Nella storia della Rai, la prima settimana di agosto è stata spesso un periodo “caliente”, ma soprattutto per le nomine del management apicale (approfittando di un qual certo allentamento della pressione partitocratica e della ridotta attenzione mediale), mentre il 2018 è senza dubbio l’anno dello scontro ai massimi livelli: è in forse la presidenza stessa di Viale Mazzini…
Come si preannunciava già nel pomeriggio di ieri, questa mattina la Commissione Bicamerale di Vigilanza della Rai non ha perfezionato la nomina del Presidente della Rai, sostanzialmente “designato” dal Ministro dell’Economia: la vicenda ha sapore surreale, anche perché Marcello Foa – riferiscono le cronache – ha preso possesso della propria stanza (presidenziale) al Settimo Piano, ha diramato comunicati stampa (quale… “facente funzioni”?!)… Insomma, non si è dimesso, ma resta in rispettosa attesa delle decisioni del Ministro, ed oggi pomeriggio ha presieduto – in quanto “consigliere anziano” – la riunione del Consiglio di Amministrazione di Viale Mazzini, ovviamente chiamata ad ordinaria amministrazione.
Come prevedevamo (vedi “Key4biz” di ieri: “Scontro partitocratico per la nomina di Foa, ma nessuno propone una concreta ‘idea di Rai’”), la Commissione parlamentare di Vigilanza sulla Rai ha infatti bocciato l’indicazione della maggioranza di governo M5s-Lega per nominare Marcello Foa presidente della Rai: Forza Italia ha scelto di non votare, come Pd e LeU, ed i 22 voti di maggioranza e FdI non sono bastati a raggiungere il quorum dei due terzi, ovvero 27 voti.
La vicenda è divenuta così importante che questa mattina Matteo Salvini avrebbe raggiunto Silvio Berlusconi addirittura in ospedale (ove è ricoverato per un ennesimo intervento di “rigenerazione”), al San Raffaele di Milano, e durante “la visita di cortesia” si è parlato ovviamente anche della Rai.
Il voto in Vigilanza ha confermato l’indisponibilità di Forza Italia: in una riunione prima del voto, azzurri, Pd e LeU hanno concordato di non ritirare la scheda per la votazione. Da ricordare che si temeva infatti qualche voto “fuori dal coro”, essendo la procedura a scrutinio segreto: insomma, c’era il rischio di qualche “franco tiratore”. L’unico forzista ad essersi espresso è stato Alberto Barachini, Presidente della Commissione (“in quota” Fi), che ha votato “scheda bianca”. I numeri per Foa sono dunque quelli della maggioranza M5s-Lega più il supporto di Fratelli d’Italia: in tutto 22 sì (assente per malattia 1 parlamentare M5s), ben lontani dai 27 necessari per raggiungere il quorum dei due terzi fissato dalla legge a garanzia di una nomina “bipartisan”.
Da Lega e M5s, è presto emerso un coro di “non si dimetta”, sostenendo che possa insediarsi come “consigliere anziano” (ha soltanto 55 anni, e ciò conferma che abbiamo a che fare con il Cda più giovane nella storia di Viale Mazzini). Il diretto interessato per ora non annuncia passi indietro: “prendo atto con rispetto” del voto della Vigilanza, dichiara, e si mette “a disposizione” dell’azionista, ovvero il Governo tramite il Mef, “invitandolo a indicarmi quali siano i passi più opportuni da intraprendere nell’interesse della Rai”.
Sembra evidente e condivisa – dal variegato fronte delle opposizioni – l’esigenza di un “azzeramento” della procedura, e la necessità di una pre-designazione da parte dell’azionista che possa contare, in qualche modo “a priori”, della maggioranza in Commissione di Vigilanza.
Il Segretario del Partito Socialista Italiano (Psi), Riccardo Nencini, rispetto alla ipotesi che Foa possa comunque restare “Presidente”, ha dichiarato, con modalità “à la Pannella”: “si tratterebbe di un vergognoso colpo di mano. La Rai è una azienda pubblica che deve tutelare tutti gli italiani. Pronti a incatenarci di fronte a Viale Mazzini, se questa procedura insolita dovesse avere corso”.
È evidente che – strategicamente o tatticamente che sia – i due alleati di governo hanno tentato una “forzatura”, che ha determinato due conseguenze: reazione comprensibile delle opposizioni per la dinamica aggressiva (oggettivamente); crisi ulteriore della strana “alleanza” nel centro-destra (metà al governo, metà all’opposizione).
