Se almeno la vicenda della concessione Rai martedì scorso ha registrato un significativo passo in avanti (vedi “Key4biz” di mercoledì 13 aprile “Concessione Stato-Rai: parere ‘bipartisan’ in Vigilanza”), e quindi si avvia la procedura per finalmente addivenire – entro fine ottobre 2017 – al nuovo “contratto di servizio” tra Stato e Viale Mazzini, si registrano acque agitate nel settore cinematografico.
In effetti, sono in gestazione i decreti attuativi della novella “legge cinema” (detta anche “legge cinema ed audiovisivo”, perché avrà ricadute anche nello specifico extra-“theatrical”), ovvero l’insieme di nuove norme fortemente volute dal Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo Dario Franceschini, d’intesa con il Sottosegretario alle Comunicazioni del Ministero dello Sviluppo Economico Antonello Giacomelli. Si tratta della legge n. 220 14 novembre 2016, intitolata “Disciplina del cinema e dell’audiovisivo” (pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 26 novembre 2016).
Qual è il nodo che si è venuto a determinare?!
Alcuni si stanno, forse tardivamente, rendendo conto che la legge (che assomiglia in verità, per alcuni aspetti, ad una “legge-quadro”) contiene molte aree “grigie”, ovvero incerte ed aleatorie, ed i tanti previsti decreti attuativi in gestazione potrebbero paradossalmente determinare risultati contrari o comunque contraddittori rispetto agli eccezionali risultati annunciati da Ministro e Parlamento.
Su queste colonne, abbiamo seguito con attenzione la nuova legge: essa è di fatto partita, anni fa ormai, con una “consultazione” generale abbastanza aperta, mentre nella fase di scrittura sono stati organizzati dei “tavoli” a porte chiuse, ai quali sono stati chiamati soltanto gli “stakeholder” imprenditoriali del settore (da Anica ad Apt, da Rai a Mediaset a Sky Italia, e pochi altri eletti), e l’anima artistico-autoriale è stata invece ignorata. Completamente ignorata.
Dopo queste due fasi (consultazione e tavoli), il Governo ha approvato un disegno di legge, che, con iter relativamente sofferto, è stato aperto anche alla consultazione delle associazioni autoriali, in sede parlamentare, soprattutto in Senato. Il passaggio alla Camera è stato rapido e senza modifiche del testo approvato dall’altro ramo del Parlamento (vedi “Key4biz” del 24 ottobre 2016, “Tutte le stranezze della quasi-legge sul Cinema”).
Insomma, Franceschini sembra aver ascoltato soprattutto le ragioni “dell’industria” mentre la relatrice senatrice Rosa Maria Di Giorgi (Partito Democratico) si è mostrata sensibile alle ragioni “degli autori”. È come se il Ministro avesse preferito scaricare la “patata bollente” ad una collega parlamentare (anche all’interno di alchimie infra-Pd, va segnalato), ma intanto il menabò l’ha scritto lui, nelle sue segrete stanze.
Risultato finale?! Un discreto… pasticcio.
Questa dinamica delle “consultazioni” provoca ormai profonde perplessità, come nel caso della controversa “CambieRai”: sembra quasi che il Governo stimoli questi processi per prevenire i rischi di critiche, per costruire una sorta di consenso preventivo, e per apparire tanto (ma tanto)… democratico, però, in fondo, dopo aver “audito”, procede come meglio ritiene. Non siamo certamente di fronte a processi decisionali democratici evoluti di tipo “bottom-up”. Assistiamo piuttosto a delle… simpatiche simulazioni, a dei teatrini strumentali alla produzione di consenso (in materia di consultazioni – da Rai a Miur a Ministero della Giustizia – vedi anche “Key4biz” del 15 gennaio 2016). Insomma, io ascolto tutti, ma poi, alla fin fine, io (Governo)… “io so io e voi non siete un c…o”, come recitava un indimenticabile Marchese del Grillo interpretato da Alberto Sordi (per la regia del compianto Mario Monicelli).
