Il “nuovo corso” Rai – o comunque quello che Movimento 5 Stelle e Lega per Salvini annunciano essere tale – appare imminente, se è vero che “la partita” delle nomine di Viale Mazzini sembra essere quasi conclusa, e domani il Consiglio dei Ministri dovrebbe benedire la selezione finale.
Abbiamo già espresso su queste colonne non poche perplessità su quel che è avvenuto in occasione della “elezione” messa in atto il 18 luglio da Camera e Senato, rispetto ai 4 membri del Consiglio di Amministrazione che la legge Renzi di riforma della “governance” ha assegnato al Parlamento (vedi “Cda Rai, si riproduce la partitocrazia con le nomine del Parlamento”, su “Key4biz” del 18 luglio 2018).
La trasparenza è stata più teorica che pratica.
Ancora una volta, si è predicato bene e razzolato male.
Con quale criterio i nostri parlamentari hanno eletto i 4 consiglieri, dato che, per ognuno di loro, si disponeva soltanto di un curriculum (peraltro nemmeno standardizzato, come pure sarebbe stato possibile fare)?
Perché non è stata avviata una minima procedura comparativa?
Perché non è stato promosso un qualche pubblico confronto?!
Perché – come suggerito su Key4biz – non è stato almeno somministrato un questionario strutturato che potesse consentire ai parlamentari (ma anche alla comunità tutta) di capire che “idea di Rai” aveva ognuno dei 236 cittadini che si sono simpaticamente candidati al Cda?
Domande alle quali non ci risulta sia arrivata risposta da alcun Parlamentare della Repubblica. Incredibile, ma vero.
Qualche candidato ha cercato di esprimersi, su testate giornalistiche più o meno amiche (da Carlo Troilo su “l’Espresso” a Renato Parascandolo su “Articolo21”), altri hanno beneficiato comunque di una notorietà mediatica notevole (da Michele Santoro a Giovanni Minoli), altri hanno messo online dei siti web più o meno improvvisati (è il caso di Emmanuel Goût, già Presidente di Tele+), ma tutto è stato gestito senza particolare sensibilità da parte degli elettori parlamentari.
Perché questa disattenzione? Perché questo disinteresse?!
Abbiamo già commentato come la “concentrazione” dei voti, rispetto all’elezione del Cda Rai, abbia peraltro evidenziato un modesto esercizio di pluralismo parlamentare, e questo fenomeno provoca dubbi inquietanti sulla capacità di chi ci rappresenta attualmente di interpretare al meglio le esigenze della società civile. Come è possibile, per esempio, che su oltre 900 “parlamentari elettori” un candidato appassionato come Luca Mattiucci (giovane giornalista del “Corriere della Sera”, particolarmente sensibile alle tematiche sociali), che pure si vanta di aver registrato “oltre 30mila adesioni” alla propria candidatura – attraverso “flash mob”, video, foto, “mailbombing” e post di adesione sui “social” – non abbia avuto nemmeno 1 voto uno dei nostri parlamentari?!
Quel che è avvenuto nei giorni successivi, e sta avvenendo in queste ore, è ancora più curioso, fatta salva – forse – l’elezione del giovane e combattivo Riccardo Laganà, tecnico Rai scelto come rappresentante dei dipendenti nel Consiglio di Amministrazione, attivista del movimento “IndigneRai”: in questo caso, ci sembra che un qual certo dibattito pubblico ci sia stato, almeno all’interno dell’azienda. Laganà ha avuto 1.916 voti, superando Roberto Natale (espresso dall’Usigrai) e Gianluca De Matteis Tortora (esponente dei sindacati del personale non giornalistico), che hanno raggiunto rispettivamente quota 1.356 e 1.201 voti (alcuni hanno notato che, se Usigrai e sindacati avessero espresso un candidato soltanto, questi sarebbe stato eletto sicuramente). Hanno votato 6.676 aventi diritto su un totale di 11.719 dipendenti Rai, con un’affluenza del 57%: alla fin fine, polemiche a parte, ci sembra un buon esercizio di democrazia. Si ricorda che Laganà, di evidenti simpatie grilline, ha denunciato la Presidente della sua stessa azienda, Monica Maggioni, per la vicenda dei viaggi fatti dalla giornalista per presentare il suo ultimo libro, ed anche per presunti illeciti che sarebbero stati compiuti da Maggioni dal 2013 al 2015 quando dirigeva RaiNews (la Presidente uscente della Rai è stata indagata per abuso d’ufficio dalla Procura di Roma).
Si teorizza trasparenza e meritocrazia, ma in verità il Governo sta procedendo in modo poco chiaro, nelle ovattate stanze del Palazzo.
