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ilprincipenudo. Immigrati sui media, immagine distorta in Italia

Angelo Zaccone Teodosi

Ancora una volta, un rapporto di ricerca conferma quel che è noto ormai da tempo: che l’immigrazione, per l’Italia, è paradossalmente una fonte di ricchezza, anche materiale, se è vero che il saldo della “bilancia” economica (dare / avere) determina un valore positivo di circa 3 miliardi di euro l’anno… Se, secondo alcune stime della Fondazione Leone Moressa, la spesa pubblica per l’immigrazione è stata nel 2015 nell’ordine di 14,7 miliardi di euro, dall’altro “lato” lo Stato italiano registra infatti impatti fiscali positivi nell’ordine di ben 17,7 miliardi di euro (6,8 miliardi di Irpef versata e 10,9 miliardi di contributi Inps).

Il 27 ottobre è stata presentata a Roma, presso il Teatro Orione, l’edizione 2016 del “Dossier Statistico Immigrazione”, curato dal Centro Studi e Ricerche Idos, e, per il secondo anno consecutivo, in partenariato con la rivista interreligiosa “Confronti”, e con il sostegno dei fondi “Otto per Mille” della Chiesa Valdese. Sono intervenuti anche due esponenti del Governo: Domenico Manzione, Sottosegretario all’Interno, e Luigi Bobba, Sottosegretario al Lavoro e alle Politiche Sociali.

Il “Dossier Statistico” propone ancora una volta un utile “dataset” del fenomeno migratorio in Italia: informazioni ed analisi che certamente aiutano a superare luoghi comuni e stereotipi troppo spesso diffusi.

Dati che vorrebbero dimostrare come l’immigrazione non sia né una “emergenza” (o addirittura una “invasione”, come alcuni allarmisti xenofobi paventano), né una questione ormai superata (e ben metabolizzata), bensì un fenomeno sociale importante, ma che presenta non poche criticità: un fenomeno complesso, che merita maggiore attenzione, secondo Idos, proprio a partire dalle analisi statistiche.

Su queste colonne (vedi “Key4biz” del 18 dicembre 2015, “Immigrati: un’opportunità economica. Ma la Cei bacchetta l’Italia”), più volte abbiamo dedicato attenzione al rischio di “deriva quantitativo-economicista” del trattamento mediale (e politico) delle migrazioni in Italia, così come al rischio che un approccio monodimensionale e prevalentemente “statistico” (e quindi quantitativo) produca effetti distorsivi rispetto alla prospettiva indispensabile per un’analisi seria ed approfondita del fenomeno migratorio: prospettiva che non può che essere anche qualitativa e quindi multidimensionale, culturale e spirituale.

La richiamata “deriva” economico-economicista dell’analisi delle migrazioni in Italia ha comunque registrato senza dubbio il suo picco con la presentazione, avvenuta l’11 ottobre 2016, in seno al Ministero dell’Interno (con la benedizione istituzionale del Sottosegretario di Stato Domenico Manzione), del “Rapporto annuale 2016 sull’economia dell’immigrazione” (sottotitolo “L’impatto fiscale dell’immigrazione”), curato dalla Fondazione Leone Moressa, istituto di studi fondato nel 2002 (da una iniziativa dell’Associazione Artigiani e Piccole Imprese di Mestre – Cgia): se va riconosciuto che anche questo set di dati (il primo rapporto sull’economia dell’immigrazione ha visto la luce nel 2012, quello del 2016 è quindi la VI edizione) è certamente utile per comprendere che – in un’analisi circoscritta all’economia dei migranti in Italia – prevalgono i “ricavi” sui “costi”, riteniamo si debba ribadire l’esigenza di andare… oltre. Oltre l’economico, insomma.

Il migrante è senza dubbio anche – sociologicamente – un “attore economico” (lavoratore, imprenditore, contribuente fiscale, cliente bancario…), ma crediamo che debba essere soprattutto la dimensione umana e psichica e sociale, in sostanza “culturale” e civile (come “cittadino”, appartenente ad una “comunità”), a dover essere oggetto di analisi, studi, ricerche, nel tentativo di costruire politiche sociali che siano basate su una integrazione equilibrata e ben temperata, rispettosa delle tradizioni dei Paesi d’origine e dei valori dei Paesi di accoglienza.

Gli aspetti economici del fenomeno migratorio sono importanti, se è vero che la presenza degli immigrati è quanto mai positiva sotto l’aspetto previdenziale, perché fornisce un copioso gettito contributivo, ben 10,9 miliardi di euro nel 2015. I contribuenti stranieri, nel corso del 2015, hanno pagato – come abbiamo già segnalato – ben 6,8 miliardi di euro di Irpef; oltre a questa cifra, si debbono anche considerare che gli 11 miliardi di euro dei contributi pagati dagli stranieri coprono le pensioni di… 640mila italiani. Sarebbe interessante conoscere il parere di Matteo Salvini su questi numeri, ma non ci risulta si sia espresso in materia.

