Key4biz

ilprincipenudo. Fra proroghe e rinvii la Rai naviga a vista

Angelo Zaccone Teodosi

Nell’edizione di fine anno di questa rubrica (vedi “Key4biz” del 30 dicembre 2016, “Convenzione Stato-Rai, il mistero del rinnovo si infittisce”), segnalavamo le perduranti strane dinamiche della “misteriosa” convenzione tra Stato e Rai: in effetti, nessuna traccia della questione nel lungo comunicato stampa diramato dalla Presidenza del Consiglio, alla conclusione della settima riunione dell’Esecutivo presieduto da Paolo Gentiloni, venerdì 30 dicembre… Ma la fonte affidabile che avevamo riportato ci aveva assicurato che, nonostante il curiosissimo misterioso (inspiegabile) “silenzio stampa” governativo, il futuro di breve (brevissimo) periodo della Rai – Radiotelevisione Italiana spa sarebbe stato effettivamente garantito, da un qualche “comma” salvifico comunque in gestazione (e suggeriva di attendere la pubblicazione del testo del decreto sulla Gazzetta ufficiale): ed in effetti, il termine – ormai non più praticabile (per ritardi di cui è stato responsabile il Governo Renzi e per vincoli di calendario, in assenza ormai dei tempi tecnici minimi) – per il perfezionamento della convenzione, del 31 gennaio 2017 veniva rimandato di tre mesi, ovvero spostato al… 30 aprile 2017, e la preoccupante inclusione della tv pubblica nella cosiddetta “lista Istat” rimandata di… un anno.

Come dire?! Un (piccolo) sospiro di sollievo per un “public service broadcaster” costretto dal Governo ad una esistenza sopravvivenziale erratica, senza respiro strategico e senza alcuna certezza futura. Una Rai messa in ginocchio dal Governo ritardatario e da un Parlamento connivente.

Il “caso Carlo Verdelli” (autore di un controverso piano di riforma delle news Rai) che si è dimesso il 3 gennaio 2017 (ha dichiarato “non posso continuare a lavorare a qualcosa e in una realtà dove il mio sforzo non trova riscontro”, decisione assunta dopo un agitato Consiglio d’Amministrazione che ha bocciato buona parte del suo progetto di riorganizzazione dell’informazione), è sintomatico di una navigazione “a vista” che priva la televisione pubblica italiana di una “visione” di medio-lungo periodo.

Più precisamente il cosiddetto “Mille Proroghe” ha previsto in verità, nei suoi 15 articoli, decine e decine di differimenti temporali (per l’esattezza, sono 103): in particolare, l’articolo 6, al comma 3, prevede una proroga di ulteriori tre mesi dell’attuale concessione della Rai, che la Legge sull’Editoria aveva già prorogato al 31 gennaio 2017: la scadenza diviene quindi il 30 aprile 2017. Il termine iniziale di 3 mesi è stato trasformato in 6 mesi.

Per amor di precisione, il decreto-legge 30 dicembre 2016 n. 244, all’articolo 6, comma 3, recita: “Al comma 1-sexies dell’art. 49 del Decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, le parole: “novanta giorni” sono sostituite dalle seguenti: “centottanta giorni””. Traduzione: si tratta del comma che ha introdotto la Legge sull’Editoria lo scorso ottobre (anzi, novembre, visto il ritardo con cui è stata pubblicata), ovvero la Legge 26 ottobre 2016, n. 198, che all’art. 9, comma 1, ha determinato alcune modifiche dell’articolo 49 del “Testo Unico della Radiotelevisione” cioè, appunto, il Dlgs. n. 177/2005, decreto legislativo emanato dal Governo Berlusconi II in virtù di legge delega, ovvero la legge 3 maggio 2004 n. 112 (la cosiddetta “Legge Gasparri”, ed in particolare dell’art. 16), tra le quali anche la proroga di 3 mesi (90 giorni) rispetto alla data del 31 ottobre 2016. Ora questi 3 mesi sono diventati 6, e quindi si andrà al 30 aprile 2017, anziché il 31 gennaio. Da ricordare che la data del 31 ottobre 2016 era già una proroga rispetto a quella del 6 maggio 2016 (che aveva introdotto il Testo Unico, e nota da 10 anni), che era stata inserita nel nuovo Codice degli Appalti (all’art. 216, comma 24, del Decreto Legislativo 18 aprile 2016, n. 50).

Siamo, in pratica, alla terza proroga, e la data del 30 aprile 2017 arriva ad un anno di distanza rispetto alla prima del 6 maggio 2016!

Il successivo comma 4, sempre dell’articolo 6, differisce al 1° gennaio 2018 gli effetti della “spending review” per la Rai, che viene così sostanzialmente esclusa dal “perimetro Istat” della Pubblica Amministrazione. Sostanzialmente, per un anno ancora, la Rai è libera da ulteriori vincoli particolari su appalti, acquisti, assunzioni, ovvero – esemplificativamente –non deve mettere in atto concorsi pubblici per le assunzioni né fare riferimento a Consip per acquistare beni e servizi. Il comma 4 dell’articolo 5 sposta al 1° gennaio 2018 “gli effetti delle norme finalizzate al contenimento di spesa pubblica in materia di gestione, organizzazione, contabilità, finanza, investimenti e disinvestimenti”: ciò “al fine di assicurare il pieno ed efficace svolgimento del ruolo istituzionale e societario attribuito” alla Rai.