Un dettaglio ignorato dai più: in verità, il Ministero dell’Economia non è “l’azionista”, così inteso come “azionista” unico della Rai. Gli azionisti della Rai Radiotelevisione spa sono infatti due: al 99,56 per cento il Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef) e per lo 0,44% la Società Italiana Autori Editori (Siae). Si tratta di un retaggio del passato (risale addirittura al regime fascista), e, secondo alcuni serve ormai esclusivamente a giustificare l’esistenza di una società… “per azioni”. Ma è un dato di fatto che l’“assemblea degli azionisti” della Rai, ovvero Mef + Siae, si è riunita venerdì 27 luglio, alle 16, negli uffici di Viale Mazzini, per formalizzare la nascita del nuovo Consiglio di Amministrazione del servizio pubblico. E in quella sede il rappresentante del Mef ha ufficializzato i nomi di pertinenza dell’Esecutivo che erano stati annunciati nel primo pomeriggio: Fabrizio Salini come Amministratore Delegato e Marcello Foa come Presidente. La Siae come ha votato?! Non è dato sapere.
Nessuno, nel corso del tempo, ha mai posto l’attenzione su questo “dettaglio”, che tale sarà in termini “aziendalistici”, ma che riteniamo dovrebbe invece essere (potrebbe essere) una leva per una riflessione strategica sulla Rai: se la nuova legge di riforma della “governance”, tanto voluta da Matteo Renzi, ha introdotto il “consigliere di amministrazione” eletto dai dipendenti della Rai, perché la Siae, in quanto rappresentante della gran parte dei “creativi” italici ovvero degli autori (ed editori) italiani – ha ben 87.500 iscritti – non dovrebbe poter esprimere un proprio consigliere nel Cda Rai, in una “legge di riforma” che crediamo ormai urgente ed indispensabile, anche per sanare gli errori della riforma renziana?!
Se la Rai è la “maggiore industria culturale” del Paese – lo sostiene anche il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte – non sarebbe giusto che anche l’anima creativa di questa industria avesse una sua voce in consiglio?!
Si segnala peraltro che sul sito di “Articolo21” (l’associazione di attivisti mediali il cui slogan è “il dovere di informare, il diritto ad essere informati”) alcuni intellettuali hanno proposto che la presidenza della Rai venga assegnata proprio al rappresentante dei dipendenti Rai, il giovane ed appassionato Riccardo Laganà: sembra una provocazione politica, ma potrebbe essere un’idea non così balzana (vedi l’intervento di Renato Parascandolo, “Una modesta proposta: Laganà presidente!”)…
Giovanni Minoli (candidato al Cda Rai e da alcuni proposto per la presidenza) ha sostenuto, in un’intervista a “il Foglio”: “sono cinquant’anni che la Rai è il diapason d’Italia. Quello che capita alla Rai anticipa quasi sempre quello che capiterà nella politica…”. La nomina di Foa “segnala una svolta… Salvini ha deciso di forzare fino in fondo e di andare da solo, rompendo il centrodestra” e “siamo sull’orlo di un cambio di scenario politico (…) non c’è niente di nuovo. Il centrosinistra è nato in Rai, quando ancora nel Paese c’era il centrismo. Fanfani nominò Bernabei a capo della televisione di Stato, e quella fu la soluzione che fece entrare i comunisti. E la nascita della terza rete ha anticipato il compromesso storico (…) persino la nascita della seconda rete, affidata ai socialisti, sancì definitivamente la nascita del centrosinistra. Lo ripeto: c’è sempre un rapporto tra quello che succede in Rai e le trasformazioni politiche. La Rai o anticipa un evento, o ratifica”. In questo caso, “ratifica la fine del centrodestra, e mi pare che anticipi un rapporto di opposizione – si vedrà in che termini – tra il Pd e Forza Italia”.
Non sappiamo se quella di Minoli si rivelerà una… profezia ovvero… “la morte del centro-destra”, ma la situazione è senza dubbio critica, molto critica, grave e delicata, sia per il “public service broadcaster” specificamente sia per il Paese “tout-court”.
Nel mentre… “le cronache” sembrano ignorare alcuni accadimenti, piccoli ma sintomatici, che non sfuggono all’osservazione accurata di “Key4biz”, e che meritano attenzione: forse non come “la battaglia per la Rai”, ma sono certamente interessanti.
È di questa mattina (mercoledì 1° agosto), la notizia che la storica Agis – Associazione Generale Italiana dello Spettacolo ha deciso di aderire a Confcommercio: Agis era, fino ad oggi, uno dei partner di Confindustria Cultura, ma quest’organismo, negli ultimi anni s’è sempre più indebolito (attualmente sono associati soltanto Aie, Afi, Fimi, Pmi, Univideo, e sono uscite Anica ed Apt…), e quindi Agis ha deciso di affiliarsi alla “concorrenza”.
