Referendum

ilprincipenudo. Par condicio: ecco perché il sistema non può garantirla

di Angelo Zaccone Teodosi (Presidente Istituto italiano per l’Industria Culturale - IsICult) |

Si scalda lo scontro tra le fazioni referendarie, in assenza di un sistema di monitoraggio del pluralismo adeguato.

ilprincipenudo ragionamenti eterodossi di politica culturale e economia mediale, a cura di Angelo Zaccone Teodosi, Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) per Key4biz. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

Tra il dire e il fare, c’è di mezzo il mare” (e talvolta l’oceano) verrebbe da commentare banalmente, osservando in modo distaccato e sereno quel che sta accadendo in questi giorni sui media italiani: da un lato, le istituzioni preposte (in primis l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni) ed i “broadcaster” (in primis Rai in quanto “public service broadcaster”), che sostengono che non v’è motivo di particolare allarme; e, dall’altro, il “fronte del No”, che continua invece a lamentare gravi squilibri nei flussi di informazione, che andrebbero a tutto vantaggio del “fronte del Sì”.

Lo vogliamo (ri)scrivere a chiare lettere: nessuno, in Italia, né il Presidente dell’Agcom né i Presidenti di Camera e Senato e finanche il Presidente della Repubblica, è in grado di certificare, ovvero di dimostrare in modo tecnicamente qualificato e metodologicamente incontrovertibile, che l’informazione relativa al referendum sia equilibrata.

I sistemi di monitoraggio (che Agcom affida a Geca Italia e Rai all’Osservatorio di Pavia) sono oggettivamente deboli, controvertibili, fallaci. Lo abbiamo scritto tante volte, anche su queste colonne, ed è finanche noioso doversi ripetere.

Quindi, da analisti indipendenti, riteniamo non ci si possa (né si debba) schierare con una parte o con l’altra, ma semplicemente invitare tutti i “player”, a referendum concluso, a non rimuovere ancora una volta la questione, ed a promuovere piuttosto una riflessione pubblica, aperta ed approfondita, su “cosa fare” per evitare il riprodursi di dinamiche così gravi. è in ballo la democrazia stessa. La questione dovrebbe assumere una rilevanza primaria nel dibattito parlamentare.

È assurdo che la questione “metodologica” emerga soltanto in coincidenza con le occasioni elettorali: “passata la festa, gabbato lo santu”, e tutto sembra rientrare in una sonnolenta “ordinaria amministrazione”.

Ci domandiamo anche che fine ha fatto l’iniziativa volontaristica provocatoria promossa nel gennaio 2015, con tanto entusiasmo, dal Presidente della Commissione Parlamentare di Vigilanza Rai, Roberto Fico, che lanciò il progetto “Open Tg” finalizzato a “rendere leggibile il monitoraggio del pluralismo” (vedi “Key4biz” del 21 gennaio 2015). Il sito sembra fermo a dati del giugno 2016 (ed i documenti in archivio sono fermi addirittura al febbraio 2015): il Presidente ha gettato la spugna, anche rispetto al referendum?!

Abbiamo apprezzato, su queste colonne (vedi “Agcom e par condicio: in Consiglio una frattura che viene da lontano”, su “Key4biz” del 18 novembre 2016), il conato di attivismo ed interventismo mostrato qualche giorno fa dall’Agcom, che ha “bacchettato” Rai e Mediaset e Sky, anche se ribadiamo che il sistema di “pesi e contrappesi” attuale è assolutamente inefficace: non ci si nasconda dietro un dito, l’apparato sanzionatorio che la legge assegna all’Autorità provoca ai “broadcaster” un lieve solletico, e nessuna preoccupazione reale.

Il problema è il solito italico: assenza o deficit nelle valutazioni di impatto, processi di feedback deboli e lenti, burocraticamente macchinosi e senza capacità di incidere veramente sulla realtà.

L’andamento italico prevalente è quasi sempre vischioso, talvolta aggravato da logiche consociative che rendono tutti i processi maledettamente gommosi.

