L’Italia è veramente uno strano Paese: due delle principali “macchine culturali” del Paese sono sostanzialmente congelate, da settimane e mesi.
A distanza di un mese dalla cessazione formale dell’incarico del Direttore Generale del Cinema del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali (Mibac), non si ha ancora notizia della firma del Ministro grillino Alberto Bonisoli sul decreto con cui si designa la nuova guida dell’intervento pubblico nel settore cinema ed audiovisivo (in argomento, si veda da ultimo l’articolo pubblicato su “Key4biz” dell’11 gennaio 2019, “Il cinema in Italia sotto la deprimente soglia dei 90 milioni di spettatori nel 2018 (-7%)”).
Nel mentre, è di l’altro ieri, mercoledì 16, la notizia che Nicola Borrelli, Direttore Generale Cinema del Mibac da un decennio, ha assunto la presidenza dell’Osservatorio Europeo dell’Audiovisivo per l’anno 2019. Alcuni hanno interpretato la notizia come una conferma che il Ministro avrebbe alla fin fine deciso di rinnovare Borrelli nel suo incarico alla guida della Direzione Cinema, ma questa decisione non è stata ancora ad oggi formalizzata.
Come consuetudine, ogni anno nel mese di gennaio un diverso Paese dell’Unione Europea ottiene la presidenza dell’Osservatorio Audiovisivo Europeo. Lo scorso anno è toccata alla Francia. L’Italia non assumeva questa carica dal 2014. L’Osservatorio Europeo dell’Audiovisivo ha sede a Strasburgo ed è un’emanazione del Consiglio d’Europa, ovvero dei suoi 41 Stati membri. Dal 1992, fornisce informazioni soprattutto statistiche sull’industria cinematografica, televisiva e video in tutta Europa, ma anche notizie di politica pubblica in materia di cinema e televisione. Il Direttore Esecutivo dell’Osservatorio è attualmente Susanne Nikoltchev, e l’italiana Maja Cappello (già dirigente Agcom) è Direttrice del Dipartimento Informazioni Giuridiche. È stato annunciato che una grande conferenza internazionale sull’audiovisivo sarà organizzata a Roma lunedì 17 giugno. L’Osservatorio svolge senza dubbio una attività encomiabile, anche se alcuni ricercatori lamentano che abbia smesso di produrre su supporto cartaceo quello che per decenni è stato un testo di riferimento del settore (il prezioso “Yearbook”), e notano che i rapporti di ricerca sono spesso “asettici” – ovvero non si caratterizzano per un approccio critico – anche a causa delle inevitabili mediazioni “politiche” che deve affrontare un simile organismo a matrice plurinazionale. Va peraltro anche segnalato che l’Oea non brilla per trasparenza in relazione al proprio operato, considerando che non pubblica né un bilancio economico né un bilancio sociale, sebbene viva di generosi fondi pubblici europei e nazionali (peraltro con un contributo significativo da parte dell’Italia).
Se sul fronte “cinema” permane grande incertezza, sul fronte “televisione” – ovvero “public service media” – la situazione è ancora più nebbiosa: non si ha alcuna notizia pubblica (ma anche dall’interno, al settimo piano, si ha conferma della stasi) di cosa stia realmente “elaborando” il duo Fabrizio Salini (Presidente) e Marcello Foa (Ad) in relazione a questioni strategiche come il “piano industriale” (la cui “bozza” Rai ha affidato a Boston Consulting Group) ed il “piano editoriale”, così come in relazione a questioni delicate ed importanti quali il riassetto delle “news”, il canale internazionale in lingua inglese, l’avvio di un indicatore che misuri la tanto auspicata “coesione sociale”, e – ancora – in relazione all’organizzazione ed al funzionigramma della “corporate” (basti pensare che da ottobre è vacante la Direzione Marketing Rai, dopo che Cinzia Squadrone – a suo tempo cooptata dall’ex Dg Antonio Campo Dall’Orto – ha lasciato l’azienda)…
Ci piace qui segnalare che l’Ad Fabrizio Salini ha dichiarato, in relazione al “contratto di servizio”, in occasione del brindisi di Natale: “spesso ci rifacciamo giustamente al contratto di servizio, ma per noi il contratto è nella nostra quotidianità, perché siamo un’azienda plurale, imparziale e i nostri doveri sono la coesione sociale, l’inclusività, la solidarietà”. Ci auguriamo che questa bella dichiarazione di intenti si traduca presto in fatti, ovvero in programmi televisivi, e, più in generale, in un rinnovato spirito di servizio (pubblico) che informi la Rai tutta.