Impresa Cultura Italia-Confcommercio è il nuovo organismo di coordinamento delle imprese culturali e creative, promosso da Confcommercio e Agis nel quadro della recente affiliazione dell’Associazione Generale Italiana dello Spettacolo alla Confederazione. Si legge nel documento costitutivo: “al centro dell’azione di Impresa Cultura Italia-Confcommercio, c’è la convinzione che la cultura, segno di identità nazionale, sia fattore di sviluppo e di progresso per l’intera società e autentico motore di sviluppo economico per i territori. Come, infatti, emerge da una recente ricerca, realizzata da Ciset insieme a Confcommercio e Agis, ogni euro investito nell’organizzazione di un evento culturale attiva nel territorio di riferimento, in media, 12 euro di spesa dei visitatori per circa 5 euro di valore aggiunto, ossia di ricchezza finale che rimane nel territorio”.
Non entriamo qui nel merito di questa ennesima valutazione “nasometrica” dell’italica economia della cultura, ma segnaliamo che la notizia avrà conseguenze nelle politiche del settore: è prevedibile una maggiore attenzione alle piccole imprese piuttosto che alle esigenze industriali (anche se, in verità, vere e proprie “industrie culturali” in Italia – Rai a parte – ce ne sono pochine). Gli organi della nuova struttura di coordinamento sono stati eletti alla presenza del Presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli: a presiedere Impresa Cultura Italia-Confcommercio è stato nominato Carlo Fontana, Presidente di Agis, mentre Valerio Toniolo, imprenditore nel settore cultura (dirige tra l’altro il romano Auditorium di Via della Conciliazione – di proprietà del Vaticano – ed ha promosso l’associazione Buona Cultura), è stato designato come Direttore.
In argomento, si ripropone anche una questione correlata: il nuovo Consiglio di Amministrazione della Rai confermerà quella che riteniamo una strana anomalia, ovvero l’adesione della Rai a Confindustria Radio Televisioni?! Tra l’altro, Crtv è presieduta da Franco Siddi, consigliere uscente di Viale Mazzini.
Ma qual è il senso di una società di servizio pubblico come Rai che aderisce alla lobby confindustriale?!
Da segnalare anche che venerdì scorso 27 luglio, la Direzione Cinema del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali (e quindi ormai “Mibac” e non più “Mibact”, essendo la delega sul turismo passata all’agricoltura ovvero al senatore leghista Gian Marco Centinaio, Ministro delle Politiche Agricole e Forestali) ha annunciato che è stata assegnata alla società specializzata britannica Olsberg Spi Limited la prima inedita “valutazione di impatto” degli effetti della legge Franceschini-Giacomelli sul cinema e l’audiovisivo.
Da molti anni, anche su queste colonne, lamentavamo l’assenza, totale, di queste analisi, in primis rispetto al sempre decantato (troppo) “tax credit”. Il bando prevede la consegna di un rapporto a metà settembre (2018). I consulenti britannici dovranno quindi trascorrere in Italia un agosto lavorativo intenso assai, data la mole (enorme) di dati che dovranno trattare, per un compenso non proprio eccezionale (poco più di 100mila euro, a fronte di una legge che prevede un intervento pubblico di 400 milioni di euro l’anno a favore del cinema e dell’audiovisivo). Ci si domanda se si dovesse ricorrere proprio ad una società non italiana, per una analisi così importante, ed afferente ad una realtà peculiare e complessa come quella del sistema audiovisivo del nostro Paese, ma indubbiamente Olsberg può vantare un curriculum prestigioso a livello internazionale. La comunità professionale del cinema e dell’audiovisivo italiano attende con ansia i risultati di questa prima “valutazione di impatto”.
Altra questione importante e… correlata: il Ministro della Cultura Alberto Bonisoli ha dichiarato ieri che in autunno intende revocare la ormai tradizionale “prima domenica del mese” gratis nei musei statali. Subito scatta una levata di scudi di coloro che (il predecessore Dario Franceschini in primis) hanno sostenuto che quella misura fosse benefica per l’economia culturale nazionale. Chi può dirlo, a ragione veduta, se è stata veramente benefica o meno? Di grazia, nessuno!
Ed anche qui – ci si consenta – casca l’asino: così come per il “bonus cultura” per i diciottenni alias “18app”, dapprima radicalmente bocciato da Bonisoli e poi ripescato “con emendamenti” – per così dire – annunciati (il dettaglio è ancora ignoto: vedi “Key4biz” del 12 luglio 2018: “App18, Bonisoli ‘Dal 2020 il Bonus Cultura sarà misura strutturale e non solo per i 18enni”), in Italia quasi sempre decisioni politiche strategiche in materia di politica ed economia della cultura vengono assunte… senza adeguate fondamenta cognitive.
