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ilprincipenudo. Lo spettacolo italiano lancia l’allarme: senza fondi è rischio paralisi

Angelo Zaccone Teodosi

Angelo Zaccone Teodosi

Questa mattina al teatro Quirino di Roma si è tenuta un’affollata assemblea di operatori imprenditoriali ed artistici del variegato italico mondo dello spettacolo dal vivo (teatro, musica, danza…), promossa dal Comitato per la Difesa dello Spettacolo dal Vivo, costituitosi nelle settimane immediatamente successive alla approvazione dei “decreti direttoriali” risultato di una controversa riforma dei meccanismi di sovvenzionamento ministeriale.

La questione riguarda centinaia di imprese e migliaia di lavoratori, ma finora non ha conquistato l’attenzione mediatica che merita, anche perché appare attualmente debole la capacità (protestaria e rivendicativa) di quella che storicamente è stata la maggiore associazione imprenditoriale del settore, la confindustriale Agis (Associazione Generale Italiana dello Spettacolo).

Ne abbiano già scritto su queste colonne (vedi da ultimo “Key4biz” del 24 settembre:Spettacolo e risorse: il Fus tra centralità della politica e pressione dei tecnici) e qui sintetizziamo: nel luglio del 2014, è stato emanato un decreto ministeriale che ha “rivoluzionato” i burocratici meccanismi storici, complessi e arrugginiti, di sostegno pubblico alle attività dello spettacolo in Italia. Di fatto, si è intervenuto per via “regolamentare”, a fronte di un’assenza di sensibilità, e quindi di intervento normativo del legislatore: basti pensare che una legge nazionale per il teatro viene invocata da oltre settanta anni (!), e basti ricordare come la famosa cosiddetta “legge madre” di riforma dell’intero settore dello spettacolo, approvata nel 1985 e fortemente voluta dall’allora ministro il socialista Lelio Dagorio (la stessa legge che ha istituito il famigerato “Fus”, ovvero il Fondo Unico dello Spettacolo), non ha mai prodotto le cosiddette “leggi figlie”, che avrebbero dovuto riformare i settori del teatro, della musica, del cinema, della danza, dei circhi e dello spettacolo viaggiante.

Nell’estate del 2015 sono stati resi noti i risultati concreti della prima applicazione del decreto ministeriale di “riforma”, e sono emerse decisioni discretamente sconcertanti: realtà unanimemente riconosciute come eccellenti sono state escluse, o è stato ridotto il contributo; realtà emergenti, ma talvolta sconosciute ai più, sono state ammesse alla sovvenzione…

Il tutto avvalendosi di un meccanismo pseudo-tecnico ormai ironicamente chiamato – nell’ambiente dello spettacolo italiano – “l’algoritmo”.

Non appena resi noti i risultati delle selezioni ministeriali, si è scatenata una protesta crescente, che ha prodotto appelli pubblici (primo firmatario: Salvatore Accardo) ed interrogazioni parlamentari (quella con maggiori firme è stata promossa da Laura Puppato e Elena Ferrara del Pd).

Il Ministro Dario Franceschini ha sostenuto che avrebbe preso in seria considerazione una correzione del regolamento, ma per il futuro, dichiarando di non aver nessuna intenzione di smentire il lavoro delle (libere ed indipendenti?!) commissioni ministeriali. Ha sostenuto che per la prima volta in Italia la politica è “uscita” dal processo selettivo, e che esperti indipendenti hanno deciso per il meglio, nell’interesse della collettività (viva viva la meritocrazia, no?! ma non dimentichiamo che le commissioni, pur frutto di una inedita selezione per avviso pubblico, son state nominate dal Ministro stesso).

A niente sembra siano serviti gli appelli e le interrogazioni, se è vero che a fine ottobre la situazione permane congelata, nelle more dell’esito di ricorsi al Tar che sono stati presentati da molti degli esclusi…

La riunione odierna al Teatro Quirino ha consentito di riverificare come il mondo dello spettacolo italiano non sia sufficientemente unito nella lotta per difendere i propri diritti (d’altronde questo fenomeno può essere in parte compreso, dato che questo forte individualismo è connaturale alla soggettività estrema del mondo artistico e culturale).

La riunione è stata introdotta e conclusa da un operatore teatrale non esattamente marginale nell’economia del sistema italiano, qual è Geppy Gleijeses (attore, drammaturgo, regista e produttore, nonché direttore del Quirino), che si è posto essenzialmente come rappresentante di un dissenso ampio della comunità teatrale italiana tutta, lamentando la grande debolezza di rappresentatività dell’Agis.

Si sono ascoltate molte voci ed il dibattito si è rivelato vivace e plurale (apprezzabile che potesse iscriversi a parlare chiunque). Dopo Gleijeses, sono intervenuti Giovanna Manci e Valerio Vicari, in rappresentanza della sezione Musica del Comitato di Difesa, poi Angelo Longoni in rappresentanza degli autori, lo storico del teatro Gianfranco Bartalotta, l’avvocato Marco Orlando (che sta curando alcuni dei ricorsi al Tar “versus” il Mibact), ed il sindacalista Fabio Benigni (in rappresentanza della triade Cgil SlcFistel CislUil). Il dibattito ha visto interventi di Aurelio Gatti, Patricia Adkins Chiti, Tato Russo, Gianni Pinto, Mariano Anagni, Edoardo Siravo, Dora Liguori, Pietro Longhi, Elena Cotta, Marco Cavalcoli, Gianluca Ramazzotti, Luca De Fusco

Quel che sinteticamente è emerso dalla kermesse è la necessità di superare la logica pseudo-tecnica dell’… algoritmo, chiedendo alla “politica” di riacquisire il ruolo che storicamente ha svolto di mediazione (si spera verso l’alto) dei contrapposti interessi delle infinite soggettività della società civile.

Il “regolamento Nastasi” sembra una sorta di foglia di fico che consente al Principe di non assumersi piena e diretta responsabilità di decisioni che ancora una volta son state – ed inevitabilmente debbono essere – politiche. La tecnocrazia all’amatriciana produce effetti perversi: insieme all’acqua sporca, s’è buttato anche il bambino…

La gran parte dei partecipanti alla kermesse ha invocato un ritorno ad una “politica” (in questo caso, politica culturale) ovvero ad una “Politica” che sappia assumersi le propria responsabilità, e risponda pienamente di fronte alla collettività, senza la schermatura di tecnicismi improvvisati…

Una politica che s’assuma piena responsabilità di un disastrato e miserabile “bilancio cultura” dello Stato italiano, che ci pone nelle ultime posizioni della classifica europea. Una politica che risponda dell’incredibile continua riduzione della dotazione del Fondo Unico per lo Spettacolo. E l’inversione di tendenza annunciata da Franceschini rispetto al budget Fus è poca cosa, rispetto ai danni messi in atto negli ultimi decenni.

L’assemblea del Quirino ha invocato un “paracadute”, per evitare il crollo a terra dello spettacolo italiano: la metafora è in verità riferita ad un articolo del decreto ministeriale, che prevede che coloro che son stati sovvenzionati nel 2014 ricevano comunque nel 2015 almeno il 70% della sovvenzione dell’anno precedente, ma questo meccanismo si attiva soltanto se si raggiunge un qual certo “punteggio”, frutto dei tortuosi processi di mix tra “quantità” e “qualità”… Sarà interessante osservare la reazione del Ministro…

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