Questa mattina, presso la sede della Prefettura di Roma (nonché sede anche della “ex” Provincia) a Palazzo Valentini, s’è tenuta una iniziativa interessante, sia in sé – per l’attento impegno socioculturale – sia come kermesse in qualche modo “test” del modo di far politica e di comunicare dei più accreditati candidati a Sindaco della Capitale: l’occasione è stata data dalla presentazione di un dossier di ricerca e di una sorta di agenda intitolata “Roma: Oltre le baraccopoli”, promossi dall’Associazione 21 luglio onlus, molto attiva nel sociale. L’Associazione 21 luglio è un’organizzazione non profit impegnata in particolare nella promozione dei diritti delle comunità rom e sinte in Italia, principalmente attraverso la tutela dei diritti dell’infanzia e la lotta contro ogni forma di discriminazione e intolleranza.
L’Associazione 21 luglio ha presentato ai candidati Sindaco (la data delle elezioni è ancora incerta, verosimilmente saranno a giugno) una “agenda” per chiudere le “baraccopoli” romane in cinque anni. Questo l’obiettivo, in sintesi: “mettere fine a politiche segregative e dispendiose, affrontare il disagio sociale senza cadere nella trappola dell’appartenenza etnica delle persone”.
Si dirà… ma come è possibile, a Roma ci sono ancora… “baraccopoli”?!
Ebbene sì, anche se si tratta di un intelligente e condivisibile artificio semantico: di fatto, la 21 luglio ritiene che il termine “campo rom” debba essere sostituito – dai politici, dai giornalisti, dai cittadini – con il termine “baraccopoli”.
In effetti, il fenomeno delle “baraccopoli”, dove per trent’anni hanno vissuto circa 100mila baraccati italiani, non s’è infatti esaurito negli anni Ottanta, con l’abbattimento delle ultime baracche (si ricordi che nel 1957 a Roma erano ben 15mila le famiglie che vivevano in baracche…).
Anche oggi, circa 8 mila persone – tra cittadini italiani, comunitari ed extracomunitari – vivono nelle baraccopoli romane, ed il prossimo sindaco della Capitale sarà chiamato ad affrontare con urgenza la questione, individuando soluzioni abitative alternative (incentrate sull’esigenza di superare il disagio sociale delle persone, piuttosto che sulla loro appartenenza etnica).
Il documento “Roma: Oltre le baraccopoli. Agenda politica per ripartire dalle periferie dimenticate” si pone come piano concreto per chiudere in cinque anni le baraccopoli della Capitale. È stato sottoscritto da 13 intellettuali, e realizzato in collaborazione con Tommaso Vitale, professore associato di Sociologia presso Sciences Po – Università La Sorbona di Parigi.
La presentazione è stata condotta da Gianni Augello, giornalista della più sensibile testata italiana specializzata su queste tematiche, “Redattore Sociale”, e merita essere segnalata anche perché s’è caratterizzata per un apparato documentativo sintetico ed efficace e per una apprezzabile brevità degli interventi.
Impressionante osservare come il problema dei “campi rom” ovvero delle nuove “baraccopoli” romane resti irrisolto, sebbene negli ultimi anni l’amministrazione capitolina abbia speso mediamente ogni anno 23 milioni di euro.
La fallimentarietà degli interventi è stata codeterminata anche dalle dinamiche ormai note come “Mafia Capitale”: parte della spesa pubblica veniva… stornata a favore di interessi assai privati. Carlo Stasolla, Presidente di 21 luglio, non ha avuto remore, ed ha ricordato come l’Associazione abbia denunciato più volte, nel corso degli anni, la mala gestione della “res publica” in materia di politiche sociali: “dirigenti incapaci ed amministratori corrotti”.
La fallimentarietà degli interventi è però anche dovuta – corruzione a parte – dagli errori di approccio: nel corso dei decenni, ha finito per prevalere un approccio che si definisce paradossalmente “culturalista” (in verità, con un uso improprio della radice semantica “cultura”).
Il fenomeno delle baraccopoli romane, ufficialmente chiuso negli anni Ottanta ma riproposto con l’arrivo delle nuove comunità rom jugoslave prima e rumene dopo, è stato regolamentato nella città di Roma attraverso un approccio giustappunto (pseudo) “culturalista”, che ha affondato le sue radici in un abbaglio: i nuovi migranti sarebbero diversi da quelli giunti nel Dopoguerra, sono cittadini “nomadi”, che non sanno e non vogliono vivere in abitazioni ordinarie.
L’alternativa alla baracca, per queste persone, non è stata più considerata la casa, come era stato fino al decennio precedente, ma il “campo nomadi”, ribattezzato successivamente – con incredibile retorica istituzionale – “villaggio attrezzato” e “villaggio della solidarietà”.