Da segnalare – en passant – che il “Mille Proroghe” prevede, sempre all’articolo 6, anche altri due provvedimenti in materia di comunicazione: proroga al 31 dicembre 2017, ovvero di un anno, il divieto di proprietà incrociata tra chi ha più di una rete televisiva nazionale e quotidiani nazionali (comma 1), e stanzia altri 10 milioni di euro per l’anomalo caso di un servizio privato/pubblico qual è Radio Radicale (comma 2)… Entrambe queste decisioni saranno oggetto di ulteriori nostri approfondimenti.

La decisione “sotto tono” assunta dal Governo appare come un pannicello caldo – come s’usa dire a Roma – a fronte di un malessere profondo che attanaglia Viale Mazzini.

Alcuni addirittura già scommettono su possibili dimissioni anche del Direttore Generale Antonio Campo Dall’Orto, venuto meno l’asse privilegiato (fiduciario, se non amicale) con l’ex Premier.

Il Dg potrebbe essere peraltro sfiduciato dallo stesso Cda Rai, se si venisse a determinare una maggioranza significativa: ed alcuni rimarcano che costringere Verdelli alle dimissioni sta a significare una sostanziale sfiducia nei confronti dello stesso Campo Dall’Orto.

L’Usigrai coglie la palla al balzo, e dichiara esplicitamente che “il fallimento di questo vertice non si può esaurire nelle dimissioni di Verdelli”. Continua il sindacato dei giornalisti Rai: la prospettata creazione della nuova struttura “è la principale, e nei fatti unica, scelta dell’attuale vertice sull’informazione. Questa vicenda non può chiudersi qui. La censura Anac, la sanzione per comportamento antisindacale, ora le dimissioni di Verdelli: il vertice Rai deve render conto con urgenza di scelte disastrose. Anche perché non è credibile che il Direttore Generale non fosse a conoscenza della linea scelta dal direttore editoriale. Non assisteremo in silenzio alla delegittimazione della Rai Servizio Pubblico causata da un vertice inadeguato”.

Accantoniamo il “caso Verdelli”, eclatante anche nella sua sintomaticità, e segnaliamo come la vicenda della “concessione” dello Stato per il servizio pubblico radiotelevisivo rappresenti purtroppo una storia “tipicamente” italiana.

Pochi hanno notato (nessuno, in Italia, ci sembra, almeno sui media “mainstream”) che, nel frattempo, nel Regno Unito a fine anno è stata puntualmente approvata la “Royal Charter”, che scadeva a dicembre 2016 (un interessante commento critico comparativo è stato proposto da Luca Baldazzi e Piero De Chiara in un intervento su “Articolo21” il 19 novembre 2016, intitolato “Rai. Istruzioni per il rinnovo della concessione”). E si noti che non si è trattato di modifiche di poco conto, visto che è stato raso al suolo il Bbc Trust (organo di 12 membri, preposto alla tutela dell’imparzialità e della qualità dei contenuti, “modello” peraltro a lungo inseguito anche da noi…) e le competenze di “external regulator” sul “psb” britannico sono state affidate ad Ofcom (ci domandiamo… che succederebbe se in Italia il controllo sulla Rai venisse affidato all’Agcom!).

Curiosamente, ciò è avvenuto malgrado lì, come da noi, ci siano stati di mezzo sia un referendum (e saranno tutti d’accordo che quello sulla Brexit abbia avuto una portata “leggermente” superiore rispetto a quello referendario italiano….) sia un cambio di Governo, con le dimissioni di David Cameron e la nomina di Theresa May (e nessuno credo vada in giro a gridare al “golpe”, perché il nuovo Governo non è uscito dalle elezioni…).

Nessuno però nel Regno Unito si è sognato di… prorogare alcunché!

Eppure in Italia molti dichiarano di ispirarsi sempre alla mitica… Bbc, e da quel “modello” è stata sostanzialmente scopiazzata anche l’idea della tanto decantata consultazione pubblica “CambieRai”, procedura introdotta dalla Legge n. 220/2015 di riforma della “governance” Rai.

Sia anche consentito osservare che ben 192.000 risposte sono arrivate, nel Regno Unito, rispetto alla consultazione, avviata nel luglio 2015 e chiusa nell’ottobre dello stesso anno, promossa dal Dipartimento per la Cultura, i Media e lo Sport (Dcms). Da segnalare che ben l’81% di coloro che hanno risposto al “Green Paper” del Dcms, ha dichiarato che la Bbc sta “serving its audience” bene o benissimo… Ricordiamo invece, dal sondaggio italico, gli sconfortanti risultati: della “qualità”? Per il 56% dei rispondenti, la Rai non rispetta la propria missione; della “diversità”? Per il 57%, il giudizio è negativo (la rispetta “poco” o “per niente”); della “trasparenza”? Il giudizio è negativo secondo il 65% dei rispondenti; e l’“innovazione”?! Bocciatura estrema, qui, con valori negativi per il 77% dei rispondenti!