Secondo alcuni, peraltro, il mancato adempimento di questi obblighi del “contratto di servizio” 2018-2022 tra Stato e Rai potrebbe addirittura provocare una messa in mora rispetto alla stessa Concessione decennale, ma abbiamo certezza che il “nodo” verrà sciolto… “all’italiana”, con la concessione di una novella proroga semestrale.
Il Ministero dello Sviluppo Economico (Mise) concederà una simpatica seconda proroga del “contratto di servizio” (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 9 marzo 2018), dopo la prima – definita dalla “Commissione paritetica” Mise-Rai – dell’ottobre 2018, da… marzo 2019 a… settembre 2019?!? Tanto – come dire?! – mese o semestre più, o mese o semestre meno, cosa cambia, nevvero?! La Rai va comunque per la sua via: una deriva, appunto. Ovviamente con la benedizione dell’Autorità per le Garanzie delle Comunicazioni, dato che non ci sembra che Agcom negli ultimi mesi abbia granché pungolato Rai.
Quel che impressiona e deprime è peraltro l’assoluto deserto di analisi, dibattito, discussione intorno alla Rai ed al suo futuro possibile.
I quotidiani si appassionano su polemiche come le dichiarazioni “filo-immigrati” di Claudio Baglioni in occasione della presentazione della prossima edizione del Festival di Sanremo, o in relazione all’effervescenza creativa del neo Direttore di Rai2 Carlo Freccero (che vuole avere carta bianca nella rigenerazione del canale, e pare si scontri con il duo Salini-Foa), ma queste sono veramente questioni proprio marginali, nella complessiva “economia politica” delle industrie culturali italiane.
Nessun partito sembra interessarsi di Viale Mazzini, almeno pubblicamente: già questo fatto provoca quesiti profondi sul livello qualitativo del sistema politico attuale (che si tratti di maggioranza di governo o di opposizione parlamentare).
Senza dubbio, “qualcosina” bolle in pentola al settimo piano (almeno come strategia di indirizzo politico), e merita essere segnalata la dichiarazione del Consigliere di Amministrazione Giampaolo Rossi (“in quota” Fratelli d’Italia), che una settimana fa, alla domanda “Con Carlo Freccero, sarà una Rai2 sovranista?”, ha risposto (in un’intervista a Radio Cusano Campus): “Magari fosse una Rai 2 di stampo sovranista. Sarebbe una rete in linea con una sensibilità sempre più diffusa nel Paese e sicuramente maggioritaria”. La dichiarazione partigiana di Rossi ha provocato lo stupore e la protesta del sindacato dei giornalisti Rai: l’Usigrai ha sostenuto, il 10 gennaio scorso, che “un Consigliere di Amministrazione ha il dovere di attenersi ai valori del Contratto di Servizio. Non può e non deve parlare da uomo di parte. In ben 2 interviste oggi, Giampaolo Rossi ha tenuto a illustrare la sua visione “sovranista” della Rai, arrivando addirittura a dire che sarebbe in linea con il Paese. Ricordiamo che il Contratto di Servizio – che Rossi è tenuto a rispettare e a far rispettare nelle scelte che fa in qualità di Consigliere – è fondato sulla valorizzazione della coesione sociale. Perché il Contratto è ancorato alla nostra Costituzione. Chiediamo ufficialmente alla Rai se Rossi ha chiesto e ottenuto la necessaria autorizzazione per rilasciare queste interviste”.
Polemiche a parte – “macro” o “micro” che siano – ci sembra che una surreale cappa di nebbia avvolga Viale Mazzini.
Tempo fa, sulle colonne della compianta (1974-2017) storica testata specializzata sulla televisione ed i media italiani, il mensile “Millecanali” (edito negli ultimi anni da Il Sole 24 Ore e poi Tecniche Nuove), nella rubrica “Osservatorio IsICult”, utilizzavamo spesso (a mo’ di “leitmotiv”) l’espressione… “statico stagnante”, per definire il panorama della politica mediale italiana: nonostante il “Governo del Cambiamento” avesse annunciato modificazioni significative, ci sembra che – su queste materie – lo scenario resti sostanzialmente immutato, nella sua infinita vischiosità conservativa.
Statico stagnante, appunto.