Ha sostenuto Stasolla, con modi pacatissimi ma decisi: “in campagna elettorale, ai candidati Sindaco viene puntualmente chiesto come pensano di affrontare il problema dei rom, ma una domanda di questo tipo ha al suo interno la trappola dell’etnicità. Quando si è messa definitivamente la parola fine sulle baraccopoli romane, il Sindaco Petroselli non si è mai posto la questione dell’origine etnica delle persone, ma ha pensato a garantire un alloggio dignitoso a tutti i cittadini che non sono in grado di averlo. La domanda giusta da porre ai candidati dovrebbe dunque essere: “Qual è il suo programma sulle baraccopoli (che sono abitate da persone di cittadinanza italiana, rumena, serba, peruviana, bosniaca…”)?”.
Il Presidente della 21 luglio ha manifestato con chiarezza le sue tesi anche in un articolo pubblicato ieri da “il Fatto Quotidiano” (vedi “Elezioni a Roma, sui rom i candidati non hanno alcuna ricetta concreta”). Si suggerisce anche la lettura dei commenti dei lettori, sull’edizione web della testata, tra i quali spicca quello di tal Karen Appel: “mi piange il cuore dirlo, ma sui rom Hitler aveva ragione”.
E c’è naturalmente chi insinua che quest’iniziativa dell’Associazione 21 luglio sia una subdola operazione autopromozionale per candidarsi a futuri bandi di Roma Capitale (evviva la democrazia del web, no?!).
Si segnala che la 21 luglio si dichiara in verità “un’organizzazione indipendente che si finanzia attraverso le donazioni di privati cittadini, di fondazioni italiane e internazionali e istituzioni europee”. Per raggiungere i suoi obiettivi, “l’Associazione non può accedere a finanziamenti pubblici italiani, al fine di mantenere equità di giudizio, libertà di espressione e indipendenza decisionale”.
Nel bilancio dell’anno 2014, risultano proventi per circa 400mila euro. Le iniziative dell’Associazione sono sostenute – tra gli altri – dalla Open Society Foundations (alias Soros), dalla Fondazione Migrantes (Conferenza Episcopale Italiana – Cei), dalla Chiesa Valdese (attraverso i fondi dell’Otto per mille).
Il problema dei “rom” ovvero dei “baraccati” è – ancora una volta – culturale e mediale.
Non esiste una “invasione”, come sostengono i leghisti ed i teorici delle “ruspe”, dato che la popolazione rom rappresenta meno dello 0,20% della popolazione residente a Roma.
E non c’è nemmeno un problema di risorse. Basti pensare che la Regione Lazio, per il “piano straordinario per l’emergenza abitativa”, ha stanziato ben 250 milioni di euro per 1.200 alloggi nella Capitale, ma ha incredibilmente escluso, ancora una volta, gli abitanti delle baraccopoli, limitando il sostegno abitativo ai nuclei “in graduatoria” per un alloggio popolare, agli abitanti dei “residence” comunali e finanche delle… “occupazioni” (un vero paradosso!).
Lo stesso Commissario di Roma Capitale ha avviato – incredibilmente – due bandi, per rispettivamente 6 e 5 milioni di euro: Francesco Paolo Tronca (che svolge la funzione di “Commissario Straordinario per la provvisoria gestione di Roma Capitale fino all’insediamento degli organi ordinari”) evidentemente ritiene che sia cosa buona e giusta destinare 6 milioni di euro per rafforzare la “vigilanza” (umana e video-telematica) dei “campi rom”, e 5 milioni di euro per recuperare 5 “centri di raccolta”. L’Associazione 21 luglio auspica che questi bandi vengano revocati, e richiede che sia il Sindaco che verrà ad imprimere una svolta radicale rispetto agli abituali interventi “di emergenza” (sempre in un’ottica conservativa di assistenzialismo)…
Quel che piace dell’iniziativa della 21 luglio è la concretezza, e la sensibilità rispetto alla conoscenza dei fenomeni.
L’Associazione ha proposto un piano concreto per la prossima Amministrazione, costituito da quattro macro-azioni, per la chiusura graduale e definitiva di tutte le “baraccopoli” romane nel quinquennio 2016-2021, attraverso:
(1.) un’analisi del fenomeno e delle risorse, che preveda una mappatura delle baraccopoli e il censimento delle molteplici e diversificate soluzioni abitative da offrire alla famiglie, a seconda dei loro bisogni;
(2.) la regolarizzazione giuridico-amministrativa, con il coinvolgimento di Prefettura, Questura, Ambasciate e Consolati, degli abitanti delle baraccopoli e l’adozione di linee-guida in materia di sgomberi;
(3.) l’elaborazione di un “piano strategico”, in cui fondamentale sarà il monitoraggio tecnico delle azioni realizzate;
(4.) la costruzione del “consenso” attraverso il dialogo con i media e con la società civile, superando la logica comunicazionale della ghettizzazione…
Musica per le nostre orecchie: “analisi del fenomeno”, “analisi delle risorse”, “censimento”, “mappatura”…
Può sembrare incredibile, ma Roma Capitale non ha mai dedicato attenzione seria al fenomeno, dal punto di vista sociologico e scientifico, non casualmente anche in occasione della presentazione odierna è stato citato più volte il mitico Franco Ferrarotti ed i suoi indimenticabili studi sulle periferie romane: ennesimo caso di una Pubblica Amministrazione italica che (mal) governa, senza conoscere il fenomeno su cui interviene.