In verità, il Sottosegretario alle Comunicazioni Antonello Giacomelli, nel luglio del 2016, si fece gran vanto della “quantità” di rispondenti alla consultazione “CambieRai” (chiusa il 30 giugno 2016), rimarcando come le 11.188 persone rispondenti rappresentassero un “campione” significativo (pur non rappresentativo dell’“universo” di riferimento), di dimensioni… maggiori rispetto ad una “analoga survey online” proposta da Bbc, alla quale avrebbero risposto “soltanto 7.666 utenti”. In verità, la consultazione italica “CambieRai” ha sì registrato 11.188 partecipanti, ma non è dato sapere quanti siano stati effettivamente i rispondenti reali (bastava infatti disporre di due o tre account, per poter inviare più risposte, non essendovi controlli di sorta), e comunque le risposte complete pervenute son state alla fin fine 9.156, e peraltro molte perplessità sono emerse nella impostazione del sondaggio e nella stesura dei risultati elaborati dall’Istat (si legga “Key4biz” del 27 luglio 2016, “Consultazione Rai: perché i quesiti sono stati malposti?”).

Francamente, ci sfugge il riferimento alla “survey” richiamata da Giacomelli (la “celebre consultazione della Bbc”, commentò con compiaciuta ironia il Sottosegretario), ma ci impressiona, al di là della radicale diversità dei risultati, la quantità di risposte pervenute al sondaggio promosso dal Department for Culture, Media and Sport (che, per alcuni aspetti, è in parte l’omologo del Sottosegretariato alle Comunicazioni del Ministero dello Sviluppo Economico, ma forse meglio sarebbe stato se anche in Italia il sondaggio fosse stato promosso dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo): 192.000 risposte nella consultazione sulla Bbc (tra email, risposte all’“online survey” e lettere) a fronte delle 9.000 relative nella consultazione sulla Rai (risposte all’“online survey”). Un rapporto di 21 ad 1. Giacomelli ha ricordato infatti le 7.666 risposte al sondaggio online sulla Bbc, ma graziosamente ha dimenticato le 185mila email e lettere!

Da ricordare che altre decine di migliaia di cittadini britannici sono stati coinvolti in una parallela “public consultation”, promossa dal Bbc Trust, che ha ricevuto 40.000 risposte in una prima fase, e, a seguito della pubblicazione delle proposte contenute nel documento “British, Bold, Creative”, si son registrate ulteriori 11.000 risposte.

Sia consentito osservare: quelli britannici sono numeri da… “consultazione popolare”, non quelli italiani!

Infine, una nota “di colore”: l’indebolimento della forza di Antonio Campo Dall’Orto (essendo saltato il “dominus” Renzi) potrebbe determinare anche conseguenze… relazionali e spaziali, rispetto al ruolo del Consiglio di Amministrazione Rai. Come è noto, l’attuale Cda ha regole che impongono logiche spartane: basti ricordare che ai membri del Cda non è stata concessa la chance di disporre di un assistente, ed i consiglieri debbono condividere la stanza, due a due. Misure in verità discretamente surreali. Perché, se è vero che talvolta in passato alcuni consiglieri hanno abusato della chance di cooptare dall’esterno un collaboratore di fiducia (scelto discrezionalmente, su criteri fiduciari personali, anche senza pre-requisiti professionali all’altezza dell’incarico), sarebbe stato sufficiente proporre ai consiglieri di avvalersi di un assistente scelto all’interno dell’azienda stessa, o imporre comunque dei criteri selettivi di filtro tecnico in caso di scelta dall’esterno.

E come si può seriamente pretendere che un ruolo delicato come quello del Consigliere di Amministrazione Rai non preveda la chance di disporre di uno spazio adeguato, autonomo e personale (e finanche riservato), a Viale Mazzini?! Anche queste sono piccole “banali” ragioni di economia politica simbolica, nella dinamica di crescente scollamento in essere da tempo tra Dg e Cda… Peraltro, alcuni ben informati malignano che le stanze sono state “ridotte”, anche per far spazio ad alcuni fiduciari diretti del Dg: in effetti, mai era accaduto, nella storia del mitico “settimo piano” della Rai, che due spaziose stanze (nelle quali prima lavoravano due consiglieri di amministrazione), fossero assegnate a due fiduciari del Dg: specificamente Giovanni Parapini, Direttore della Comunicazione e delle Relazioni Esterne Rai, e Gian Paolo Tagliavia, Direttore Rai Digital, entrambi cooptati da Campo Dall’Orto dall’esterno… Coloro che ritengono ormai inevitabile un “riequilibrio” delle asimmetrie tra super-potere del Dg e potere finora ridimensionato del Cda prevedono che, tra qualche settimana, anche il settimo piano possa divenire lo scenario di ri-assegnazioni… spaziali e relazionali, simboliche e non.

Exit mobile version