Da un quarto di secolo, osserviamo studiamo analizziamo la politica culturale del nostro Paese, e siamo costretti a registrare l’estrema lentezza con cui le cose (non) cambiano: il capitolo “Istituti italiani di cultura all’estero” rappresenta senza dubbio uno dei più dolorosi, nel grande libro dei disastri del sistema culturale italiano.
Questa mattina, ci siamo affacciati con curiosità alla “Conferenza dei Direttori degli Istituti italiani di Cultura all’Estero”, che si sta svolgendo, tra Perugia e Roma, dal 23 al 26 giugno.
#ilprincipenudo ragionamenti eterodossi di politica culturale e economia mediale, a cura di Angelo Zaccone Teodosi, Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) per Key4biz.
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Sono trascorsi otto anni dalla precedente conferenza, e – secondo una lettura positiva – già soltanto l’iniziativa di promuovere un novello incontro rappresenterebbe un “segnale forte” dell’attenzione del Governo Renzi sulla controversa vicenda degli Iic.
Abbiamo ascoltato belle parole da parte dei Ministri Dario Franceschini (Beni e Attività Culturali e Turismo) e Paolo Gentiloni (Affari Esteri) e della Presidente della Commissione Cultura del Parlamento Europeo Silvia Costa…
Come dire?! Molto buon senso, ma in sostanza la riproposizione di tesi già note, da anni e decenni. È evidente che la cultura può essere un volano prezioso per la promozione del “sistema Italia”, sia in termini di export materiale (le merci) sia di export immateriale (l’immagine). Ma, per dar sostanza alle buone intenzioni, ci si deve dotare di risorse adeguate e di strumentazioni appropriate. Che non c’erano e che non ci sono. La dimensione delle risorse che il Governo destina alla rete degli istituti italiani di cultura all’estero è largamente insufficiente. E non risulta che qualcuno si stia concretamente adoprando per modificare lo stato delle cose.
Il rischio – quindi – di una riproposizione della retorica del “made in Italy” e della cultura come strumento di diplomazia internazionale oltre che di promozione commerciale è sempre latente: si rimanda al video di sintesi dell’iniziativa proposto dallo stesso Ministero degli Esteri, per avere conferma di questa retorica sul… “Paese più bello del mondo” (Gentiloni dixit oggi).
Gli istituti italiani di cultura dovrebbero essere un punto di riferimento per i nostri connazionali all’estero, ma soprattutto una rete di promozione internazionale della nostra cultura (scrittori, artisti, cantanti…ma anche imprese culturali): non ci poniamo controcorrente (e facciamo nostra la “vox populi”), nel rimarcare che non fanno bene né l’uno né l’altro mestiere (fatte salve rare eccezioni, determinate da funzionari colti ed appassionati che operano in deprimente solitudine, in assenza di logiche premiali meritocratiche).
Non arriveremo a sostenere che si tratta di “fannulloni della cultura” – come pure qualcuno ha scritto – ma riteniamo si possa sostenere che la loro efficacia è assolutamente modesta.
Non risulta che sia stata mai realizzata una approfondita ricerca quali-quantitativa per misurare l’efficienza e l’efficacia di questi istituti, né una ricerca comparativa internazionale che possa consentire di comprendere quali le ragioni dell’arretratezza della situazione italiana.
Le problematiche sono complesse: dalla discrezionalità nella nomina dei direttori degli istituti delle 20 sedi più prestigiose (New York, Parigi, Londra…), che debbono essere personalità di “chiara fama”, e spesso lo sono, ma sono anche persone amiche (o amiche degli amici) del Ministro degli Esteri di turno, per arrivare al ginepraio delle disparità contrattuali del personale, tra “addetti culturali” e “contrattisti”, e relative asimmetrie reddituali. Senza dimenticare le continue riduzioni alle risorse, in nome di una mal interpretata “spending review”: questi interventi pubblici andrebbero considerati investimenti strategici, non spese da tagliare!
Ogni tanto, emerge finanche un qualche piccolo scandalo (ci limitiamo a ricordare quel che scriveva “il Fatto” nell’edizione del 24 febbraio 2014, in un articolo intitolato “Cultura, grazie ai politici c’è chi ci mangia. E lo scandalo italiano va in tutto il mondo”), si accende un qualche riflettore sulle criticità, ma le conseguenze sono limitate: articoli sulla stampa presto dimenticati, magari una simpatica interrogazione parlamentare, che si conclude con un botta e risposta tra deputato e sottosegretario delegato (un esempio: l’interrogazione del grilllino Emanuele Scagliusi e la risposta del Sottosegretario Mario Giro, tra l’ottobre 2014 ed il gennaio 2015…), quasi sempre senza alcuna concreta conseguenza nella realtà fattuale.
Non si deve essere esperti in politica internazionale, per comprendere le due ragioni primarie della sconfortante situazione: assenza di una strategia politica organica e inadeguatezza delle risorse, insomma “policy” e “money” insufficienti.
D’altronde, la situazione degli istituti italiani di cultura all’estero è in bella compagnia con il disastro dell’Ice (Istituto per il Commercio Estero) e dell’Enit (Ente Nazionale Italiano per il Turismo): si avvicendano governi, si nominano commissari straordinari, si annunciano grandiose riforme, e, anno dopo anno, le situazioni – incancrenite – sopravvivono a se stesse. Una lenta degenerazione, una deriva continua.