Tante volte, anche sulle colonne di “Key4biz”, abbiamo denunciato questo frequente e diffuso deficit di “evidence-based policymaking” delle italiche amministrazioni: accade negli ambiti culturali e mediali, succede anche negli ambiti dell’intervento delle politiche sociali…
Sempre latente il rischio di un governo nasometrico e spettacolare del Paese: lo “stile Renzi” finisce per incarnarlo.
Sono stati invitati alla presentazione dell’Agenda tutti gli attuali candidati a Sindaco di Roma, ma hanno partecipato all’iniziativa soltanto – in ordine alfabetico – Stefano Fassina (Sinistra Italiana), Roberto Giachetti (Pd), Virginia Raggi (5 Stelle), Paolo Voltaggio (Roma Bene in Comune).
Alcune osservazioni “coreografiche”, all’attenzione dei lettori di “Key4biz”, sempre sensibili alle dinamiche della comunicazione: i candidati hanno diligentemente assistito in prima fila alla presentazione, e, quando il giornalista di “Redattore Sociale” ha domandato loro se volevano intervenire… due di loro si sono simpaticamente volatilizzati!
Senza nemmeno addurre i rituali “superiori impegni”, o altri appuntamenti in agenda. Al di là della scorrettezza e della scortesia nei confronti dei promotori e degli astanti, è parso evidente ai più che né il candidato del Partito Democratico né la candidata del Movimento 5 Stelle hanno ritenuto di voler prendere posizione rispetto alle proposte – semplici ma radicali?! – manifestate dall’Associazione 21 luglio.
Fatta salva la immediata graziosa disponibilità… “a favore di telecamere”, fuori dal salone della kermesse, a farsi intervistare da un nugolo di giornalisti, che li hanno stressati di domande “macro”, ben oltre la specifica tematica.
Soltanto Stefano Fassina, con tono come sempre serio (anzi, serioso: è uno dei suoi tratti – o deficit?! – caratteriali e comunicazionali, e certo non produce consenso elettorale, almeno secondo le vigenti regole della “politica spettacolo”), ha dichiarato piena adesione all’iniziativa, ed ha dichiarato di voler far propria l’Agenda della 21 luglio, pur nella necessità di contestualizzare gli interventi sulle baraccopoli all’interno di una nuova politica sociale capitolina (che deve riguardare anche tematiche come gli asili-nido e l’assistenza agli anziani).
Favorevole all’Agenda si è dichiarato anche l’avvocato Paolo Voltaggio, che ha annunciato che tra pochi giorni la sua candidatura a Sindaco verrà formalizzata dal movimento “Roma Bene in Comune”, lista civica promossa da associazioni cattoliche di base.
È intervenuto infine anche Riccardo Magi, il giovane Presidente dei Radicali Italiani (che secondo alcuni sarà anche lui candidato Sindaco in una lista civica di matrice radical-socialista), che ha ricordato come nel giugno del 2015 è stata promossa la campagna “Accogliamoci. Per una Capitale senza ghetti né ruspe”, finalizzata al superamento dei “campi rom” ed alla riforma delle politiche di accoglienza dei rifugiati a Roma, promossa da una coalizione di associazioni composta giustappunto da Radicali Roma ed Associazione 21 luglio, ma anche da A Buon Diritto, Possibile, Cild (Coalizione italiana Libertà e Diritti civili), Arci Roma, Un Ponte per, Asgi e Zalab… L’11 settembre 2015 è stata depositata in Campidoglio la proposta di “Delibera di iniziativa popolare per il superamento dei campi rom”, sottoscritta da oltre 6mila cittadini. All’iniziativa hanno aderito – tra gli altri – Emma Bonino, Luigi Manconi, Giuseppe Civati, Furio Colombo, Khalid Chaouki e Fabrizio Barca, e, ancora, l’attore Elio Germano e il cantante Piotta…
Qualche mese dopo, è scoppiato il caso di “Mafia Capitale”: conferma giudiziaria del marcio che covava, e che qualcuno aveva identificato e denunciato…
Ci auguriamo che iniziative “evidence-based” come quella promossa dall’Associazione 21 luglio possano stimolare un modo di “fare politica” che sia più vicino ai bisogni reali della gente e… più lontano dalle telecamere e dalla “politica spettacolo”.
Clicca qui per leggere il dossier di ricerca “Roma: Oltre le baraccopoli. Agenda politica per ripartire dalle periferie dimenticate”, presentato dall’Associazione 21 luglio ai candidati Sindaco di Roma il 23 marzo 2016