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ilprincipenudo. Netflix, maxi-investimenti in produzioni originali (ma quanto punta in Italia?)

Angelo Zaccone Teodosi

Lo scenario mediale e culturale post-elezioni permane veramente incerto, aleatorio, problematico: tra i “nodi” senza dubbio più importanti, vanno segnalate le criticità correlate al futuro della Rai (dal contratto di servizio da poco pubblicato in Gazzetta Ufficiale al rinnovo del Consiglio di Amministrazione col Governo che verrà) ed all’applicazione dei decreti attuativi della legge cinema ed audiovisivo (lasciati in eredità dal Ministro Dario Franceschini e dal Sottosegretario Antonello Giacomelli), senza dimenticare la querelle che contrappone Siae e Soundreef/Lea (vedi in proposito il dibattito dei giorni scorsi su Key4biz nell’articolo “SIAE in cerca di futuro. Sotto attacco dal M5S e in attesa delle decisioni” dell’Antitrust” e la successiva “Replica della SIAE a Key4biz”).

L’attenzione va posta anche su alcune fenomenologie curiose: per esempio, il 18 e 19 aprile, con modalità tipiche dell’“invasore” senza scrupoli (ovvero delle storiche “major”), Netflix, uno dei nuovi “big player” dell’industria audiovisiva planetaria, ha presentato a Roma i 55 nuovi titoli che sono in produzione nell’“area Emea” (su un totale di 700 contenuti originali annunciati – di cui ben 80 film cinematografici – a livello mondiale). Si tratta di 10 nuovi progetti, di cui 7 nuove serie. Già dal linguaggio, si comprende la sensibilità di questi attori globali: a loro nulla importa – come a Facebook e Google, d’altronde – degli Stati nazionali, ma dei mercati soltanto, ed una “nazione” è alla fin fine semplicemente una “provincia” qualsiasi del mercantile “impero globale”. Come sanno gli esperti di marketing, “Emea” è l’acronimo con cui ci si riferisce – dal “point of view” degli Usa – ai mercati dell’Europe, Middle East, and Africa (ovvero Europa, Medio Oriente ed Africa).

Il boss di Netflix Reed Hastings (co-fondatore e Ceo) ha annunciato 8 miliardi di dollari Usa di investimenti sul contenuto e 1,3 miliardi di dollari in tecnologia e sviluppo: non si nutrono dubbi che si tratti di dati verosimili (considerate le dimensioni del gigante), ma va segnalato che il livello di trasparenza di questi operatori economici sui singoli mercati nazionali tende a zero, e quindi gli 8 miliardi potrebbero essere 4 o anche soltanto 2, o finanche 16. Nessuna istituzione può certificare, e l’unico “giudice” è alla fin fine rappresentato, nel medio periodo, dall’andamento di borsa. Alcuni analisti ritengono che Netflix pecchi ormai di eccessivo ottimismo e che questo grande investimento in contenuti originali (8 miliardi sono comunque a fronte di un fatturato globale di “soltanto” 12 miliardi di dollari nell’esercizio 2017) possa mettere a rischio la solidità finanziaria del gruppo. Si consideri, per comprendere le dimensioni “esponenziali” della redditività di Netflix, che è stato calcolato (stime Cnnc) che chi avesse investito 1.000 dollari Usa in Netflix nel 2007 oggi avrebbe un controvalore 2017 di 102.000 dollari!  Ma, analisti finanziari a parte (con tutti i limiti del caso), chi può verificare se corrispondono ad effettiva verità dichiarazioni come quella secondo la quale Netflix coinvolgerebbe in tutto il mondo 35mila “lavoratori locali”?!

