Nel mentre continua il tortuoso e complicato e lento percorso della nuova direttiva europea sul diritto d’autore (approvata ieri dalla Commissione Giuridica del Parlamento con 16 voti favorevoli e 9 contrari), quel che appare stupefacente è l’assenza di un serio dibattito in materia nel nostro Paese: di fatto, il Governo non assume una posizione netta e chiara, soprattutto a causa delle “contraddizioni interne” della componente grillina dell’esecutivo, che, ancora affascinata dalle potenzialità “rivoluzionarie” del web, non sembra voler comprendere i rischi latenti che possono derivare da un atteggiamento passivo ed inerziale.
Nel mentre continua il tortuoso e complicato e lento percorso della nuova direttiva europea sul diritto d’autore (approvata ieri dalla Commissione Giuridica del Parlamento con 16 voti favorevoli e 9 contrari), quel che appare stupefacente è l’assenza di un serio dibattito in materia nel nostro Paese: di fatto, il Governo non assume una posizione netta e chiara, soprattutto a causa delle “contraddizioni interne” della componente grillina dell’esecutivo, che, ancora affascinata dalle potenzialità “rivoluzionarie” del web, non sembra voler comprendere i rischi latenti che possono derivare da un atteggiamento passivo ed inerziale.
La questione è importante e strategica, e va ben oltre la irrisolta contrapposizione tra Siae e Soundreef (una concorrenza ancora virtuale, a partire dalle ben diverse dimensioni dei due “attori”): il problema essenziale è la coscienza (o meno) da parte del Governo della centralità della tutela del diritto d’autore nell’economia delle industrie culturali e creative, e quindi nella difesa della nostra identità nazionale (anche i “sovranisti” dovrebbero condividere questa esigenza, ma pure da quel fronte, culturale e politico, emerge… assordante silenzio).
Senza dimenticare che la rivoluzione tecnologica del digitale (vedi alla voce “disrumption”…) determinerà conseguenze tecniche e legali e empiriche anche nelle pratiche di gestione del diritto d’autore: già c’è infatti chi teorizza che procedure come la “blackchain” (nell’economia complessiva dei “big data”) mettono in discussione il ruolo stesso delle tradizionali “collecting society”: chi “governa” politicamente in Italia questi fenomeni dal potenziale sconvolgente?!”.
Stupisce, per esempio, che un appello – nella forma di una “lettera aperta” a Beppe Grillo – lanciato qualche giorno fa dall’Associazione Nazionale Autori Cinematografici (Anac), nella persona del Presidente Francesco Ranieri Martinotti, sia stato ignorato da tutti (testate quotidiane, su carta o web che sia) fatta salva l’eccezione unica de “la Repubblica” (edizione internet di sabato 23 febbraio), e sia stato politicamente rilanciato soltanto dalla appassionata europarlamentare del Partito Democratico Silvia Costa (già Presidente della Commissione Cultura del Parlamento Europeo)…
Scrive Francesco Ranieri Martinotti, nella sua “lettera aperta” a Beppe Grillo: con la Direttiva, “si gioca una partita fondamentale a tutela dell’equo compenso per le opere diffuse su web”; Martinotti rimarca un principio di “equità fiscale”, sostenendo che “i sei giganti del web tutti insieme hanno pagato in Italia ne 2017 soltanto 14 milioni di euro di tasse, gli autori tramite la Siae ne hanno versati 250 milioni”; (…) “con l’approvazione della Direttiva e l’equa remunerazione degli autori, le relative tasse sugli utili potrebbero come minimo triplicarsi, con un beneficio annuo di almeno 500 milioni di euro per l’erario”; e conclude “in quanto autore che vive da sempre della sua creatività, queste cose lei le conosce bene, per questo nell’ultima delicatissima fase dell’approvazione le chiediamo di voler prendere una posizione pubblica in favore della Direttiva sul Copyright, affinché l’azione condotta dagli autori ed editori italiani, assieme ai colleghi di tutta Europa, si avvalga anche del suo sostegno per rendere consapevole il nostro governo della situazione”.
No feedback dal fondatore del Movimento 5 Stelle: perché Beppe Grillo non si pronuncia?!