Anzitutto, è anomalo (anzi patologico) che alle nomine del Direttore Generale alias Amministratore Delegato ed alla nomina del Presidente della Rai si associno improprie “trattative” sui livelli apicali del management dell’azienda pubblica di radiotelevisione, con particolare attenzione ai direttori delle testate giornalistiche. Scelte che – se si volesse una tv pubblica realmente indipendente – dovrebbero essere di competenza esclusiva del Dg/Ad e del Cda Rai…
Il Vice Premier Matteo Salvini ha dichiarato senza remore che era intenzionato ad incontrare alcuni “candidati”.
Questa mattina, per esempio, le agenzie stampa battono dichiarazioni di fuoco tra il deputato del Partito Democratico nonché Segretario della Commissione Parlamentare di Vigilanza Michele Anzaldi, che, dando per buona una ricostruzione giornalistica del quotidiano “la Repubblica”, denuncia che il Vice Presidente del Consiglio Luigi Di Maio avrebbe incontrato i giornalisti del Tg1 Gennaro Sangiuliano e Alberto Matano “peraltro nella sua abitazione privata, in una sorta di consultazioni per la direzione dei telegiornali” (Di Maio, Sangiuliano e Matano hanno poi smentito quanto scritto dalla stampa). E Anzaldi continua, con la sua abituale ‘vis polemica’: “il presidente della Vigilanza Barachini chieda un intervento diretto a stretto giro dell’Ordine dei Giornalisti: se l’incontro fosse confermato, dipendenti del servizio pubblico che si recano nell’abitazione privata di un membro di governo per ricevere una nomina configurano la necessità dell’apertura di un procedimento disciplinare. Nelle stesse ore in cui la Vigilanza si riuniva per sollecitare il Governo al rispetto della legge, Di Maio la infrangeva in modo plateale, ricevendo i giornalisti a casa. Che altro deve succedere prima che le autorità di garanzia intervengano? Come fa il presidente Fico a non intervenire? Di Maio e Salvini vogliono sottomettere l’informazione pubblica, sono in ballo le garanzie costituzionali di autonomia dell’informazione e pluralismo”.
Il giornalista Gennaro Sangiuliano replica con durezza: “smentisco nella maniera più categorica di essere mai stato nella casa privata del Vicepresidente del Consiglio, Luigi Di Maio, e tantomeno nei suoi uffici ministeriali. E ancora, di aver mai parlato con lui, in alcuna sede, dell’azienda per cui lavoro e dei suoi assetti. Sfido chiunque a dimostrare il contrario. Lo conosco, ovviamente, come un gran numero di giornalisti italiani, ma nulla più. L’onorevole Anzaldi la smetta di diffondere notizie false e tendenziose, inventate e non verificate. Ho già trasmesso al mio legale le dichiarazioni dell’onorevole Anzaldi per le relative iniziative di legge a tutela della mia persona ma anche nell’interesse dell’informazione fondata sulla verità da sempre il mio faro professionale”.
Il Senatore Maurizio Gasparri, nella sua veste di membro della Vigilanza Rai, coglie al balzo il curioso episodio e tuona: “una serie di incontri impropri, di lottizzazioni politico-partitiche, di un finto governo del cambiamento che vuole procedere soltanto al cambiamento di poltrone. Continuiamo ad avvisare chi si sta comportando in modo anomalo, che il Presidente della Rai deve essere ratificato con una maggioranza qualificata dei 2/3 da parte della Commissione parlamentare di Vigilanza”. Si ricorda che questa quota ben alta fu varata proprio per garantire le opposizioni e le minoranze. Gasparri rimarca che “le nomine e le designazioni sono di competenza di chi sarà incaricato di procedere a queste scelte. Il Presidente del Consiglio non ha nessun ruolo in materia. Si ricordino, i neo-lottizzatori, che l’impiego di risorse esterne andrebbe in contrasto con il rispetto di quelle interne, di ogni orientamento e pensiero, che ci sono nella Rai. Quando Campo Dall’Orto abusò di risorse esterne lo attaccammo, la Corte di Conti gli diede torto, e lui dovette scappare dalla Rai…”. La ricostruzione da parte di Gasparri della fuoriuscita di Antonio Campo Dall’Orto dalla Rai ci appare in verità un po’ semplicistica, ma è un dato di fatto che a Viale Mazzini ci sono risorse professionali eccellenti, e qualcuna di loro potrebbe assumere senza dubbio il ruolo di Dg/Amministratore Delegato e finanche Presidente.