In occasione dello show romano (intitolato “See What’s Next”, per la prima volta con “location” italiana), si è parlato ovviamente di alcune nuove produzioni italiane: le serie televisive “Luna Nera” (sulla stregoneria, ideata da Francesca Manieri, Laura Paolucci, Tiziana Triana, produzione Fandango) e “Baby” (con Benedetta Porcaroli, Alice Pagani, Isabella Ferrari, Claudia Pandolfi, ispirata alla storia delle “baby squillo” dei Parioli, era stata annunciata da mesi e le riprese sono iniziate in questi giorni, regia di Andrea De Sica e Anna Negri, produzione Fabula Pictures) ed il primo film cinematografico destinato anzitutto al mercato italiano, “Rimetti a noi i nostri debiti” (con Marco Giallini e Claudio Santamaria, per la regia di Antonio Morabito, produzione Leone Film Group con Rai Cinema). E, come è noto, è già in produzione la seconda stagione di “Suburra”. Kelly Luegenbiehl, Vice President International Originals della “global tv fai-da-te” ha sostenuto che stavano cercando “per l’Italia” una serie che “non fosse strettamente legata a temi come la mafia, la politica e la religione”. Questa dichiarazione stimola riflessioni interessanti sulle strategie culturali di soggetti come Netflix, che pure sembrano essere basate – apparentemente – soltanto sull’appetito di redditività.

Quel che emerge dalla rassegna stampa (non eccezionale, ma consistente) è una sorta di “sudditanza” intellettuale di molti colleghi giornalisti, tutti presi dai “fuochi d’artificio” e dai “trailer” delle nuove produzioni: nessuna domanda critica sugli investimenti effettivi in prodotti audiovisivi italiani e sul senso editoriale (culturale? osiamo ipotizzare…) della strategia produttiva in Italia.

Ad una sussurrata domanda su come vengono assunte le decisioni produttive, Erik Barmack, Vice President International Originals, ha risposto simpaticamente: “Abbiamo modelli matematici che aiutano a prevedere il successo di una serie tv. Da lì, decidiamo un budget. Ci muoviamo su due fronti: cerchiamo contenuti locali, più o meno finiti, e cerchiamo talenti in tutti il mondo. A Hollywood lo storytelling è incompleto, ci sono molte cose da dire anche fuori dagli studios…”.

Come dire?! Un algoritmo governa le scelte editoriali delle nuove multinazionali dell’immaginario.

Confessiamo che avremmo preferito – e continuiamo a preferire – la dialettica tra “major” ed “indies”, che ha caratterizzato per decenni la storia dell’industria cinematografica americana. E non è esattamente un esempio di dialettica, invece, la decisione che Netflix ha preso alcuni giorni fa di ritirare tutti i suoi film dal Festival di Cannes del 2018: il primato (storico, estetico, culturale) del “grande schermo” viene messo radicalmente in discussione da Netflix, il cui modello di business è basato quasi esclusivamente sul web e sui big data.

Dubitiamo peraltro che l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni abbia gran voglia di domandare a Netflix cosa sta combinando sul mercato italiano (e semmai domandare addirittura come funziona… l’algoritmo!), ma forse questa curiosità sarà presto inevitabile, date le conseguenze “disruptive” di questo “player”. Basti pensare che non esiste un dato ufficiale sulla quantità di abbonati in Italia, che si stima possa essere intorno ad 800mila (su un totale planetario di 125 milioni)…

Naturalmente, la “vetrina” europea di Netflix non ha chiarito quale sarà la strategia del gruppo di Los Gatos a fronte dei mega accordi tra Walt Disney e Fox ovvero di Comcast-Nbc per l’acquisizione di Sky. Lo scenario globale sta registrando modificazioni significative, e l’Italia… “resta a guardare”.

Se è vero che “side does matter”, e che quindi le potenzialità italiche sono comunque oggettivamente limitate da un mercato piccino picciò (se ci si riferisce al naturale sbocco italofono), grande è l’aspettativa per i primi frutti della legge cinema ed audiovisivo, tanto voluta da Dario Franceschini e Antonello Giacomelli, approvata a fine 2016, ma divenuta operativa soltanto tra l’autunno del 2017 e la primavera del 2018, attraverso decine di decreti attuativi che hanno messo alla prova sia le strutture tecniche della Direzione Generale del Cinema del Mibact (retta da Nicola Borrelli, che sicuramente manterrà il ruolo anche con il prossimo Esecutivo, anche perché è il miglior conoscitore dei complessi decreti, essendo il primo autore), sia gran parte degli operatori del settore, peraltro stremati da una lunga anzi estenuante attesa.