Cosa accade se tre membri del Consiglio di Amministrazione Rai si lamentano di un (ipotetico) squilibrio nell’assetto informativo del “public service broadcaster” italico sul referendum, e chiedono provvedimenti?! Che la Presidente della Rai si appella alle rilevazioni dell’Osservatorio di Pavia, ovvero più precisamente l’Osservatorio di Pavia Media Research, ovvero la Cares scrl – Cooperativa di Analisi e Rilevazioni Economiche e Sociali (cui Viale Mazzini appalta il monitoraggio), ed assicura che tutto va bene…

Si tratta di un esempio soltanto: in verità, chi può smentire Monica Maggioni?! Nessuno, nello specifico, perché il problema è, ancora una volta, nelle metodiche.

Altresì dicasi per Angelo Marcello Cardani in Agcom, e per la spaccatura nel Consiglio dell’Autorità determinata da una radicale presa di posizione assunta qualche giorno fa dal Commissario Antonio Martusciello. Ma si ha notizia che un altro Commissario, il pugnace Antonio Nicita, abbia seriamente messo in discussione, più volte e da tempo, l’affidabilità dei monitoraggi che Agcom affida a Geca Italia srl (con budget peraltro discretamente rilevanti, circa un milione di euro l’anno). Il “perimetro” di concetti come “tempo di notizia”, “tempo di parola”, “tempo di antenna” è labile e sfuggente, se non si impongono metodologie stringenti. Si ricordi “en passant” che Geca Italia è per il 51% controllata da Prader Inversiones, società di Marco Bassetti (marito di Stefania Craxi), produttore televisivo già alla guida di Endemol Italia fino al 2012; Bassetti si definisce attualmente “business angel e venture capitalist”; Prader ha in portafoglio società come Banzai, Banijay Entertainment, Ambra, Stage; in altri Paesi, qualcuno avrebbe sollevato dubbi, se non sul rischio di conflitti di interesse, sull’opportunità…

Quel che stupisce è che, a fronte di uno scenario così critico (anzi disastrato), le istituzioni aprano addirittura novelli… “fronti”, su tematiche correlate e non meno delicate: è il caso dell’Agcom, che, con la delibera (atto d’indirizzo) cosiddetta contro l’“hate speech del 16 settembre 2016 (resa di pubblico dominio solo il 2 novembre), ha deciso di intervenire sul fronte di un’altra forma di pluralismo, ovvero il rispetto della dignità umana, delle diversità, delle minoranze; e che dire della Camera dei Deputati, ovvero della Presidenza della stessa, che il 10 maggio 2016 ha istituito una Commissione di studio “ad hoc” su queste stesse tematiche (intolleranza, xenofobia, razzismo, fenomeni di odio)?!

Abbiamo già spiegato il “vulnus” dell’atto “di indirizzo” dell’Agcom, su queste colonne (vedi “Key4biz” dell’8 novembre 2016, “Immigrati sui media, immagine distorta in Italia”): la decisione assunta dall’Agcom corre il rischio di rappresentare il metaforico “buco nell’acqua” (se fosse un atto di legge, lo si classificherebbe come “norma imperfetta”, perché non munita di sanzione), ponendosi come proclama altisonante nelle intenzioni di chi lo pronuncia, ma totalmente inascoltato dal destinatario, che, magari, dopo averlo letto, produce pure uno stentoreo (questo sì) spernacchio à la Totò. Siamo ancora una volta nell’ambito della “commedia all’italiana”.

Stesso difetto temiamo si possa attribuire all’iniziativa assunta dalla Presidente Boldrini: ottime le intenzioni, debole la strumentazione, rischio latente di sostanziale inefficacia.

Il passaggio dalla “teoria” alla “pratica” è la buccia di banana sulla quale finiscono per cadere molte lodevoli italiche iniziative.

