Giovedì mattina 31 gennaio, affollatissima conferenza stampa, nel Salone degli Arazzi di Viale Mazzini, per la presentazione in anteprima per i giornalisti, di due nuove “puntate” della saga de “Il Commissario Montalbano”, sempre da Andrea Camilleri, sempre per la regia di Alberto Sironi, che andranno in onda lunedì 11 febbraio e lunedì 18 febbraio 2019 su Rai1. Si giunge così a “quota” 34 (la “stagione” – per così dire – sarebbe la 13ª), con 2 nuovi episodi, che si vanno ad aggiungere agli altri 2 presentati esattamente un anno fa.
L’iniziativa è stata un’occasione interessante anche per comprendere se v’è o meno un reale… “nuovo corso” in Rai: nonostante si trattasse di una sorta di “compleanno” per i 20 anni della fiction più famosa d’Italia (la concorrenza di “Gomorra” – prodotta da Cattleya e Sky Italia – è ben più recente), non può non essere notata l’assenza del Presidente e dell’Amministratore Delegato. Un’assenza “ingiustificata”, a parer nostro, ovvero un verosimile segnale politico.
Intorno al tavolo di presidenza, oltre una decina di persone, ma hanno preso la parola soltanto la Direttrice di Rai1 Teresa De Santis (prima direttore donna della “rete ammiraglia”), la Direttrice di Rai Fiction Eleonora (detta Tinny) Andreatta, il produttore Carlo Degli Esposti, il regista Alberto Sironi, e certamente la “star” Luca Zingaretti (con un saluto da parte del coproduttore Max Gusberti – già dirigente apicale Rai Fiction – e della giovane bionda attrice Elena Radoninich ed infine dello “sceneggiatore capo” Francesco Bruni).
Prima della conferenza stampa, iniziata poco dopo mezzogiorno, è stato proiettato uno dei due episodi, “L’altro capo del filo”. L’altro è intitolato “Un diario del ‘43”. Entrambi sono legati dal “fil rouge” del tema della migrazione: “da un lato, quella attuale; dall’altro, quella degli anni ‘40, come sempre passato e presente si parlano”, ha sostenuto Andreatta. Una fiction in verità abbastanza strana, che dedica la parte iniziale della narrazione ad un caso di immigrati che arrivano a Vigata… Si legge, nel comunicato stampa: “gli sbarchi di migranti si susseguono quasi ogni notte, e Montalbano deve affrontare questa emergenza con i suoi pochi uomini, che lavorano senza sosta. E lo fa senza perdere mai la sua umanità e il suo senso di giustizia”. La storia passa poi, con un taglio d’accetta, dal piano sociale (sociologico) a quello intimo (psicologico), ma nella dimensione del thriller, con uno sviluppo un po’ contorto ed una trama piuttosto inverosimile, che ci hanno ricordato in verità una telenovela… Il “format” è stato certamente rispettato: tempi dilatati, montaggio lento, inquadrature solari, le solite macchiette, e soprattutto il protagonista sempre pacato, dall’andamento morbido e buono, “saggio” nella sua mediterraneità e morigerato nel suo ruolo passivamente seduttivo… Il lettore anzi lo spettatore saprà valutare se il nostro parere è condivisibile o meno.
Quel che qui ci interessa è altro, ed apparentemente “marginale”, nell’economia iconica della presentazione: i toni autoreferenziali a dir poco entusiastici della conferenza stampa, soprattutto da parte di Andreatta e di Degli Esposti, ed una antipatica sortita di Luca Zingaretti. Evitiamo commenti sulla torta che è stata portata in scena, con tanto di candeline a luci spente per i 20 anni della serie. Candeline ludiche e dinamiche pirotecniche…
I “numeri”: sono stati dati dei numeri da… fuochi d’artificio. Ovvero del “dominio del quantitativo” o degli “effetti speciali”?!