Ad una lettura critica, sembra d’altronde che non sia esattamente l’internazionalizzazione la priorità che la nuova legge ha assegnato al settore audiovisivo nazionale, allorquando la debolezza dell’export del “made in Italy” è una delle più gravi criticità del nostro sistema.

Dopo questi fuochi d’artificio “planetari” messi in scena da Netflix, osserviamo alcune altre dinamiche nostrane: all’attesa per gli effetti della legge Franceschini, si associano polemiche “infra-settoriali” che sono interessanti, perché sintomatiche di quel deficit di respiro strategico, di visione organica del sistema audiovisivo.

Come dire? Forse, dai… “massimi” ai “minimi” sistemi?!

Come abbiamo già segnalato su queste colonne (vedi “Key4biz” del 19 marzo 2018, “Scoppia il caso ‘CinemaDays’, esercenti contro produttori e Mibact”), il Ministero retto da Franceschini “pro tempore” ha sostenuto con convinzione la campagna “CinemaDays”, che prevede un prezzo ridotto del biglietto nelle sale cinematografiche per alcune settimane (tre) nell’arco di sei mesi (9-12 aprile, 9-15 luglio, 24-27 settembre). I tamburi di guerra s’erano scatenati prima dell’avvio dell’iniziativa. A distanza di un mese, si analizzano i risultati, che hanno ricevuto interpretazioni contrastanti: Anica (l’associazione dei produttori, cui aderisce anche l’associazione dei multiplex Anem) si è dichiarata entusiasta, d’accordo col Ministro, mentre Anec (l’associazione degli esercenti cinematografici dell’Agis) si è dichiarata delusa.

Ancora una volta, come spesso avviene nella disastrata “economia della cultura” (nelle prassi e nelle teorie) del nostro Paese, sia l’un fronte sia l’altro hanno contrapposto dati che nessuno ha chance di validare.

In effetti, appare banale che non possa essere soltanto il prezzo la leva attraverso la quale stimolare una maggiore propensione alla fruizione in sala cinematografica, ma il fronte Anica-Mibact sembra ignorare questo concetto elementare, e si (auto)esalta nell’osservare alcuni dati, apparentemente positivi, dell’iniziativa “CinemaDays”. Senza considerare che queste analisi numerico-statistiche sono influenzate da processi multifattoriali e contingenti (il listino dei titoli distribuiti, l’offerta televisiva, l’andamento meteorologico…) che i flussi di spettatori dovrebbero essere studiati con grande attenzione tecnica, prima di poter addivenire… a sentenza. Ma, in Italia, la propensione per gli studi scientifici sull’industria culturale è assai limitata e modesta assai. Eppure, nonostante ciò… “si governa”.

Basti leggere, una di fronte all’altra, le due dichiarazioni, in una piccola “guerra di cifre” che evidenzia da sola il problema sostanziale: che è di strategia complessiva, ovvero di deficit di strategia.

Questo il tenore del comunicato stampa Anica-Ministero (questa strana alleanza continua a stupire, sarebbe interessante sapere cosa ne pensa l’anima artistico-autoriale del cinema, dai 100autori ad Anac a Wgi) diramato il 13 aprile, dall’inequivocabile titolo “Cinema: Franceschini, grande successo per Cinemadays. Con 850mila spettatori in sala, il pubblico cresce del 25 %. Anica, il cinema continua ad essere la forma di intrattenimento preferita dal pubblico”. L’entusiasmo sembra indiscutibile: “Si chiude con 850mila spettatori in sala il primo appuntamento di quest’anno con i Cinemadays. L’iniziativa, promossa dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali del Turismo, insieme ai produttori, distributori ed esercenti cinematografici, ha registrato una crescita del pubblico del 25 % – quasi 200mila spettatori in più – rispetto alla settimana scorsa, grazie alla promozione che prevede l’ingresso a 3 euro nei cinema di tutta Italia che hanno aderito”. Fin qui, i dati (?!). Queste le analisi (?!): “Il successo dei Cinemadays dimostra che le campagne di promozione sono uno strumento sempre utile per avvicinare il pubblico al grande schermo. Sono sicuro che nelle prossime settimane si andrà rafforzando il legame tra gli amanti del cinema e le sale che hanno aderito” così ha dichiarato il Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Dario Franceschini.