La promozione internazionale della cultura italiana non c’è.
La promozione internazionale del “made in Italy” è debolissima.
La promozione internazionale del turismo è nulla.
Non c’è strategia integrata (cultura + made in Italy + turismo), non ci sono strumentazioni di conoscenza, la cassetta degli attrezzi è vuota, le risorse sono complessivamente ai minimi termini.
Non esiste una cabina di regia tra Ministero dei Beni e le Attività Culturali e il Turismo ed il Ministero degli Esteri, o se esiste – sulla carta – non produce alcunché di significativo.
Se è vero che questa “Conferenza” intende rappresentare un… “segnale forte”, sia consentito osservare alcuni dettagli della coreografia (e spesso “forma” significa “sostanza”): nessun documento è stato distribuito ai partecipanti, ai giornalisti è stato concesso di assistere soltanto alla sessione “Gli Iic e la promozione dell’immagine dell’Italia contemporanea”, ma non alla discussione con i Direttori degli Istituti, e nemmeno ai “tavoli di lavoro”, anch’essi… “off-limits” per la stampa. Ciò basti: complimenti al Mae per la vocazione alla dialettica ed alla trasparenza!
Eppure i cinque “tavoli di lavoro” si annunciavano interessanti, dedicati rispettivamente a: “industrie culturali e imprese creative” (coordinato da Luisa Finocchi della Fondazione Alberto e Arnoldo Mondadori, con relazioni di Roberto Cicutto di Cinecittà, Tilde Corsi dell’Anica, Marco Polillo dell’Aie); “promozione dei territori e turismo culturale” (coordinato da Cristiano Radaelli, Commissario Straordinario dell’Enit, con Onofrio Cutaia Dg del Turismo del Mibact, Claudio Gubitosi del Giffoni Film Festival, Lamberto Mancini Dg del Touring Club Italiano); “ricerca scientifica e innovazione tecnologica” (coordinato da Luca De Biase, con Marco Andreatta del Museo delle Scienze di Trento, Vittorio Bo dell’Associazione Festival della Scienza, Caterina Bon Valsassina Dg Educazione e Ricerca Mibact, Alessandro Sappia Presidente di Biotechware); “patrimonio identità e dialogo” (coordinato Giovanni Puglisi, Presidente della Commissione Nazionale italiana per l’Unesco, con Christian Greco del Museo Egizio di Torino, Elena Loewenthal dello Iuss di Pavia, Alessandro Masi della Società Dante Alighieri, Francesco Scoppola Dg Belle Arti e Paesaggio Mibact); “immagine e percezione dell’Italia” (coordinato da Rossella Cafagna del Die della Presidenza del Consiglio, Silvia Barbieri di FutureBrand, Ugo Soragni Dg Musei Mibact, dal giornalista Maarten Van Aaderen già Presidente della Stampa Estera in Italia). Ma, ahinoi, sono a “porte chiuse”!
E noi, ingenui cittadini e giornalisti fiduciosi, che ci attendevamo una corposa cartella stampa, ricerche e dossier e documentazione, e finanche “diretta” streaming e chance di “downloading” della conferenza…
Immaginiamo che – tra qualche mese?! – gli atti di queste sessioni (segrete/segretate) della Conferenza vengano comunque pubblicati, e resi finalmente di pubblico dominio. Forse il Ministero ha avuto timore che i direttori degli 81 istituti di cultura all’estero rivelassero pubblicamente le loro problematiche e miserie, ed emergessero quindi magagne che non contribuirebbero all’immagine – positiva e rassicurante, “à la Renzi” – di un Governo attento e sensibile alla promozione della cultura italiana nel mondo? Un curioso caso di (auto)censura?!
Quel che sicuramente va rimarcato è che non ha senso riproporre belle intenzioni, in assenza di risorse e strategie.
Basta retorica sul “sistema Italia”, allorquando non si gettano le fondamenta per una logica sistemica e strategica. Non esiste un… “sistema Italia”!
Ha scritto a chiare lettere Laura Garavini, deputata del Pd eletta nella Circoscrizione Europa (ed impegnatasi attivamente, nel novembre 2014, affinché la Legge di Stabilità non prevedesse ulteriori tagli al budget agli Iic): “Paesi come Francia, Inghilterra, Germania e Spagna hanno capito quanto frutti investire in cultura: la Francia mette a disposizione della sua rete di lingua e cultura nel mondo risorse per 760 milioni di euro. II British Council dispone di 826 milioni di euro annui di finanziamento pubblico. Il Goethe Institut riceve complessivamente 218 milioni di contributi statali. In Spagna la rete dei Cervantes ha un bilancio di 97 milioni di euro, di cui 80 milioni di contributi pubblici. Mentre l’Italia, nonostante il bilancio in attivo, chiude sedi e taglia risorse dai miseri 12 milioni di euro”. Inascoltata.
In sintesi, basta annunci e teorizzazioni: che il Governo dimostri, coi fatti, budget e strategie, un’autentica volontà di cambiamento. Altrimenti ci si rassegni ad osservare che “l’acqua è poca e ‘a papera nun galleggia”, e si evitino le solite celebrazioni – tipiche di un’Italia che vorremmo dimenticare – in stile “nozze coi fichi secchi”.
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