Si riproduce spesso quel che su queste colonne abbiamo tante volte definito “governo nasometrico” della “res publica”, sulla base di impressioni, umori, intuizioni, soggettività, senza che il processo di “policy making” sia basato su analisi, studi, ricerche, oggettività: questa denuncia è alla base della genesi stessa della rubrica “ilprincipenudo” (vedi qui la prima edizione, su “Key4biz” del 4 luglio 2014: “L’economia della cultura e l’incertezza dei suoi numeri”).
Il “fact checking”, in Italia, anche a livello governativo, resta l’eccezione alla regola, e spesso si sparano numeri in libertà, fuochi d’artificio simpaticamente funzionali alla propaganda: l’“evidence-based policy” è purtroppo ancora una chimera.
Sulla Siae… cortine fumogene. Dopo l’assurdo annullamento (per anomalie informatiche) delle procedure elettorali che erano state convocate per il 13 giugno 2018, il 26 luglio scorso è stato rinnovato il Consiglio di Sorveglianza della Società Italiana Autori Editori. La notizia è incredibilmente sfuggita a tutti o quasi: nessun quotidiano le ha dedicato nemmeno due righe. Una raffinata scelta comunicazionale “low profile” o semplicemente disinteresse dei più?!
Infine, ieri, con una lettera a Laura Belmonte, Presidente del Collegio dei Revisori della Siae, Filippo Sugar ha comunicato le dimissioni dalla Società al termine del suo mandato (iniziato nel marzo 2015) alla presidenza della Società Italiana degli Autori ed Editori: “oggi, con l’elezione del nuovo Consiglio di Sorveglianza e l’ormai prossima elezione del nuovo Consiglio di Gestione, la mia missione è giunta al suo termine”, scrive nella lettera il Presidente, eletto giovedì scorso 26 luglio membro del Consiglio di Sorveglianza appena insediato. Il Consiglio di Sorveglianza si riunirà a breve per l’elezione del nuovo presidente, prevista per il 10 settembre. Sugar – già Vice Presidente del Consiglio di Gestione Siae – ha rivolto il suo ringraziamento ai colleghi Consiglieri, al Collegio dei Revisori, al Direttore Generale di Siae Gaetano Blandini, a “tutta la struttura di dirigenti, dipendenti e mandatari di Siae, condotta con passione da Gaetano attraverso il periodo di maggiore trasformazione della centenaria storia della Società”.
Il futuro della Siae appare veramente molto incerto, assai più di quello della Rai, dato che il Governo – anche nelle parole del Sottosegretario con delega all’Editoria, Vito Crimi – ha più volte ribadito “avanti con la liberalizzazione”.
In un incontro con l’ormai Past President Sugar, venerdì scorso 27 luglio, il Sottosegretario Crimi ha dichiarato che “la liberalizzazione del sistema di raccolta (‘collecting’) dei diritti d’autore non va fermata. È comunque indispensabile riuscire a governare questo processo, accompagnandolo con un quadro giuridico chiaro ed efficace, che abbia come punto di riferimento la tutela delle opere e degli autori italiani, e che non li penalizzi”. E ieri 31 luglio Sergio Battelli, Presidente della Commissione per le Politiche dell’Unione Europea, ha messo un carico da novanta, nel salutare Sugar: “a Filippo Sugar, che oggi ha rassegnato le sue dimissioni da Presidente della Siae, vorrei fare un grosso in bocca al lupo per il suo prossimo futuro e ringraziarlo per il lavoro fatto in questi anni. Il M5s non ha certo cambiato idea, rimane sempre convinto dell’assoluta necessità di modificare radicalmente l’assetto della Società, ponendo fine sul serio al suo monopolio e restituendo agli artisti la libertà di scelta ma, solo uno sciocco, non si renderebbe conto degli sforzi fatti in questi anni da Sugar per provare a modernizzare il ‘carrozzone’. So benissimo che ha dovuto lottare spesso contro i mulini a vento e ho l’impressione che, chi ostacola il cambiamento, sia ancora all’interno della Siae”.
Conclusivamente, cercando di collegare questi “tasselli” del “puzzle” (e quelli su cui abbiamo posto i riflettori oggi rappresentano soltanto un triste florilegio), si ha conferma di un governo approssimativo delle industrie culturali italiane: ancora senza una strategia organica e sistemica, e con una “cassetta degli attrezzi” perennemente sprovvista della strumentazione indispensabile per un buon governo.