Le due istituzioni – Agcom e Camera dei Deputati – qualche giorno fa (per l’esattezza lunedì 21 novembre) si sono “rispecchiate”, con discreto reciproco autocompiacimento, come evidente dalla lettura di un (lunghissimo) comunicato stampa diramato dall’Autorità, intitolato “Agcom: ‘Monitoreremo tv e radio per garantire il rispetto dei diritti fondamentali della persona’. Audizione del Presidente Cardani presso la Commissione ‘Jo Cox’”.

In effetti, Agcom è stata la protagonista della quarta audizione della semi-sconosciuta Commissione. Quando Cardani annuncia… “monitoreremo”, in verità, una discreta preoccupazione sorge naturale (vedi supra, alla voce “monitoraggio” referendario): come andrete a monitorare, Presidente? con quali risorse e quali metodologie?! Al fine di garantire una effettiva tutela di quanto formulato nell’Atto di indirizzo emanato a seguito di una delibera che ha visto come proprio relatore il Commissario Antonio Nicita, “l’Agcom, attraverso una rodata attività di monitoraggio già impiegata in altri settori sottoposti alla propria vigilanza e controllo, verificherà l’attuazione di quanto disposto nel richiamo”, ha sostenuto Cardani.

Molte sono, ahinoi, le perplessità sulla “rodata attività di monitoraggio” dell’Agcom. Pochi lo sanno, ma Agcom “vigila” peraltro non soltanto sulla tv, ma anche sulla radio: ricordiamo che nel 2013 Agcom ha aggiudicato al costituendo “rti” (raggruppamento temporaneo di imprese) tra la mandataria Izi spa (la società di ricerca fondata da Carlo Fuortes, per anni alla guida della Fondazione Musica per Roma) e l’associata  Euregio srl altri bei danari: oltre 700mila euro per un triennale “servizio di monitoraggio delle trasmissioni radiofoniche delle emittenti nazionali riferito alle aree del pluralismo socio-politico, delle garanzie delle utenze e degli obblighi di programmazione”.

Le tabelle sono online in bella mostra sul sito web dell’Autorità, ma ci domandiamo… se qualcuno le consulti mai, e che funzione abbiano. Cardani ha anche sottolineato l’importanza dell’“Osservatorio permanente delle garanzie per i minori e dei diritti fondamentali della persona su internet” (istituito con la delibera n. 481/14/Cons del 23 settembre 2014, relatore Antonio Martusciello), con l’intento di monitorare fenomeni quali l’istigazione all’odio, le minacce, le molestie, il bullismo, l’“hate speech” e la diffusione di contenuti deplorevoli. Istituito ormai oltre due anni fa, non ci sembra però che questo ennesimo “Osservatorio” abbia prodotto risultati minimamente rilevanti o di una qualche pubblica evidenza: anzi, non ci risulta sia stato mai pubblicato un rapporto relativo all’attività dell’Osservatorio stesso.

Non ci sembra esista infatti alcun “monitoraggio” serio del web, ed anche questo deficit dovrebbe stimolare interrogativi profondi sul senso delle attività di Agcom in materia.

Il Presidente Cardani ritiene ci si debba interessare (e preoccupare) del… “broadcasting” ovvero del “mainstream” soltanto?!

In verità, riteniamo che sia proprio il web la fonte primaria di alimentazione e diffusione di idee che stimolano fenomeni di intolleranza, xenofobia, razzismo, odio: la grande libertà del web è anche il terreno di cultura, in assenza (totale) di sistemi di monitoraggio e finanche controllo (precisando ai libertari che “controllo” non è sinonimo di “censura”). Non ci si può (af)fidare dei meccanismi di “autoregolazione” tanto decantati da Google e Facebook.

Abbiamo la certezza che molti lettori e colleghi si saranno poi domandati: data la sua… invisibilità (se si cerca nell’archivio della stampa quotidiana curato dalla stessa Camera dei Deputati, emergono pochissimi articoli), cosa diavolo è la… “Commissione Cox”?! Approfondendo, avranno presto scoperto che si tratta di una “Commissione di studio” sull’intolleranza, la xenofobia, il razzismo ed i fenomeni di odio, presieduta dalla Presidente della Camera Laura Boldrini.