Ha dichiarato ieri Silvia Costa (iscritta al gruppo Pd/Socialista & Democratici-S&D, di cui è Portavoce per la cultura): “il via libera della Commissione Giuridica alla riforma del copyright, con 16 voti a favore e 9 contrari, è un segnale importante. La mia e nostra speranza è che questa posizione venga confermata dalla Plenaria il prossimo mese a Strasburgo, l’ultimo step di questa lunga battaglia. Non smetterò mai di ripetere che questa è una campagna di civiltà e di democrazia, perché il digitale non diventi un far west, ma un ambiente sano, equilibrato, dove convivono diritti, doveri, libertà e responsabilità. Per tutti, e non per pochi”.
Silvia Costa contesta la posizione assunta da alcuni esponenti grillini che, ancora una volta, lamentano il rischio di “censura” del web: “trovo assurde e arroganti le accuse di chi, come il nostro governo e gli eurodeputati 5 Stelle, invoca il rischio censura nella rete. Nessuna link tax: gli utenti possono stare tranquilli e continuare a condividere liberamente articoli online; nessun filtro alla libertà di espressione: chiediamo solo maggiore responsabilità a quelle piattaforme online che memorizzano, indicizzano e danno accesso a contenuti protetti da copyright, facendo lauti guadagni a discapito dei detentori dei diritti, di artisti e giornalisti”.
L’europarlamentare si schiera con l’Anac: “non stiamo parlando di mantenere dei privilegi, ma di riconoscere un semplice principio di equità per il settore culturale, creativo, artistico e giornalistico in Europa. Per questo condivido l’appello del Presidente dell’Anac, Francesco Ranieri Martinotti rivolto a Beppe Grillo, per sensibilizzarlo sul perché questa direttiva è necessaria anche allo sviluppo economico del nostro Paese”.
Naturale la domanda: perché l’appello dell’Anac è caduto nel vuoto (quasi) assoluto, ovvero nel silenzio (quasi) totale?!
Perché una questione così rilevante per il futuro del sistema culturale nazionale non suscita in Italia un dibattito approfondito, accurato, equilibrato?!
Come abbiamo segnalato più volte anche su queste colonne, il problema è “metodologico” (di deficit cognitivo) prima che “ideologico”: nessuno in Italia ha ancora studiato con adeguata attenzione l’economia della creatività, e quindi le politiche culturali (complessive e settoriali) si confermano deboli, incerte ed erratiche.
Le conseguenze si toccano con mano rispetto all’incerto ruolo del “public service broadcaster” assegnato a Rai (quel che sta avvenendo a Viale Mazzini è preoccupante) così come rispetto al perdurante (sancito per legge) ma purtroppo incerto (a causa dei dubbi del Governo) ruolo di “ente pubblico economico a base associativa” assegnato alla Siae.
Rispetto alla Rai, il silenzio del dibattito politico-partitico è incredibilmente totale, a “destra” a “sinistra” al “centro” (sindacati inclusi): perché questo sconfortante disinteresse?!
Rispetto alla battaglia europea per la direttiva sul diritto d’autore ma anche rispetto alla possibile Siae futura, la tematica non stimola l’interesse istituzionale e politico (e l’attenzione dei media): perché questa sconfortante inerzia?!
Le due tematiche sono peraltro intimamente connesse, e d’altronde nessuno ricorda mai che Siae è socia della Rai: per quanto con una quota di soltanto lo 0,44 per cento (le restanti quote sono in mano al Mise – Ministero per lo Sviluppo Economico), la Società Italiana Autori Editori è infatti azionista di minoranza della Rai.
Una visione evoluta della politica culturale avrebbe potuto prevedere che il socio di minoranza Siae potesse esprimere un proprio consigliere di amministrazione nel cda Rai, non in quanto detentore di una quota azionaria sostanzialmente simbolica, ma in quanto rappresentante di una massa di oltre 90mila autori italiani. La contestata legge piddina di riforma della Rai, tanto voluta dal “decisionista” Matteo Renzi, ha innovato, nella composizione del Cda di Viale Mazzini, introducendo il consigliere rappresentante dei dipendenti (eletto Riccardo Laganà), ma si poteva avere maggiore coraggio, ed attribuire alla comunità creativa italiana un ruolo anche nel Consiglio di Amministrazione del “psb” nazionale… Gli autori hanno o no una centralità essenziale nel sistema culturale?
