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ilprincipenudo. La nuova Rai di Campo Dall’Orto: un uomo solo al comando?

Angelo Zaccone Teodosi

Senza dubbio, da ieri 26 gennaio Antonio Campo Dall’Orto ha le mani libere, per condurre la Rai verso nuovi lidi. Un “uomo solo al comando”: a Viale Mazzini, si passa dalla teoria alla pratica?!

In effetti, il 15 gennaio la nuova legge sulla radiotelevisione pubblica italiana è stata finalmente pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, e ieri il Consiglio di Amministrazione ha approvato il nuovo statuto di Viale Mazzini. La nuova legge sulla Rai (Legge 28 dicembre 2015, n. 220, “Riforma della Rai e del servizio pubblico radiotelevisivo”) entra in vigore tra tre giorni, il 30 gennaio 2016. Il nuovo statuto è stato approvato con 3 voti contrari: Carlo Freccero, Arturo Diaconale e Giancarlo Mazzuca. Il 3 febbraio 2016 verrà approvato dall’assemblea dei soci Rai (Ministero del Tesoro e Siae).

Le istanze dei “contestatori” sono quindi state rigettate: l’associazione MoveOn Italia – insieme ad una decina di altri soggetti della società civile (da Articolo 21 all’Arci) – aveva indirizzato una lettera a Sergio Mattarella, affinché non firmasse la legge e la rinviasse al Parlamento con dei rilievi, ma il Presidente della Repubblica non ha accolto la richiesta (ne avevamo scritto su queste colonne, allorquando non era ancora stata pubblicata la legge sulla Gazzetta Ufficiale: vedi “Consultazione pubblica sulla Rai: quale modello?” su “Key4biz” del 15 gennaio 2016), ed il 28 dicembre ha serenamente (forse no… ma non è dato sapere!) promulgato. Il 5 gennaio anche il Segretario Generale della Fiom-Cgil Maurizio Landini aveva annunciato la propria adesione alla lettera-appello.

Piaccia o non piaccia, è quindi in gestazione concreta una nuova Rai, ovvero una Rai dalla novella “governance” decisionista. Va segnalata anzitutto una contraddizione: da un lato, l’approvazione della legge e del nuovo statuto, che consente al neo Amministratore Delegato di agire con ampio margine di manovra, ovvero con una libertà che nessun Dg predecessore ha mai potuto esercitare; dall’altro, una legge dello Stato che prevede “una consultazione pubblica sugli obblighi del servizio pubblico, radiofonico, televisivo e multimediale, in vista dell’affidamento della concessione del medesimo servizio” (vedi il comma 5 dell’art. 5 della legge di riforma Rai, nonché i commi 165 e 166 della legge di Stabilità).

Premesso che l’avvio della consultazione, che deve essere curata dal Ministero dello Sviluppo Economico, richiederà alcune settimane, e lo sviluppo della procedura alcuni mesi, è evidente che il nuovo profilo identitario della Rai permane incerto, nelle more della novella “concessione”.

E si ricordi che la concessione ancora in vigore scade il 6 maggio 2016. La questione finirà in… barzelletta, come è avvenuto per il “contratto di servizio”?! è scaduto il 31 dicembre 2012, il “nuovo” è stato approvato dalla Commissione di Vigilanza nel maggio 2014, e simpaticamente ignorato dal Governo… Dal 1° gennaio 2013, Rai naviga a vista: da 3 anni senza “contratto” con lo Stato!

Tutto questo non sarebbe accaduto, se il Governo avesse rispettato gli intendimenti inizialmente annunciati (giugno 2014): prima (“ex ante”…) la consultazione pubblica, utile strumento cognitivo per la nuova legge, e non l’inversione di metodo decisa nei mesi scorsi, per cui prima si è approvata la legge ed ora si prospetta il gran dibattito sulla novella concessione…

Tutto questo appare irragionevole (al di là di un qualche profilo di schizofrenia), anche se conferma la vocazione decisionista del “metodo Renzi”. Prima cambiamo la “governance” e poi discutiamo della “mission”?! Da non crederci.

In sostanza, come potrà Campo Dall’Orto manovrare al meglio il “timone” della Rai, se la “rotta” permarrà discretamente incerta per i prossimi mesi?!

Teoricamente, dalla “consultazione pubblica” (se ben strutturata: approfondita, aperta, plurale: ma sarà così?!) potrebbe emergere un nuovo identikit per il “public service broadcaster” italiano, magari in contrasto con gli stessi orientamenti del Governo e del Legislatore.