Sia ben chiaro: tutti (a parte i liberisti integralisti anti-statalisti, come il “think-tank” Istituto Bruno Leoni – Ibl) hanno manifestato il plauso perché, dal 2017, un flusso di risorse significative verrà allocato a favore dell’intervento pubblico nel settore cinematografico, con una stabilizzazione di medio periodo che mai s’era registrata negli ultimi anni. Si tratta di ben 400 milioni di euro all’anno: saranno effettivamente disponibili risorse certe, oltre il 60% in più rispetto al budget precedentemente disponibile, con uno specifico “Fondo per lo Sviluppo degli Investimenti nel Cinema e nell’Audiovisivo” (vedi qui la sintesi, così come elaborata dallo stesso Ministero).
Ma come verranno allocate queste risorse?!
E qui… casca l’asino, perché – come abbiamo dimostrato e ribadito tante volte anche su “Key4biz” – lo stato dell’arte delle conoscenze in materia di politica cinematografica (ed audiovisiva) e di economia del cinema (e dell’audiovisivo) è in Italia semplicemente inquietante: si è legiferato (e si governa), da decenni, con totale carenza della cassetta degli attrezzi.
Prevale la nasometria, ovvero una pseudo “dialettica”, che è di tipo ideologico-politico (scontri tra poteri forti e lobby), non basata su dati di fatto: non basata sulla conoscenza (economico-sociologica) della realtà. E la realtà resta “sconosciuta” perché questa dinamica consente maggiori margini di… “manovra”, ad una parte ed all’altra.
Concetti e metodiche come “fact checking”, “data-driven decision” e “evidence-based policy making” sono per lo più sconosciuti, non soltanto per un parlamentare della Repubblica come il surreale Antonio Razzi (reso famoso dal geniale Maurizio Crozza per il suo “ma guarda… io questo non credo…”), ma per buona parte di coloro che governano il nostro Paese.
In particolare, nel settore culturale e dei media, il disastro è totale.
La bozza di legge Franceschini-Giacomelli si è avvalsa del contributo di qualificati consulenti specializzati come Alberto Pasquale e Bruno Zambardino, ma anche eccellenti professionisti possono “elaborare” ben poco di strategicamente accurato, a fronte di un dataset di base deficitario, non avendo una palla di vetro.
È questo lo sconfortante risultato di una deriva diffusa e strisciante.
Ricordiamo – ancora una volta – che non deve essere esattamente casuale se l’Osservatorio dello Spettacolo del Mibact, struttura cui la “legge madre” sullo spettacolo del 1985 aveva affidato il monitoraggio del settore (e specificamente del “Fondo Unico dello Spettacolo” alias “Fus”), è stato irresponsabilmente de-potenziato, de-finanziato, ed attualmente corrisponde ad una scatola vuota.
Esattamente come avvenuto con l’Ufficio Studi della Rai, smantellato qualche anno fa (e bye-bye analisi sui contenuti, il pluralismo, le minoranze…), e finanche con il Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr), che decenni fa ha chiuso l’istituto che si occupava di politica della scienza e della tecnologia (e bye-bye analisi valutative e di impatto…).
Le analisi scenaristiche, gli studi predittivi, in Italia, sono rari, anzi rarissimi, ed ancor più le valutazioni d’impatto.
Vale anche per la legge cinema, e, in particolare, per il controverso “tax credit”.
Come dire?! Meno si sa, meglio è.
La rubrica “ilprincipenudo” su “Key4biz” – che tra tre mesi festeggerà il suo terzo anno – è nata anche con l’intento di denunciare questo gravissimo deficit: rimandiamo alla prima edizione, non a caso intitolata “L’economia della cultura e l’incertezza dei suoi numeri” (vedi “Key4biz” del 4 luglio 2014).
Rispetto alla legge cinema, ed alla sua gestazione, la domanda rimasta senza risposta è stata: perché l’anima artistica del settore è stata completamente esclusa dal lavoro nei tavoli organizzati da Franceschini e Giacomelli?!