Va anche ricordato che, comunque, i migranti restano “attori economici di serie B”: sostanzialmente, sono sfruttati o comunque mal trattati ovvero discriminati, dato che soltanto una bassa percentuale di loro lavora nelle professioni qualificate, e, in media, la retribuzione netta mensile per gli immigrati è inferiore del 28,1% rispetto a quella degli italiani (979 euro contro i 1.362), ed il divario è ancora più ampio tra le donne straniere e quelle italiane.

La ricchezza dell’immigrazione è però soprattutto sociale-culturale: basti pensare agli effetti benefici dei matrimoni misti, al ruolo prezioso di supplenza familiare svolto dall’esercito delle badanti, al contributo alla riduzione dell’invecchiamento della popolazione complessiva, a quante energie vitali e nuove stiano iniettando nel sistema culturale italiano gli artisti migranti…

L’esigenza di un “salto qualitativo” nelle analisi è rappresentato anche dal “divorzio” che s’è concretizzato tra l’istituto Idos e la Conferenza Episcopale Italiana (Cei): in effetti, per molti anni, Idos è stato sostenuto dalla Fondazione Migrantes e dalla Caritas, ma nel 2014 questi due organi pastorali della Cei hanno intrapreso un percorso autonomo, dando vita al “Rapporto Immigrazione”, giunto nel 2016 alla sua terza edizione nella nuova architettura editoriale (si tratta però, di fatto, della XXV edizione dell’iniziativa).

Questo strumento di conoscenza e di studio va giustappunto nella direzione che abbiamo indicato: un approccio finalmente multidimensionale, che non ignora la statistica ma la contestualizza in una prospettiva centrata sulla persona.

In effetti, il “Rapporto Immigrazione” Migrantes-Caritas edizione 2016 ha celebrato nel luglio scorso il venticinquennale dell’iniziativa, che fu avviata nel 1991 su particolare impulso del promotore della Caritas diocesana di Roma Monsignor Luigi Di Liegro (1928-1997). L’edizione 2016 del rapporto Caritas-Migrantes è intitolata significativamente “La cultura dell’incontro”, ed ha dedicato particolare attenzione alla dimensione scolastica così come a quella specificamente culturale del fenomeno migratorio (vedi “Key4biz” del 5 luglio 2016, “Caritas-Migrantes: 5 milioni di immigrati in Italia. La Cei striglia (di nuovo) la politica”).

È interessante osservare come la prima edizione (2014) del rapporto curato da Idos dopo la separazione dalla Cei (ovvero il “Dossier Statistico Immigrazione”) sia stata sostenuta dallo Stato italiano, ovvero dall’Unar, mentre la seconda e la terza edizione (2015-2016) siano state sostenute dalla Chiesa Valdese: curiose variazioni sul tema “committenza”.

Restiamo convinti che il ritardo con cui lo Stato italiano dedica attenzione, anche dal punto di vista della ricerca, al fenomeno migratorio sia sintomatico di un deficit di sensibilità, che determina conseguenze gravi nel “policy making”, ovvero nell’elaborazione di politiche sociali adeguate, basate su criteri di efficienza-efficacia di natura socio-economica.

Lo Stato dovrebbe fornire contributi integrativi per il miglior sviluppo di iniziative come il “Rapporto Immigrazione” di Migrantes-Cei, apprezzando l’esperienza di un quarto di secolo in un approccio plurale rispetto al fenomeno dei migranti.

Nello specifico culturale (da un punto di vista culturologico-mediologico), va ricordato che lo Stato italiano ha comunque finalmente manifestato segni concreti di intervento, per quanto ancora timidi: abbiamo segnalato l’innovativo carattere dell’esperimento avviato dal Ministero dei Beni e Attività Culturali e Turismo con il progetto speciale “MigrArti Cinema e Spettacolo”, fortemente voluto dal Ministro Dario Franceschini ed affidato al suo consigliere per la multiculturalità e le periferie Paolo Masini (vedi “Key4biz” del 5 ottobre 2016, “MigrArti’: il Mibact raddoppia i fondi, ma serve anche un sito dedicato”), il cui bando per l’edizione 2017 è in fase di gestazione.

Vanno ricordate anche iniziative consolidate e nuove, promosse nell’ambito della “società civile”: ci limitiamo a qui richiamarne due soltanto, che riteniamo di eccellenza.

È in corso a Roma (dal 4 al 12 novembre) la XXII edizione del MedFilm Festival, unico appuntamento italiano specializzato nella diffusione del cinema mediterraneo ed europeo, iniziativa ideata e diretta da Ginella Vocca. Si tratta di una kermesse di alto livello qualitativo, che si pone come obiettivi la tutela dei diritti umani ed il dialogo interculturale, l’educazione e la formazione dei giovani in ambito socio-culturale, la lotta al razzismo e alla xenofobia, la promozione e la diffusione della cultura europea e mediterranea.

Purtroppo, gran parte dei titoli presentati nei festival italiani non riescono poi a trovare una distribuzione “theatrical” o una diffusione sui canali televisivi: anche su questo, riteniamo si dovrebbe intervenire, utilizzando al meglio il sostegno della “mano pubblica”.