Intorno a mezzogiorno di oggi (giovedì 26), il Vice Presidente Luigi Di Maio, nonché Ministro dello Sviluppo Economico, sente l’esigenza di dichiarare a chiare lettere: “smentisco categoricamente la notizia riportata questa mattina da ‘la Repubblica’ relativa a un fantasioso incontro nella mia abitazione con i giornalisti Gennaro Sangiuliano e Alberto Matano. Si tratta dell’ennesimo caso di fake news che alimenta assurdi retroscena”. E successivamente precisa: “non è possibile che la mattina un parlamentare si svegli, legga il giornale e si faccia la sua opinione, e questo è legittimo, e poi il Parlamento determini l’ordine del giorno in base alla fake news che troviamo sui giornali…”.
Questo episodio è sintomatico di un clima arroventato (e certamente non soltanto per la torrida estate), ma soprattutto di un perdurante e grave deficit di trasparenza.
D’altronde, volendo circoscrivere l’analisi alle dinamiche “infra-partitiche”, non ci risulta che nessuno abbia mai spiegato – soprattutto ai militanti del M5S ed a coloro che sono iscritti alla piattaforma web Rousseau – come sono stati “pre-selezionati” i 5 candidati al Cda Rai che sono stati sottoposti a (tanto) democratica elezione digitale…
Rispetto alla querelle tra “esterni” ed “interni”, a quanto è dato sapere l’unico “interno” che resta nella “rosa” dei candidati alla guida della Rai è Marcello Ciannamea, giovane e brillante dirigente Rai, apprezzato in azienda, e da un anno Direttore dei Palinsesti: sarebbe questa una scelta coerente con la valorizzazione delle risorse interne, e crediamo che forse le scelte del “partito aziendalista” (che pure ormai ci sembra assai debole, rispetto al passato) potrebbero rivelarsi migliori delle scelte della “neo-lottizzazione partitocratica” cui stiamo assistendo.
C’è chi scommette invece sugli “esterni” Fabrizio Salini (ex Direttore de La7, da gennaio a capo della società di produzione di format Stand by Me), piuttosto che su Andrea Castellari (boss di Viacom per l’Italia).
È dato sapere che “idea di Rai” hanno questi qualificati professionisti? No. Forse l’hanno raccontata a Salvini e Di Maio, e finanche Conte, ma certo non ai noi miserabili cittadini.
Il tutto continua ad avvenire in segrete stanze. Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha rivendicato la correttezza e la bontà del “metodo”: c’è stato un “vertice” (tra Conte e Di Maio ed il Ministro dell’Economia Giovanni Tria), nel quale si è discusso di queste nomine: “fermo restando che c’è un ministro competente, fermo restando che c’è una deliberazione della Presidenza del Consiglio, c’è un metodo che finora sta dando frutti: è quello di confrontarsi per scegliere le persone migliori e di parlarsi francamente, tra presidente, ministri competenti e i rappresentanti delle forze politiche di maggioranza”. Sulla questione, anche il Ministro Tria ha puntualizzato di non sentirsi condizionato dal “casting” dei candidati svolto da Salvini: “si usa condividere le cose, e poi ognuno si prende le proprie responsabilità”.
Per la presidenza Rai, il nome più quotato continua ad essere quello di Giovanna Bianchi Clerici (che alcuni attribuiscono “in quota Giorgetti”), ma non sono escluse sorprese (riemerge anche Giovanni Minoli), anche perché deve ottenere i due terzi dei voti in Commissione di Vigilanza, quindi il sostegno di almeno uno tra i gruppi di Forza Italia e Partito Democratico.
La questione delle “nomine” è in verità di metodo e di merito.
La questione delle nomine dei vertici della Rai si intreccia con altre nomine di enti pubblici, dalle Ferrovie dello Stato all’Istat, passando per l’Inps.
In un articolo dal titolo efficace, “Un’antica fame di nomine”, Sabino Cassese su “la Repubblica” di ieri ha scritto, senza remore: “si chiamava una volta lottizzazione, occupazione dello Stato, governo spartitorio. Anche il governo autodefinitosi del ‘cambiamento’ ha fatto presto a impadronirsi degli usi e costumi antichi, che precarizzano e spartiscono le cariche più importanti dello Stato, trasformando l’Italia in una Repubblica di nominati… l’appetito vien mangiando, perché il Ministro dell’Interno ha dichiarato al ‘Corriere della Sera’ del 23 luglio: “educazione vorrebbe che i vertici di ogni autorità governativa si mettano a disposizione del nuovo governo”… Il fenomeno produce una patologia profonda: “la precarizzazione di quei posti mette molti organismi nelle mani di persone transeunti, considerata la velocità con la quale cambiano i governi in Italia, con grave danno della continuità dell’azione pubblica. Poi c’è l’‘indotto’: il nominato vorrà o dovrà sdebitarsi, nominare altri, indicati dal suo ‘dante causa’, in posti subordinati, oppure eseguire i ‘patti’ fatti col nominante. Insomma, c’è una politicità che ‘discende per li rami’. Infine, questa generale precarietà crea dipendenza, fidelizza anche quando non viene esercitato un potere di revoca o di non conferma”.