La Commissione “Jo Cox” è infatti presieduta dalla Presidente della Camera e, sul modello già sperimentato per la “Commissione di studio” sui diritti e i doveri dei cittadini in internet (presieduta da Stefano Rodotà), include un deputato per ogni gruppo politico, rappresentanti di organizzazioni sopranazionali, di istituti di ricerca e di associazioni nonché esperti (clicca qui, per la composizione).

Si osservi l’assurdità della totale assenza di esperti di mediologia (un vero paradosso!): tali infatti non sono certo i pur eccellenti accademici Tullio De Mauro, Ilvo Diamanti e Chiara Saraceno. E peraltro nessuno dei soggetti coinvolti (da Carta di Roma all’Associazione 21 Luglio), pur certamente anch’essi qualificati, è un “istituto di ricerca”: si tratta infatti di soggetti della società civile che si interessano anche di queste tematiche, sviluppando progetti mirati. E magari, forse, anche un rappresentante di Unar (l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali della Presidenza del Consiglio dei Ministri) e di Agcom e di Rai e di Confindustria Radio Tv e AerAnti-Corallo, e fors’anche di un qualche “over-the-top”, in primis Google e Facebook, sarebbe stato bene coinvolgerlo: o no?! Oppure anche la Presidente Boldrini (come il suo collega Cardani) ritiene ci si debba interessare (e preoccupare) del… “broadcasting” ovvero del “mainstream” soltanto?!

Curiose alchimie delle rappresentatività in queste “commissioni di studio”, su terreni così sensibili: perché la Presidente Boldrini, in questo caso così come nel caso della Commissione “diritti internet”, non ha messo in atto un pubblico bando, una “call” trasparente per rendersi conto – anzitutto lei stessa (e quindi l’istituzione che rappresenta) – delle tante e plurali energie e professionalità attive nei rispettivi campi?! Ancora una volta, ci si è mossi con cooptazioni soggettive e parziali.

L’iniziativa della Boldrini nasce anche sulla scia dell’azione svolta dal Consiglio d’Europa, la cui Assemblea parlamentare ha, in particolare, sollecitato un ruolo attivo dei parlamenti nazionali in materia, ed ha attribuito alla deputata Milena Santerini (eletta nelle fila di Scelta Civica, ora in Democrazia Solidale) il mandato di “Relatore generale sul razzismo e l’intolleranza”, con il compito di coordinare il lavoro del network di parlamentari “Alleanza contro l’odio”. Si ricordi anche che è un’altra parlamentare italiana, Elena Centemero (Forza Italia), a svolgere il ruolo di Presidente della “Commissione Equality and Non Discrimination” dello stesso Consiglio d’Europa.

Nella seduta del 4 luglio 2016, la Commissione boldriniana ha deciso di inserire nella propria denominazione proprio il riferimento a “Jo Cox”, deputata (europeista) della Camera dei Comuni del Regno Unito, uccisa il 16 giugno 2016 mentre si apprestava a partecipare ad un incontro con gli elettori (è di queste ore la condanna del killer xenofobo alla pena dell’ergastolo).