Non stupisce, quindi, che, in sede di elaborazione dei tanti decreti attuativi, le associazioni del settore autoriale, tutte, “scoprano” – un po’ tardivamente – che… qualcosa non quadra!
Comunque qualcuno – va riconosciuto – aveva visto bene, se è vero che l’associazione 100autori (alla cui presidenza è stato eletto da qualche giorno Stefano Sardo, che succede a Francesco Bruni), rispetto alla Franceschini-Giacomelli (dopo l’approvazione in Senato, a metà ottobre 2016), aveva scritto: “il giudizio finale sulla legge però rimane sospeso, poiché ci sono nel ddl delle criticità, che risiedono in due ambiti interconnessi: l’effettiva ripartizione delle risorse, in particolare quelle destinate ai contributi selettivi, e il rinvio di numerosi aspetti in apparenza solo “tecnici” ai decreti attuativi e legislativi che verranno pubblicati dal Governo nei prossimi mesi”.
Inoltre, è stato da poche settimane nominato il nuovo (giustappunto voluto dalla legge) massimo organo consultivo del Ministro e del dicastero, il Consiglio Superiore del Cinema e dell’Audiovisivo (vedi “Key4biz” del 7 marzo), da cui l’acronimo impronunciabile di “Csca” ed a questo organo le associazioni degli autori si sono subito rivolte, dato che il Consiglio ovviamente è chiamato ad esprimersi rispetto alla stesura dei decreti. Si segnala peraltro che si tratta di pareri assolutamente non vincolanti per il Ministero (della serie…).
Un processo “redazionale” in verità piuttosto… complessificante, considerando peraltro che la composizione del Consiglio Superiore evidenzia una minima quota di esponenti del mondo artistico (sebbene sia presieduto da un apprezzato autore come Stefano Rulli, fino a poco fa alla presidenza del Centro Sperimentale di Cinematografia – Csc e già alla guida dell’agguerrita associazione 100autori), e son stati già rilevati alcuni conflitti di interesse in alcuni membri…
Lunedì scorso 10 aprile si è tenuta una riunione tra le associazioni degli autori e, appunto, il Consiglio Superiore del Cinema e dell’Audiovisivo, e mercoledì 12 le associazioni stesse hanno ritenuto di informare le rispettive comunità professionali di quel che era accaduto, dando ampia ed opportuna pubblicità all’incontro.
Le bozze dei decreti circolano negli ambienti professionali, ma, ancora una volta, non esiste una vera ed autentica pubblicità di questi processi di scrittura (normativo-regolamentativa), che, in una democrazia evoluta (ancor più se “digitale”), dovrebbero essere invece oggetto di redazione compartecipativa.
Il comunicato stampa diramato l’indomani (giovedì) dalle associazioni evidenzia che c’è qualcosa che non sta funzionando come il Ministro Franceschini ed il Direttore Generale Nicola Borrelli forse si aspettavano: il meccanismo non sembra oliato, e forse si sta inceppando, evidenziando le proprie contraddizioni interne. Nel mentre, le imprese e gli autori sono allo sbando, perché, se non vengono perfezionati i nuovi decreti, il sistema produttivo permane sostanzialmente in stallo. Da mesi, ormai.
“Contraddizioni interne” determinate – va rimarcato – da quel profondo deficit cognitivo che ha prodotto una legge dai piedi di argilla.
In sostanza, come è avvenuto per il tanto decantato “tax credit”, si sta mettendo in moto un’automobile che, pur con il serbatoio pieno di benzina, non è ben chiaro in quale direzione vada. Gli ottimisti sostengono: la si metta in moto, poi si vedrà! I pessimisti sostengono: e se andiamo tutti a sbattere?! Al di là delle banali metafore, si tratta di un’auto che veramente non dispone di navigatore o di mappe di sorta, e può andare ovunque. Anche verso un burrone.