La fiction è esportata in oltre 60 Paesi in tutto il mondo, ma nessuno ha precisato con quali risultati di messa in onda o con quale fatturato di vendite all’estero… e peraltro, a beneficio Rai o Palomar?! La serie ha coperto 190 serate di Rai, ma il dato include ovviamente le tante (troppe) repliche, ovviamente. Alla fin fine, qualcuno ha veramente… “dato i numeri”, allorquando si è detto – con orgoglio – “se si sommano tutti gli spettatori Rai, si toccano 1 miliardo 179 milioni 869 mila spettatori” (?!). Oh, perbacco! Ma che senso ha questa quantificazione?!
La conferenza stampa ha registrato anche una piccola polemica: un collega del quotidiano “il Giornale” ha domandato se questa scelta tematica non avesse preoccupato la Rai e finanche la Palomar, dato il nuovo clima che si respira nel Paese sull’argomento “migrazioni” (la polemica era stata evidenziata a tutta pagina anche da “la Repubblica”). Dura la reazione dei co-produttori. Andreatta ha sostenuto: “la letteratura, il cinema, la tv tengono insieme la contemporaneità. Questi due episodi sono legati dalla pietas e dalla giustizia, con Montalbano che raccoglie un corpo in mare e si raccoglie quasi in una sorta di preghiera laica che ricorda anche la morte di François (il figlio perduto, nota del redattore), momento che affonda le radici nella tragedia greca, una sorta di Antigone maschile”. Zingaretti ha detto, assai infastidito dalla legittima domanda del giornalista: “noi siamo teatranti… in tutta la mia carriera io ho sempre combattuto chi fa più mestieri. Noi trasponiamo alcuni dei grandi romanzi di uno dei più grandi scrittori europei viventi, poi ciascuno nelle proprie case pensa ed ha delle opinioni. Il libro ‘L’altro capo del filo’ è stato scritto tre anni fa, e va separato dall’attualità politica: adesso parla il prodotto…”. E la frase iniziale sull’Isis, pronunciata da Montalbano, che esclude l’ipotesi che i terroristi possano arrivare sui barconi? “Io sono un attore, ho recitato una battuta. Cosa penso dei migranti? Io, quattro anni fa, ho fatto un monologo sui migranti e quella è la posizione mia in merito”, ha sostenuto Zingaretti, criticando in modo sgradevole ed autoreferenziale il sacrosanto diritto di un giornalista di domandare, approfondire, provocare… Il regista Sironi ha cercato di spostare (alzare) il tiro: “la cultura araba ha dato apporti importanti in Sicilia, Montalbano fa guardare la cultura araba in altro modo”. Teresa De Santis (di cui molti ricordano un passato di militanza giornalistica e politica a “il Manifesto”), neo Direttrice di Rai1 “in quota” Lega, ha dichiarato: “se ci fosse dell’imbarazzo da parte di Rai, non ci sarebbe nessuna messa in onda. Montalbano offre molti spunti di riflessione, la realtà è complessa. Non ci nascondiamo dietro il dito, perché il tema dei migranti è importante. Altra cosa, però, sono le polemiche politiche. La Rai dà rappresentazione di tutti i punti di vista”. Per quanto riguarda lo speciale di “Porta a Porta” sulle elezioni regionali in Abruzzo subito dopo Montalbano lunedì 11 febbraio? “Perché, da tradizione e fino a prova contraria, Bruno Vespa commenta le elezioni, ed è un test interessante per guardare gli sviluppi futuri, la Rai è servizio pubblico, e così abbiamo invertito la programmazione tra lunedì e martedì”. Al di là delle simpatiche dichiarazioni e dei toni plural-pluralisti, non potrà passare inosservata una fiction di questo tipo, in una Rai che – nelle parole del suo Presidente (Marcello Foa) e di almeno un Consigliere di Amministrazione (Giampaolo Rossi) – rivendica l’esigenza di una “correzione di rotta” (informativa ed editoriale) che faccia sì che la tv pubblica divenga “lo specchio” del Paese attuale (ovvero della maggioranza dell’elettorato), sovranista assai e poco tollerante rispetto ai fenomeni migratori…
Carlo Degli Esposti, noto per il carattere fumantino, è da sempre schierato a sinistra: si ricorda il suo passato giovanile a Lotta Continua (soprannome “Papalla”; nel 1977 fu anche arrestato per la sua effervescenza, un’aggressione durante un’assemblea di Comunione e Liberazione), il ruolo come consigliere di amministrazione de “il Fatto Quotidiano”, ma è stata la scommessa sui romanzi di Camilleri ad avergli fatto fare il salto di qualità, divenendo senza dubbio un produttore di “serie A”, grazie al sostegno che nel 1998 gli assicurò l’allora “dominus” della fiction Rai, Sergio Silva (l’inventore della mitica “La Piovra”).