E se il “popolo” manifestasse orientamenti difformi rispetto alla Rai disegnata a tavolino da Renzi e Campo Dall’Orto (ma questa nuova Rai è ancora soltanto tratteggiata), e se i “consultati” chiedessero “obblighi di servizio pubblico” diversi da quelli auspicati dai due “condottieri”?!

Ieri, il Cda ha assistito alla presentazione delle linee-guida del nuovo “Piano Industriale” per il triennio 2016-2018 da parte di Campo Dall’Orto: nell’augurarci che questo documento divenga di pubblico dominio, ci si domanda: ma quante correzioni di rotta dovrà subire, nei prossimi mesi?!

A questo punto, la “consultazione pubblica” diviene uno strumento delicato, prezioso, indispensabile per una sana interazione tra la logica “top-down” (il Governo decide autocraticamente) e la logica “bottom-up” (il popolo esprime la propria opinione e – si auspica – influenza in modo determinante il “decision making”). Siamo in democrazia, no?!

Si osserva in verità una qualche assonanza, tra la riforma costituzionale in avanzato stato di gestazione e l’annunciato referendum consultivo, e questa vicenda della nuova Rai, in verità ancora tutta da disegnare (“governance” a parte).

Nel mentre, però, alcuni segnali sono evidenti: anche prima di divenire Amministratore Delegato, nei suoi primi mesi di lavoro, il neo Direttore Generale ha cooptato un’eletta schiera di suoi fiduciari dall’esterno, attingendo soprattutto ad ex collaboratori quando era alla guida di Mtv Italia.

Si dirà che questa è prassi storica a Viale Mazzini (basti pensare all’ex Dg Luigi Gubitosi e alla cooptazione di suoi fiduciari, come Costanza Esclapon, anche lei ex Wind, a capo delle relazioni esterne Rai), ma in questo caso ci sembra che la fenomenologia abbia tratti differenti, perché, per la prima volta, il Dg ora Ad della Rai è un professionista interno al mondo della televisione, e chiama a sé dirigenti che con lui hanno lavorato, per molti anni, nello stesso business.

È una novità epocale, per la Rai.

Le scelte di Campo Dall’Orto si caratterizzano infatti al contempo per il rapporto fiduciario (determinato da storica esperienza collaborativa) e per curricula professionali di indubbia qualità, altamente tecnici (da Cinzia Squadrone alla Direzione Marketing a Gian Paolo Tagliavia alla Direzione Digital…).

Un po’ fuori tempo il “ridimensionamento” che il Cda di ieri ha imposto all’Ad, nelle chance di cooptazione di manager dall’esterno: Campo Dall’Orto è uomo d’impresa e non crediamo avrebbe abusato del proprio potere discrezionale, con superfetazioni del funzionigramma di Viale Mazzini.

Il punto c. del comma 10 dell’art. 2 della nuova legge recita che “l’amministratore delegato provvede alla gestione del personale dell’azienda e nomina i dirigenti di primo livello, acquisendo per i direttori di rete, di canale e di testata il parere obbligatorio del consiglio di amministrazione, che nel caso dei direttori di testata è vincolante se è espresso con la maggioranza dei due terzi; assume, nomina, promuove e stabilisce la collocazione aziendale degli altri dirigenti, nonché, su proposta dei direttori di testata e nel rispetto del contratto di lavoro giornalistico, degli altri giornalisti”; all’art. 3, comma 3, viene previsto che “nello statuto della Rai-Radiotelevisione italiana Spa sono definiti i limiti massimi del numero dei dirigenti non dipendenti della predetta società che possono essere assunti con contratto a tempo determinato, subordinatamente al possesso da parte di questi ultimi di requisiti di particolare e comprovata qualificazione professionale e di specifiche competenze attinenti all’esercizio dell’incarico da conferire. Gli incarichi di cui al presente articolo cessano in ogni caso decorsi sessanta giorni dalla scadenza del mandato dell’amministratore delegato, fatta salva una durata inferiore”.

Rispetto ad una bozza di statuto entrata in Cda che prevedeva un tetto del 10%, la discussione consiliare ha portato ad un limite maggiore, ovvero il 5% soltanto: Campo Dall’Orto, a questo punto, se il totale dei dirigenti Rai è di 252, avrebbe chance di cooptazione discrezionale nell’ordine di 12 massimo 13 manager (quelli che ha nominato finora – una decina – non dovrebbero però rientrare nel calcolo, essendo state procedure antecedenti alla novella legge).