Nella seduta del 12 luglio 2016, la Commissione “Cox” aveva audito il Presidente della Rai Monica Maggioni ed il Direttore Generale Antonio Campo Dall’Orto. Ci piace estrapolare un passaggio dell’intervento del Dg: “Parto da un piccolo grande episodio che è successo in questi giorni; venerdì scorso in una puntata di una serie che si chiama ‘Le regole del delitto perfetto’ abbiamo mandato in onda un episodio che mancava di una scena di un bacio omosessuale. È interessante perché, oltre a ribadire che c’è stato un errore – un palese errore perché la nostra volontà è anzi quella di riuscire ad essere inclusivi e di avere tra i nostri obiettivi la lotta all’intolleranza in favore di tutte le diversità – tornando al modo in cui diffondiamo cultura all’interno, in quel caso un filtro editoriale non ha funzionato e, come ho avuto modo di dire ieri, è stato un comportamento fuori dal nostro tempo. Abbiamo rimediato, abbiamo rimandato in onda la puntata integrale ed è stato un momento utile di riflessione interna, proprio per capire come riuscire a diffondere in tutti i luoghi questa cultura che sia di inclusività”. Bene, bravo. Il problema di fondo è che, se è certo apprezzabile la correzione di simili marchiani errori, permane un assetto complessivo dell’offerta editoriale Rai che non è equilibrato né rispettoso delle infinite “diversità”, che rappresentano una enorme ricchezza del nostro Paese.

Alcune iniziative promosse da Viale Mazzini (e sostenute da vari dicasteri) sono certamente commendevoli: basti ricordare le cinque campagne autunnali, che riguardano la tutela dei minori, il femminicidio e la violenza sulle donne, il disagio giovanile anche legato alle dipendenze, il bullismo… basti ricordare opere audiovisive come “Io ci sono” e “Chiedilo al mare”, e finanche un programma di prima serata condotto da un eterodosso showman come Mika…

Però queste belle iniziative non bastano, sono insufficienti a modificare quell’immagine piatta di omologazione e conformismo che emerge osservando Rai nel suo complesso: l’immagine stereotipata prevalente che deriva dalla sua offerta informativa ed editoriale. Si tratta veramente di gocce nell’oceano.

E ricordiamo che in Rai è stata ormai smantellata una struttura preziosa qual è stata il Segretariato Sociale (retto per lungo tempo dall’appassionato Carlo Romeo, poi divenuto – promoveatur ut amoveatur? – Direttore Generale della semi-clandestina San Marino Rtv, il “psb” della Repubblica di San Marino, di cui Rai ha il 50% delle quote), preposto a fungere proprio da “interfaccia” e “facilitatore” tra Viale Mazzini e società civile…

E ricordiamo che, con la gestione Maggioni-Campo Dall’Orto, si è persa anche traccia del fondamentale “bilancio sociale” della Rai, che pure è stato uno degli ultimi atti encomiabili della Past President Anna Maria Tarantola e del Past Dg Luigi Gubitosi (vedi “Key4biz” del 29 luglio 2015, “Il numero zero del ‘bilancio sociale’ Rai: più ombre che luci”)…

Ciò basti. Ancora una volta: dalla “teoria” alla “pratica”

Non resta che augurarsi che la ancora segretissima bozza della convenzione tra Stato e Rai (vedi “Key4biz” del 21 novembre) abbia recepito concretamente le esigenze di un servizio pubblico radiotelevisivo più aperto al mondo ed alla società civile e maggiormente plurale, che dia finalmente spazio – non marginale – alle infinite diversità (di genere, etnia, religione, cultura…) del nostro Paese. In prima serata, non nelle pieghe dei palinsesti e nelle ore di programmazione sepolcrali.

Non resta che augurarsi che la Commissione di studio “Cox” della Camera dei Deputati riesca a stimolare un qualche intervento concreto sulla realtà, e non finisca per riprodurre i risultati – certamente interessanti dal punto di vista teorico, sostanzialmente inesistenti dal punto di vista pratico – della Commissione Rodotà sui diritti internet.

Clicca qui, per leggere il comunicato stampa diramato dall’Agcom il 21 novembre 2016, in occasione dell’audizione del Presidente Angelo Marcello Cardani di fronte alla Commissione “Jo Cox” della Camera dei Deputati

Clicca qui, per leggere il resoconto stenografico della seduta del 12 luglio 2016 della Commissione “Jo Cox” sull’intolleranza, la xenofobia, il razzismo e i fenomeni di odio (tra gli auditi, la Presidente ed il Dg della Rai)

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