 

“850mila spettatori in quattro giorni feriali è un ottimo risultato: il cinema continua ad essere la forma di intrattenimento preferita dal pubblico. Un buon auspicio per le prossime tappe della campagna in luglio, agosto e ottobre” così i produttori, distributori ed esercenti dell’Anica (presieduta da Francesco Rutelli, n.d.r.) hanno commentato i risultati del primo appuntamento con Cinemadays. “Alla luce del complesso dell’iniziativa, che prevede altri tre appuntamenti, la prima fase è da considerare più che positiva, anche grazie al risultato del giovedì che ha visto aumentare il pubblico del 94 % rispetto alla settimana precedente. La settimana dal 9 al 15 luglio con il cinema a 3 euro sarà un’occasione per rilanciare il cinema d’estate, un’esperienza in cui gli spettatori italiani, e soprattutto i giovani, possono tornare a credere”.

Così ha risposto l’Anec-Agis (presieduta da Alberto Francesconi), tempestivamente lo stesso giorno (13 aprile): “in quattro giorni, i CinemaDays hanno attratto dal lunedì al giovedì 826mila spettatori, per un incasso di 2,95 milioni di euro. Un risultato inferiore per numero di spettatori del 29,9 % ai CinemaDays di aprile 2016 (1,18 milioni di presenze nei quattro giorni, 3,8 milioni di €) e del 53,8 % a quelli di ottobre 2015 (1,79 milioni di presenze, 5,5 milioni di €). Rispetto al periodo lunedì-giovedì delle Feste del Cinema di maggio 2013 e 2014 (che duravano otto giorni, dal giovedì al giovedì), i risultati sono del pari negativi (-17,86 % rispetto al 2013, quando nei quattro giorni furono totalizzati 1 milione di presenze e 3,3 milioni di €; e -12,91 % rispetto al 2014, che accumulò nei 4 giorni 949mila presenze nei 4 giorni con un incasso di 3 milioni di €)”. Fin qui, i dati (?!). Queste le analisi (?!): “Un risultato non convincente, nonostante il fatto che molte sale, anche per non subire la concorrenza degli altri cinema sul territorio, abbiano deciso di aderire all’ultimo momento. Le perplessità manifestate dall’Associazione Nazionale Esercenti Cinema, determinandone la mancata adesione, riguardano la scelta di una comunicazione incentrata unicamente sul fattore prezzo e non, anche e soprattutto, sugli elementi distintivi dell’esperienza cinematografica, oltre all’insoddisfacente condivisione nella fase decisionale e organizzativa e, soprattutto, a un’offerta di prodotto non in linea, particolarmente per l’annunciata promozione di luglio che non risolverà le criticità del cinema in estate, su cui c’è ancora tanto da lavorare. Insomma una promozione sottotono, in larga parte affidata alla comunicazione aziendale delle sale cinematografiche, attraverso internet e newsletter”.

Lo scontro Anica-Mibact “versus” Anec-Agis è sintomatico di un (non) governo tecnico del sistema audiovisivo italiano: non si tratta di numeri sparati in libertà (grazie agli dèi questo ci viene risparmiato, anche se purtroppo avviene in tanti altri settori dell’industria culturale nazionale), ma di numeri letti in ottica piuttosto partigiana, in assenza di un’analisi complessiva ed approfondita e “super-partes”. Un ennesimo piccolo esempio tipico dell’assenza di una visione “alta”, strategica e sistemica, e dell’assenza di una cognizione adeguata di quali siano le vere criticità del settore (e quindi gli strumenti più adeguati per superarle).

Ci governa, da Netflix al Mibact-Anica-Anec-Agis, una curiosa… numerologia: algoritmica e/o fantasiosa.

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