Una quantità discreta per sconvolgere gli assetti pre-esistenti, come ha evidentemente già iniziato a fare nelle settimane scorse.

Da segnalare, tra le “cooptazioni”, che purtroppo è svanita l’ipotizzata nomina di Matteo Maggiore a capo della comunicazione Rai: l’attuale Direttore della Comunicazione della Banca Europea degli Investimenti (Bei) è stato anche Direttore degli Affari Europei e delle Relazioni Internazionali del “benchmark” europeo della televisione pubblica, qual è la Bbc, ed è riconosciuto come uno dei maggiori esperti di “psb” a livello europeo.

Avrebbe dovuto dirigere sia la comunicazione sia gli affari istituzionali della Rai. Una nomina eccellente, purtroppo svanita – sembrerebbe – per problemi sui livelli retributivi (la Rai non può competere con Bei) o forse per emersi dubbi di Maggiore nell’entrare nel labirinto di Viale Mazzini (vischioso e faticoso).

Al suo posto, è stato invece nominato Giovanni Parapini, 53 anni, umbro, cofondatore – insieme a Mauro Luchetti – del Gruppo Hdrà (che controlla Aleteia per la comunicazione “above the line” e “below the line”, Medita per la comunicazione “social”, Overseas per l’organizzazione di eventi e l’ultima nata, Consenso, per le relazioni istituzionali e “media relations”).

La Presidente Monica Maggioni ed il Dg Antonio Campo Dall’Orto gli affidano una nuova super-direzione, che accorpa i due settori finora seguiti da Costanza Escaplon (Comunicazione e Relazioni Esterne; ha rassegnato le dimissioni nei giorni scorsi), e da Alessandro Picardi (Relazioni Istituzionali e Internazionali; è, tra l’altro, anche marito del Ministro Beatrice Lorenzin), che risponderà direttamente al neo direttore. Un incarico fondamentale, e non soltanto per la nuova “immagine” della Rai.

Il cv di Parapini è corposo e ben ricco internazionalmente in materia di consulenza di comunicazione, “public affairs” e lobbying, ma non ci sembra, nemmeno lui – ci si consenta – uomo di “servizio pubblico”, ovvero un professionista con esperienza di “psb”. Ovvero, ha certamente le capacità, ma dovrà imparare sul campo.

Emerge una delicata criticità, secondo il nostro modesto parere: né Campo Dall’Orto né i dirigenti apicali che egli sta scegliendo hanno esperienza e cultura di “servizio pubblico”. Sono manager ben qualificati del business televisivo, che hanno lavorato per imprese commerciali inevitabilmente “marketing oriented”.

Insomma, un conto è guidare la filiale italiana di una multinazionale mediale come Mtv (gruppo Viacom), altro è guidare un “psb” anzi una “public media company” nazionale.

La questione è strategica: disporre di un team manageriale tecnicamente preparato è senza dubbio importante, ma non meno importante è disporre di professionisti in grado di interpretare il senso del “servizio pubblico”.

Si dirà che Campo Dall’Orto ha a disposizione il Consiglio di Amministrazione, che potrebbe (dovrebbe?!) divenire il luogo e strumento della nuova elaborazione strategica, una sorta di “think tank” che influenza il processo decisionale dell’Ad…

Si dirà che novelle linee-guida dovrebbero venire – appunto – dalla succitata consultazione pubblica, ulteriore laboratorio di acquisizione di conoscenze…

Si dirà… ma la preoccupazione, qui ed ora, è che finisca per prevalere il “marketing oriented” sul “servizio pubblico”, il contingente sullo strategico, l’economico sul politico (categoria questa intesa nel più nobile dei significati possibili): il profilo identitario della Rai permane ad oggi irrisolto, confuso, incerto.

Da molti anni, la Rai ha d’altronde perso la capacità autoriflessiva e la vocazione a studiare seriamente la propria missione: su queste stesso colonne, abbiamo ricordato come abbia “dismesso” strutture come l’Ufficio Studi ed il Segretariato Sociale… come abbia smesso di sviluppare attività di ricerca che non fosse giustappunto soltanto “marketing oriented”… come abbia smesso di coltivare relazioni significative ed aperte con la società civile, con il terzo settore, con l’accademia, con la scuola, con i rappresentanti delle tante minoranze che caratterizzano il Paese…

La prova del deficit è stata fornita dalla prima edizione del “Bilancio Sociale” della Rai, che il duo Tarantola-Gubitosi, a fine mandato, ha lasciato in eredità a Campo Dall’Orto & Co.: per la prima volta, pur con inaudito ritardo, il “psb” italiano ha tentato di documentare il proprio ruolo, soprattutto nella prospettiva del “sociale” giustappunto, ma il set di dati proposto ha mostrato risultati sconfortanti (vedi “Key4biz del 29 luglio 2015, “Il numero zero del ‘bilancio sociale’ Rai: più ombre che luci”).

