile pericolosa. C’è anche alea sulla variabile pubblicità: circola voce di un abbassamento delle chance di raccolta pubblicitaria. Se è vero che il Governo non può certo abbassare l’affollamento pubblicitario sulle reti (essendo necessaria una norma primaria), si potrebbe intervenire per disciplinare l’affollamento pubblicitario oggi indicato su base settimanale al 4%.

La Rai fin qui ha abitualmente superato la soglia su Rai1 (la “rete ammiraglia”, dove gli spot sono più ambiti e quindi più costosi) riducendo l’affollamento sulle altre reti (ovvero “recuperando” sui canali sui quali il prezzo degli spot è più basso). A Viale Mazzini sono preoccupati che si possa introdurre attraverso la convenzione-contratto di servizio una regola che obblighi il “public service broadcaster” italiano a rispettare la soglia del 4% per ogni rete. Qualcuno ha pensato che questo nuovo vincolo “libererebbe” risorse del mercato pubblicitario, che potrebbero andare a beneficio di altri editori, sia della stampa sia dell’emittenza televisiva, ma questa grande idea è ovviamente – ancora una volta – sganciata da una logica minimamente organica di ecologia del sistema mediale nazionale, ed è frutto di umori contingenti, di pressioni lobbistiche di varia natura (il Gruppo Cairo in primis). Peraltro, la questione è correlata a quel che sta avvenendo in sede di Commissione Europea: Bruxelles sembra intenzionata a ridurre il tetto agli spot, che verrebbero eliminati a livello orario e limitati soltanto a livello giornaliero. Il Governo italiano deve ancora inviare alla Commissione il proprio parere… ma quale Esecutivo procederà in tal senso, e quando?!

Agenda digitale: la struttura di Diego Piacentini

Infine, “last but not least”, che accadrà ora alla struttura del Commissario Straordinario per l’Attuazione dell’Agenda Digitale, cui il Governo Renzi ha assegnato un budget di 31 milioni di euro per due anni, in sede di Legge di Bilancio approvata alla Camera ed approdata al Senato?!

Il Direttore di “Key4bizRaffaele Barberio ha saggiamente denunciato a chiare lettere la surreale vicenda, domandando giustamente che senso ha questa “struttura”, se già esiste – ed è discretamente finanziata – l’Agenzia per l’Italia Digitale – Agid (vedi “38 milioni al team di Diego Piacentini, ma perché allora non chiudiamo Agid?” articolo di giovedì scorso 1° dicembre 2016).

Sembrerebbe trattarsi, per parafrasare un’espressione dello slang degli architetti di una “superfetazione politica”, che corre il rischio di cascare come un castello di carte, ovvero di morire prima di nascere, dato che, saltando Renzi, salta anche un altro asse privilegiato, ovvero quello con Diego Piacentini (che – si precisa nella sua biografia – ha lavorato 16 anni in Apple e 13 in Amazon). Ci domandiamo che fine farà anche lo staff di Piacentini, ovvero il “Team per la Trasformazione Digitale” (clicca qui, per l’improvvisato sito web), rimarcando l’anomalia di una procedura che non rispetta le regole della Pubblica Amministrazione: la nomina dei componenti dello staff è stata infatti pubblicizzata, sul sito web della “Task Force”, con la precisazione surreale che “i decreti di nomina di queste figure sono in fase di registrazione presso la Corte dei Conti”. Da non crederci!

Effetti del “decisionismo” renziano forse: ma ora che Renzi non c’è più, come si procede?! E Mr Piacentini a chi risponderà?!

E se fosse Franceschini il successore di Renzi alla guida del Governo che sarà (è uno dei candidati più accreditati, nel toto-nomine)?!

Noterella finale: con il Parlamento indaffarato su tutt’altre questioni nelle prossime settimane (basti pensare alla fiducia per il prossimo Esecutivo), come si procederà rispetto alla nomina del Commissario dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, che dovrà andare a sostituire il compianto Antonio Preto (scomparso il 6 novembre)?! È trascorso un mese esatto dalla dipartita di Preto… qualcuno sta pensando alla procedura per l’elezione del subentrante (figura peraltro delicata vista la situazione dell’Agcom), o anche questa vicenda è destinata ad essere rimandata… “sine die”?! Crediamo che la sacrosanta elaborazione del lutto personale debba essere separata dalle non meno sacrosante esigenze della democrazia: l’elezione del nuovo Commissario Agcom deve essere calendarizzata al più presto. Si tratta di una partita importante per la democrazia italiana.

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