E che il cinema italiano non stia granché bene è stato dimostrato in occasione di una recente occasione di raro dibattito critico, promosso dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici (Sncci) e dalla Federazione Italiana Cinema d’Essai (Fice), di cui questa testata ha riferito con attenzione (vedi “Key4biz” del 23 marzo 2017, “Cinema italiano in caduta libera, Cinecittà World tenta il rilancio”). La quota di mercato del cinema “made in Italy” è in fase calante (e non è un fenomeno effimero), molti film prodotti con l’aiuto dello Stato non arrivano nelle sale cinematografiche (e restano invisibili), la stessa Rai maltratta il cinema italiano (trasmette pochissimi titoli in prima serata, incredibile perdurante assenza di una rubrica di promozione)… L’estensione del pluralismo espressivo va a farsi benedire, la ricerca e la sperimentazione boccheggiano, mentre si assiste ad una iperproduzione di commediole ripetitive che incassano pochi spiccioli…
Nel comunicato stampa, intitolato senza equivoci “Dopo tanti annunci, arrivano i primi decreti attuativi del ddl Franceschini. Prevale la preoccupazione: vanno cambiati”, si legge:
“si è riunito in assemblea straordinaria presso la Casa del Cinema di Roma il nuovo fronte unitario del cinema e dell’audiovisivo italiano che da tempo esprime le istanze di autori, registi, produttori, distributori, critici, festival e industrie tecniche, compatti e rappresentati da tutte le sigle degli autori (Anac, 100 Autori e Wgi), le sigle della produzione e distribuzione indipendente (Agpci e Cna Pmi) e le sigle di critici e festival (Sncci e Afic). Questa vasta rappresentanza del comparto cine-audiovisivo italiano si è riunita d’urgenza a seguito dell’esame delle prime bozze di alcuni fra i decreti attuativi della nuova legge cinema e del primo incontro con il neo insediato Consiglio Superiore del Cinema e dell’Audiovisivo. Molte le preoccupazioni. In primis, le definizioni di “Produttore Indipendente”, “Distributore Indipendente” di “Cortometraggio” e “Film Difficile”, fondamentali per una legge che, anche secondo gli schemi europei, dovrebbe sostenere i prodotti di qualità, innovativi e di sperimentazione e le aziende indipendenti che in tutto il mondo ne sono il chiaro motore di sviluppo”.
Analizzando in dettaglio le critiche manifestate dalle 7 associazioni del novello “fronte unitario”, si comprende che il dicastero sta elaborando testi che sono ben lontani dalle aspettative della comunità cinematografica. Dalle aspettative degli autori almeno, perché nessun segno di lamentazione s’ode dalle associazioni imprenditoriali, le confindustriali Anica ed Apt in primis, presiedute rispettivamente da Francesco Rutelli (da qualche mese) e da Giancarlo Leone (da qualche giorno). Va segnalato che aderiscono al “fronte” anche due associazioni imprenditoriali minori, l’Apgci (giovani produttori indipendenti, associazione che peraltro, a sua volta, è parte della confindustriale Agis) e la Cna Pmi (che rappresenta piccole imprese e “start-up”). Insomma, il fronte non è soltanto “autoriale”, considerando Apgci e Cna Pmi, così come le associazioni dei critici (Sncci) e dei festival (Afic). Nessuna voce dal Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici (Sngci). Curioso il silenzio dell’associazione dei documentaristi, Doc/it, così come di quella dei produttori di animazione, Cartoon Italia, ovvero degli autori, Asifa Italia.
Le 7 associazioni concludono il comunicato sostenendo che “hanno espresso le stesse preoccupazioni al Consiglio Superiore del Cinema e dell’Audiovisivo – in particolare per la linea di tendenza che allontana la legge dal dettato delle direttive europee, sia per il rispetto del principio di “eccezione culturale” che in materia di aiuti di Stato – unitariamente hanno chiesto con la massima urgenza un incontro al Ministro Dario Franceschini insieme con il Direttore Generale Nicola Borrelli, e si sono riservate la possibilità di adottare tutte le opportune iniziative presso le istituzioni competenti sia in sede nazionale che europea, prima fra tutte l’Antitrust”.