La storia della Palomar è complicata e meriterebbe un saggio (tra l’economico ed il politico), perché evidenzia potenzialità e limiti dell’industria audiovisiva italiana, che continua ad essere sostanzialmente “assistita” da Rai (ed ormai anche dal Ministero dei Beni e Attività Culturali, dato che la legge di riforma voluta da Dario Franceschini ha allargato anche alla “fiction” i cordoni della borsa), con una modesta propensione all’investimento di capitali propri. È un meccanismo patologico che si rinnova da decenni: di fatto, il “public service media” italiano tende a pretendere la cessione di quasi tutti i diritti, e, a fronte di budget significativi, riduce la vocazione al rischio del produttore, che finisce per essere, spesso, un mero appaltatore.
Si ricordi che nel dicembre di due anni fa, lo Stato è entrato nel capitale della Palomar: Simest, società per l’internazionalizzazione delle imprese italiane del Gruppo Cassa Depositi e Prestiti (Cdp) ha acquisito il 13 % della Palomar spa a fronte di un investimento di 4 milioni di euro. Il fatturato 2016 della Palomar è stato di 24,6 milioni di euro, sceso a 20,5 milioni nel 2017, con utile rispettivamente di 1,3 e 1,7 milioni. Insomma, la società non naviga esattamente a gonfie vele se il fatturato scende del 17 % in un anno (e si ricordi che nel 2015 il fatturato era stato di 36 milioni di euro), e peraltro il nuovo “quadro politico” non la vede propriamente… sintonica.
Più volte Carlo Degli Esposti ha venduto la sua Palomar (fondata nel 1986), e più volte se l’è ricomprata. Si ricordi che molti anni fa la quota di maggioranza di Palomar era stata ceduta da Degli Esposti alla Endemol, per poi essere riacquistata dal produttore nel 2009 (con una quota del 33 % al fondo di “private equity” Cambria di Mauro Mauri ovvero PayperMoon Italia, che ne uscì nel 2013).
Qualche giorno fa, il controllo della società è passato alla francese Mediawan, piattaforma di contenuti indipendenti (anzitutto produzione di fiction, animazione, documentari, ma spaziando fino alla distribuzione ed ai canali tv; pre-consuntivo 2018 di 270 milioni di euro), che ha acquistato il 72 % delle quote, restando in mano al fondatore Carlo Degli Esposti il restante 28 %. La società sarebbe stata valutata nell’ordine di 50 milioni di euro. Come dimensioni, Palomar è senza dubbio la prima tra le società indipendenti, al di fuori dei grandi gruppi continentali come Endemol o Banijay (altra grande società francese, cui fa capo in Italia anzitutto Magnolia).