La Rai attuale è inadempiente, rispetto ad una rappresentazione realistica, sana, onesta, plurale, della realtà del Paese: propone una “visione” tendenzialmente monodimensionale, appiattita sui modelli culturali della televisione commerciale, una “Weltanschauung” schiava degli interessi degli investitori pubblicitari, che poco (o nessun) spazio assegna alle infinite ricchezze e diversità della nazione. Per non dire della tutela delle minoranze, e, tra esse, dei minori.

Il deficit di pluralismo della Rai è grande e anche un po’ inquietante.

L’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha mai affrontato seriamente queste tematiche?

Non risulta, data la perdurante sonnolenza, o comunque l’andamento lento, dell’Agcom su una serie di questioni critiche in materia di politiche ed economia dei media.

Basti pensare che in Rai non esiste una trasmissione (ci riferiamo ovviamente alle reti generaliste, che sono l’asse centrale del servizio pubblico) che sia dedicata ai migranti, che rappresentano ormai un decimo della popolazione residente in Italia…

Basti pensare che non esiste una trasmissione una che sia dedicata all’alfabetizzazione multimediale, ma alcuni continuano a riempirsi la bocca di “championship” digitale e di retoriche correlate…

Basti pensare che non esiste una trasmissione dedicata alla promozione delle industrie culturali e creative nazionali, allorquando si rinnovano ricerche che dovrebbero dimostrare la centralità di queste industrie nella socio-economia nazionale…

Basti pensare che non esiste una trasmissione che sia dedicata alle fedi religiose altre rispetto al cattolicesimo ed all’ebraismo, che pure beneficiano di qualificati ma modesti spazi di palinsesto emarginati in ore notturne…

Basti pensare che non esiste una trasmissione che consenta processi di “feedback” tra l’emittente ed il suo pubblico, allorquando si dispone ormai di tecnologie che consentirebbero agevoli processi di retroazione tra offerta e domanda…

Sufficit?!

I “cahiers de doléances” sono decine.

E che dire dell’assenza di interlocuzione reale tra la Rai ed il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (Mibact), ed il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (Miur)?!

E che dire dell’assenza di interlocuzione reale tra la Rai e la Società Italiana Autori e Editori (Siae), che pure è (paradossalmente) sua socia, sebbene per una quota simbolica dello 0,44 % delle azioni di Rai s.p.a.?!

Non sarebbe naturale che nel Cda della Rai avessero diritto ad avere un posto, d’ufficio, un rappresentante del Mibact, del Miur e della Siae?!

Si attendono i risultati del tentativo di “interazione” tra Mibact e Mise, ovvero i “tavoli” interministeriali promossi dal Ministro Dario Franceschini e dal Sottosegretario Antonello Giacomelli: una sorta di “riforma dell’audiovisivo” che dovrebbe essere presentata nelle prossime settimane in Consiglio dei Ministri, dopo una “consultazione” che non è stata né pubblica né pluralista (sono stati coinvolti soltanto i broadcaster tv e le associazioni imprenditoriali, ma non le associazioni autoriali e nemmeno la Siae). Ancora una volta, si procede per compartimenti stagni, per… tasselli, ed inevitabilmente il… mosaico finisce per apparire incompleto e squilibrato. Sarà interessante andare a vedere cosa si prevederà, per la “mission” Rai, nel documento finale dei tavoli Mise-Mibact.

Quel che non può non deprimere è la complessiva debolezza e frammentarietà del dibattito sviluppato sulla Rai, sia a sinistra sia a destra, prima durante e dopo l’approvazione della nuova legge. In relazione al centro-destra, per comprendere i perduranti deficit di visione organica e strategica, basti pensare a quel che è emerso ieri in occasione dell’incontro promosso in Senato da Maurizio Gasparri e dalla sua fondazione Italia Protagonista, “Microfoni@perti – Servizio Pubblico e Pluralismo dopo le nuove norme sulla Rai”

Il dibattito permane debole. La “vision” resta miope.

A questo punto, non resta che sperare nella “consultazione pubblica” che verrà?!

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