Le associazioni restano in attesa di analizzare tutti gli altri decreti, tra gli altri quelli sull’esercizio, i sostegni selettivi e automatici, il “tax credit” esterno, la promozione…
È evidente, dal tono elegantemente minatorio seppur in politichese antico (“le più opportune iniziative”…), che sta per essere dissotterrata l’ascia di guerra, dopo un periodo, durato qualche mese, nel quale tutti si son compiaciuti per la sensibilità del Governo e del Parlamento, apprezzando – soprattutto – come i cordoni della borsa dello Stato fossero stati allargati, dopo anni (anzi decenni) di deprimenti “vacche magre” e di noiosa “spending review”.
Non è giunta risposta dal Collegio Romano (sede del Ministero) ovvero da Santa Croce in Gerusalemme (sede della Direzione Generale Cinema), ma, nelle more, si attende, con molta curiosità, il programma di Rai3 “Report”, che, nella puntata di lunedì 17 aprile, trasmetterà un servizio dedicato al cinema, ovvero ai finanziamenti pubblici alla cinematografia, concentrando l’attenzione sul “tax credit” (in particolare quello “esterno”, ovvero di investitori estranei al settore) sulla vicenda di Cinecittà Studios (un altro capitolo dolente della cattiva politica culturale italiana).
Il servizio, curato da un giornalista che lavora con Milena Gabanelli da molti anni, Giorgio Mottola (autore di impegnative inchieste), doveva andare in onda nella prima puntata della nuova stagione di “Report”, a fine marzo, ma è stato rimandato perché pare siano emerse ulteriori “testimonianze” intriganti, e nell’ultima puntata della trasmissione, lunedì scorso (10 aprile), è stata messa in onda un’anticipazione del servizio, che si annuncia gustoso assai. Tra i soggetti “colpiti”, anche uno dei “mostri sacri” del cinema italiano, ovvero Roberto Benigni. Si ricordi che la tematica “tax credit”, ovvero del rischio di uso distorto dello strumento – non esattamente a beneficio del settore cinematografico e soprattutto dei produttori ed autori indipendenti – è stata oggetto in passato anche di attenzioni parlamentari, in particolare da parte di Gianfranco Sammarco, deputato di Ap/Ncd/Udc (vedi “Key4biz” del 30 settembre 2015), ed in particolare del suo consulente l’avvocato Michele Lo Foco (esponente di “opposizione” cooptato nel Consiglio Superiore del Cinema e dell’Audiovisivo).
Conclusivamente, ci piace qui ricordare che il comma 3 dell’articolo 11 della nuova legge cinema assegna al Csca una funzione ben precisa (è la prima che viene identificata, alla lettera a.): “svolge attività di analisi del settore cinematografico e audiovisivo, nonché attività di monitoraggio e valutazione delle politiche pubbliche, con particolare riferimento agli effetti delle misure di sostegno previste dalla presente legge, utilizzando anche i dati resi disponibili, a richiesta, dalle competenti strutture del Ministero”.
Ci auguriamo che il Consiglio – che è peraltro incredibilmente costretto a lavorare gratis – voglia e sappia e possa (a fronte della solita litania sulla limitatezza delle risorse per attività di ricerca e studio) adempiere seriamente a questa funzione.
Viene poi da pensare che forse il Ministero avrebbe però dovuto sviluppare una qualche forma di “monitoraggio e valutazione delle politiche pubbliche”… prima di mettere in cantiere una nuova legge, costruita su un grande deficit di conoscenze.
Clicca qui, per il comunicato stampa “Dopo tanti annunci, arrivano i primi decreti attuativi del ddl Franceschini. Prevale la preoccupazione: vanno cambiati”, diramato dalle associazioni Anac, 100 Autori, Wgi, Agpci, Cna Pmi, Sncci e Afic, in relazione ai decreti attuativi della legge cinema Franceschini, riunitesi presso la Casa del Cinema di Roma il 12 aprile 2017
Clicca qui, per vedere, dal sito RaiPlay, l’anticipazione del 10 aprile 2017 del servizio che Rai 3 dedicherà al cinema nella prossima puntata di “Report”, a cura di Giorgio Mottola, il 17 aprile 2017