Il gruppo transalpino Mediawan, fondato nel 2016, fa capo a Xavier Niel (Iliad e Free Mobile), Pierre-Antoine Capton e Matthieu Pigasse. L’operazione è senza dubbio interessante, sia perché è la prima acquisizione del gruppo francese fuori dai confini nazionali (nel corso del 2017 tentò l’acquisizione della Cattleya di Riccardo Tozzi, che è stata poi comprata per il 51 % da Itv Studios), sia perché è una ennesima riprova degli erratici tentativi delle telecom di convergenza nell’arena dei contenuti: l’acquisizione di Palomar prevede un coinvolgimento – anche se non nel brevissimo periodo (si ha ragione di ritenere) – di Iliad. La veicolazione di contenuti via cavo è stato peraltro uno dei primi business di successo del fondatore di Iliad…
Carlo Degli Esposti ha dichiarato al quotidiano “Il Sole 24 Ore”: “con questa operazione, raggiungo l’obiettivo della mia vita, che è quello di guidare una società italiana che ho fondato nel 1986 verso un futuro infinito, mantenendo intatto il management interno, proseguendo nello sviluppo di produzioni nazionali, portando il Made in Italy in tutto il mondo, rafforzando la nostra ricerca di contenuti d’autore e di qualità, intercettando le nuove domande del pubblico”. Versione da bicchiere mezzo pieno, perché la vendita delle quote di maggioranza della sua società non può non essere considerata – almeno in parte – un fallimento delle iniziative di Degli Esposti, se è vero che soltanto nel marzo di tre anni fa dichiarava con orgoglio al settimanale “Panorama”: “Palomar è una delle pochissime case di produzione dove non è presente capitale straniero. Mi piacerebbe creare un gruppo tutto italiano, che si faccia onore anche all’estero”. Percorsi ondivaghi ed erratici, quelli di Degli Esposti.
E che società come Palomar e Cattleya finiscano per essere controllate da gruppi stranieri non è granché onorevole, se si credesse realmente (se i governi che si sono avvicendati alla guida del Paese avessero creduto) nello sviluppo di una industria audiovisiva nazionale solida, robusta, plurale, con capacità di proiezione internazionale.
Quanto costa “Montalbano” alla Rai, e quanto rende (soprattutto come raccolta pubblicitaria, considerando che uno spot da 15 secondi durante questa fiction viene venduto da Rai Pubblicità a circa 200mila euro)?! Non è dato sapere.
Si tratta di informazioni che rientrano nella cosiddetta “segretezza” aziendale, anche se siamo dell’idea che, trattandosi di “servizio pubblico”, dovrebbero essere di pubblico dominio, dato che Rai è finanziata prevalentemente dal canone, e quindi dal cittadino…
E francamente suscita qualche dubbio l’entusiasmo con il quale la Direttrice di Rai Fiction parla di “export” dell’audiovisivo italiano: i dati (oggettivi) sulle vendite all’estero del cinema e della fiction “made in Italy” sono semplicemente ridicoli, e non si comprende perché si debba nascondere la nuda verità dietro coreografie entusiaste. Attendiamo i risultati a consuntivo delle nuove fiction “global”, sulle quali Andreatta punta molto: dalla seconda serie de “I Medici” a “Il Nome della Rosa”, ed i recentemente annunciati “Leonardo” e “La città eterna”… augurandoci che vengano resi pubblici dati di andamento economico, così come di audience a livello internazionale. Riteniamo che l’economia della fiction debba caratterizzarsi per una maggiore trasparenza, ma ci sembra di osservare che l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (Agcom) non ne sia granché convinta (chissà perché).