Cassese ha ragione.
Matteo Salvini ha dichiarato che persone… “dissidenti” come Tito Boeri all’Inps vanno rimosse, perché non sintoniche con le idee del Governo e con il “programma del Governo del Cambiamento”. E parrebbe che Salvini gradisca l’ordinario di demografia Gian Carlo Bianciardo alla guida dell’Istat, in chiave giustappunto “anti-Boeri” (la nomina del successore di Giorgio Alleva spetta formalmente alla Ministra della Pubblica Amministrazione Giulia Bongiorno), dato che il professore avrebbe spiegato “la bufala” dei migranti che pagano le nostre pensioni (e su questo, anche su questo, si può aprire un dibattito che non può essere sviluppato seriamente via… Twitter!).
Enti pubblici come la Rai e l’Istat non possono essere gestiti come agenzie governative: si debbono caratterizzare per indipendenza ed autonomia rispetto ai desideri dell’esecutivo di turno.
La gravità dell’ingerenza governativa è estrema: se la Rai resta la maggiore “industria culturale” italiana e dovrebbe rappresentare l’infinita ricchezza del pluralismo culturale e sociale del nostro Paese, l’Istat dovrebbe rappresentare la bussola cognitiva dell’azione politica, parlamentare, governativa. Pluralismo ed indipendenza dovrebbero essere caratteristiche essenziali di entrambe.
Né l’una né l’altra possono divenire la “grancassa mediatica” ovvero il “validatore scientifico” delle scelte del “policy maker” di turno.
Ha scritto il collega Fernando Giugliano su “la Repubblica” di domenica (22 luglio): “la questione è pressante, data la crescente impazienza che l’Esecutivo sta palesando verso chi dimostri di avere a cuore la terzietà delle statistiche. Sembra quasi che i tecnici debbano prestar fede a un progetto politico, indipendentemente dalla logica o dalle leggi dell’aritmetica. La forza di una democrazia dipende invece dalla presenza nel dibattito pubblico di informazioni corrette. L’Istat è dunque il primo baluardo contro l’oscurantismo e gli abusi di potere”. Tesi sacrosanta, e vale per Istat come per Rai: i due enti hanno funzioni istituzionali differenti, ma debbono veramente restare baluardi per la democrazia. Eppure – continua Giuliano – “la confusione di parti nei confronti dell’istituto di via Balbo è saltata all’occhio qualche settimana fa, in seguito a un incontro tra Alleva e il Sottosegretario all’Economia, Laura Castelli. Al termine del colloquio, l’esponente del M5S ha divulgato un comunicato in cui parlava della necessità di avere una ‘sinergia’ fra Istat ed Esecutivo ‘per il raggiungimento degli obiettivi del contratto di governo’. La Sottosegretaria ha poi spiegato che per ‘sinergia’ intendeva una leale collaborazione. Ma strafalcioni di questo tipo impongono un supplemento di attenzione nel valutare qualsiasi scelta che l’Esecutivo vorrà fare sulla presidenza dell’Istat”.
La questione dei vertici della Rai è delicata, importante, fondamentale: per la nostra stessa democrazia.
La questione dei vertici dell’Istat è delicata, importante, fondamentale: per la nostra stessa democrazia.
E c’è da temere assai, a questo punto, anche rispetto al futuro rinnovo dei vertici delle “authority”: in particolare, si ricorda che nel 2019 giunge a scadenza il settennato dell’attuale Consiglio per l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni. E temiamo che la “battaglia per l’Agcom”, viste le dinamiche di queste settimane rispetto alle nomine, sarà terribile…
Conclusivamente, due facce della stessa medaglia: di un potere “nuovo”, che appare famelico di controllo, dell’opinione e della scienza. Grande crediamo debba essere la delusione di coloro che hanno creduto in un “nuovo corso”, che – almeno per ora, in questa “gestione del potere” – non si sta manifestando.
Non resta che sperare in un qualche tardivo ravvedimento, in un provvido conato di autocoscienza.
Siamo tutti a rischio di grave deriva.