Da segnalare anche la piattaforma “United Artists for Italy” (da cui l’acronimo “Uafi”), una stimolante campagna di sensibilizzazione che richiede una maggiore “diversità” nel cinema italiano, iniziativa lanciata in occasione della prima di un documentario – presentato al Festival di Roma – che racconta le storie degli attori di origine africana in un secolo di cinema italiano (si tratta di “Blaxploitalianovvero “Cent’anni di afrostorie nel cinema italiano”, diretto dal regista italo-ghanese Fred Kuwornu). Lo slogan dell’iniziativa è “i talenti artistici sono ovunque, ma le opportunità no”. Si legge in un loro documento: “Questa iniziativa nasce in modo spontaneo anche come risposta alle immagini stereotipate prodotte in un volantino di una istituzione italiana in cui per rappresentare delle ‘cattive abitudini’ sono state utilizzate immagini di neri, latini. Ci siamo chiesti: perché esiste ancora questa approssimazione nel rappresentare la società italiana nelle pubblicità, nelle fiction, nei film o addirittura nella comunicazione delle istituzioni? perché alcuni gruppi sociali, non importa se neri, donne, lgbt, diversamente abili spesso sono rappresentati con un’etichetta o solo come un problema sociale? perché alcuni gruppi della società sono spesso infilati in una scatola e stare in una scatola, credeteci, non è un bel posto dove stare. Uafi non è solo un gruppo di persone accomunate da un’esperienza professionale nel mondo dei media, ma è soprattutto un ideale, un progetto a lungo termine di una società migliore. Siamo consapevoli di quanto i media siano fondamentali sia per costruire il senso di appartenenza ad una nazione, sia per la formazione dell’identità individuale in termine di autostima, aspirazione, sogni. Paradossalmente una ragazzina con abilità diverse può aspirare a diventare un alto dirigente in ogni settore tranne che un’attrice…”.

Ci auguriamo che iniziative valide come queste possano essere accolte, fatte proprie e finanche rilanciate dal “public service broadcaster” italiano, anche se le perplessità sul “new deal” della Rai restano tantissime, nel silenzio assordante – peraltro – della tanto decantata novella “convenzione” (questione delicata e strategica per la politica culturale e mediale italiana: che fine ha fatto???).

Il ritardo della Radiotelevisione Italiana spa su queste tematiche è semplicemente enorme, a fronte della sensibilità che dimostrano, ormai da molto tempo, “psb” lungimiranti come la Bbc, che cercano di monitorare la presenza della diversità / delle diversità, che ovviamente non sono soltanto di “razza”, ma anche di “genere” (eccetera, ecc.), e cercano quindi di imprimere sempre più un senso “plurale” alla propria offerta editoriale.

Va dato atto che, dopo secoli di silenzio su queste tematiche, un segnale di sensibilità è finalmente giunto anche dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni: venerdì scorso 2 novembre – come tempestivamente segnalato anche da “Key4biz” (vedi “Agcom: immigrati sui media, stop a stereotipi”) – l’ufficio stampa dell’Agcom ha dato notizia della pubblicazione sul proprio sito web di una delibera che il Consiglio ha assunto il 16 settembre (non si comprende la ragione del ritardo temporale – un mese e mezzo – nel dare pubblica notizia dell’iniziativa). Si legge nel comunicato stampa: “Assicurare il più rigoroso rispetto dei principi fondamentali sanciti a garanzia degli utenti, affinché sia garantito nei programmi audiovisivi e radiofonici il rispetto della dignità della persona e del principio di non discriminazione, in particolare nella trattazione dei fenomeni migratori e delle diversità etnico-religiose. Questo il richiamo che l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha formulato nei confronti dei fornitori di servizi e media audiovisivi e radiofonici a seguito di una delibera che ha avuto come relatore il commissario Antonio Nicita”. Si tratta di una decisione non particolarmente… forte, dato che la delibera n. 426/16/Cons (intitolata “Atto di indirizzo sul rispetto della dignità umana e del principio di non discriminazione nei programmi di informazione, di approfondimento informativo e di intrattenimento”) è di fatto un cortese invito, un “richiamo” appunto, ai broadcaster ed ai media tutti: un atto sostanzialmente carente di un apparato sanzionatorio, e, come tutti gli inviti e le “autoregolamentazioni”, destinato in Italia – temiamo – a cadere nel vuoto, dati i muri di gomma degli infiniti conservatorismi del nostro Paese.

Non a caso – purtroppo – non ci sembra che alcun quotidiano nazionale abbia dedicato anche soltanto un trafiletto all’iniziativa Agcom: e ciò basti (a proposito di efficacia dell’intervento). La decisione dell’Autorità e la questione affrontata non è forse nemmeno… “notiziabile”, per i media italiani, abituati da decenni ad “autogestirsi” anche tematiche così delicate. È comunque un primo passo, importante almeno dal punto di vista simbolico, e va dato merito all’Autorità di questo risveglio di sensibilità, che ci auguriamo foriero di migliori futuri incisivi interventi. Torneremo presto sulla questione.

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