Secondo voci di ballatoio, il percorso di Tinny Andreatta (figlia di Beniamino, il compianto senatore, ministro del Tesoro, degli Esteri, della Difesa, etc., già gran sodale di Romano Prodi nella costruzione dell’Ulivo vittorioso alle elezioni nel 1996) sarebbe destinato ad una… “correzione di rotta”, dato che è la grande “domina” della fiction italiana (non a caso soprannominata “Lady Fiction”) ormai da molti – forse troppi – anni (è stata nominata nel settembre 2012), e molti le attribuiscono un potere quasi assoluto di vita e di morte, rispetto a qualsivoglia idea produttiva verso Rai. Dipende da lei un budget di oltre 200 milioni di euro l’anno. Molti ritengono improprio che sia 1 persona una soltanto a decidere come “orientare” – nel bene e nel male – una parte significativa dell’immaginario degli italiani. Si ricorda che Andreatta è stata anche tra coloro in predicato per la direzione generale di Viale Mazzini, durante il governo guidato da Matteo Renzi, prima che la scelta cadesse su Antonio Campo Dall’Orto. Si ricorda anche una audizione del settembre 2013 durante la quale Andreatta fu messa sotto torchio dall’allora Presidente della Commissione di Vigilanza Rai, il grillino Roberto Fico, che denunciava un suo eccesso di potere e di discrezionalità, e soprattutto un’anomala concentrazione nell’assegnazione del budget (a favore delle cosiddette “cinque sorelle”: allora erano la Lux Vide di Ettore Bernabei, la Casanova di Luca Barbareschi, la Publispei del compianto Carlo Bixio e poi della figlia Verdiana, le multinazionali FremantleMedia ed Endemol). Nel luglio del 2014, Andreatta annunciò quello che riteneva essere “un cambiamento epocale”, ovvero la pubblicità della “linea editoriale” della sua Direzione, e la chance di presentare progetti “online”, sul sito di Rai Fiction. In verità, un’analisi comparativa internazionale consente di evidenziare come la Rai – ancora oggi – sia ben lontana dalle procedure trasparenti dei processi selettivi di “psb” come la Bbc e France Télévisions… L’ultimo “piano editoriale” elaborato da Andreatta è quello relativo al triennio 2016-2018, denominato “Nessuno escluso”.
Si ricorda che Rai investirà nel 2019 circa 200 milioni di euro in fiction e cartoni, circa 250 milioni di euro in cinema d’acquisto e produzione, circa 180 milioni di euro per lo sport.
A metà dicembre 2018, il Cda Rai ha comunque esaminato le linee per il budget 2019 ed il “piano di trasmissione fiction” per il 2019.
Molti si domandano se nell’economia del “piano industriale” e del “piano editoriale” (entrambi in gestazione) del “new deal” Rai sia prevista una sorta di evoluzione ideologica dell’orientamento della fiction Rai, sulla falsariga di quel che sta avvenendo nell’area “informazione”. Basti pensare a programmi come per “Povera Patria” sulla Rai2 di Carlo Freccero, condotto da Annalisa Bruchi, affiancata da Aldo Cazzullo per le interviste e da Alessandro Giuli per gli editoriali, la cui prima controversa puntata – andata in onda venerdì scorso (25 gennaio) – è stata dedicata al “signoraggio bancario”.
E, come è noto (vedi “Key4biz” del 25 gennaio 2019, “Rai, al via il nuovo ‘piano industriale’ ma resta una discreta confusione”), giovedì della scorsa settimana, l’Amministratore Delegato Fabrizio Salini ha presentato al Consiglio le “linee-guida” del piano industriale (che dovrebbe essere approvato dal Cda entro il 7 marzo 2019, pena l’inadempienza rispetto al “contratto di servizio” Mise-Rai già prorogato di un semestre), e molti ritengono che ci sarà maggiore concentrazione sul prodotto – e quindi naturalmente anche sulla fiction – ma con una qualche… “correzione di rotta”, appunto, anche nell’assetto manageriale e nelle metodiche selettive.
In occasione dell’audizione in Vigilanza di metà dicembre, Salini ha dichiarato: “inizieremo a pensare a modelli produttivi diversi, contenuti diversi e formati alternativi che servono per alimentare tutti i nostri canali distributivi. E l’individuazione di nuovi generi comporterà naturalmente anche l’ampliamento delle società di produzione coinvolte. La Rai farà molto per la produzione indipendente italiana”.
Attendiamo fiduciosi.
Clicca qui, per il “press book” dei due nuovi episodi della fiction Rai-Palomar “Il Commissario Montalbano”, presentati in anteprima il 31 gennaio 2019.