Non meno incredibile è la totale assenza di presa di posizione della Rai sulla vicenda del diritto d’autore: certo, esiste un qual certo “conflitto d’interessi” (Rai paga a Siae decine di milioni di euro l’anno di diritti d’autore, ed ha al contempo in Siae il proprio socio di minoranza), ma forse Viale Mazzini avrebbe potuto promuovere almeno un pubblico dibattito in materia…
La questione essenziale è sempre la stessa: tutti crediamo nelle potenzialità rivoluzionarie del web, ma pochi studiano come si possa (si debba) passare dalla teoria ai fatti, dalla retorica alla pratica.
Quel che sfugge ai più è che la “teoria della disintermediazione” è affascinante per le sue potenzialità (per l’economia così come per la democrazia), ma per ora sta producendo effetti concreti non esattamente positivi (almeno nel breve-medio periodo), ovvero: impoverimento dell’economia della creatività e deriva demagogica della politica.
In Italia, tutte le professioni culturali soffrono infatti di processi striscianti di depauperizzazione diffusa e la democrazia diretta teorizzata dai Casaleggio non ci sembra stia producendo effetti realmente innovativi, almeno in termini di qualità tecnica del “policy making”.
Peraltro, indebolendo inerzialmente il ruolo di “player” come Rai e Siae in nome della “manna” da web e di un “libero mercato” concorrenziale finora del tutto teorico (ovvero non affrontando di petto il loro profilo identitario ed il loro ruolo sul mercato della cultura), in assenza di una strategia organica di “policy making” di medio-lungo periodo, si corre il rischio di provocare (e di subire passivamente) un processo di progressivo impoverimento – economico e semantico – del sistema culturale nazionale.
Sarebbe opportuno che governo e opposizione (e finanche media) affrontino finalmente queste tematiche, strategiche e delicate, con l’attenzione che richiedono. Ed una qualche sensibilità potrebbe essere finalmente manifestata anche dalla società civile, terzo settore in primis, ma purtroppo anche queste preziose anime del Paese reale tacciono.
La questione è importante e strategica, e va ben oltre la irrisolta contrapposizione tra Siae Soundreef (una concorrenza ancora virtuale, a partire dalle ben diverse dimensioni dei due “attori”): il problema essenziale è la coscienza (o meno) da parte del Governo della centralità della tutela del diritto d’autore nell’economia delle industrie culturali e creative, e quindi nella difesa della nostra identità nazionale (anche i “sovranisti” dovrebbero condividere questa esigenza, ma pure da quel fronte, culturale e politico, emerge… assordante silenzio).
Stupisce, per esempio, che un appello – nella forma di una “lettera aperta” a Beppe Grillo – lanciato qualche giorno fa dall’Associazione Nazionale Autori Cinematografici (Anac), nella persona del Presidente Francesco Ranieri Martinotti, sia stato ignorato da tutti (testate quotidiane, su carta o web che sia) fatta salva l’eccezione unica de “la Repubblica” (edizione internet di sabato 23 febbraio), e sia stato politicamente rilanciato soltanto dalla appassionata europarlamentare del Partito Democratico Silvia Costa (già Presidente della Commissione Cultura del Parlamento Europeo)…
Scrive Francesco Ranieri Martinotti, nella sua “lettera aperta” a Beppe Grillo: con la Direttiva, “si gioca una partita fondamentale a tutela dell’equo compenso per le opere diffuse su web”; Martinotti rimarca un principio di “equità fiscale”, sostenendo che “i sei giganti del web tutti insieme hanno pagato in Italia ne 2017 soltanto 14 milioni di euro di tasse, gli autori tramite la Siae ne hanno versati 250 milioni”; (…) “con l’approvazione della Direttiva e l’equa remunerazione degli autori, le relative tasse sugli utili potrebbero come minimo triplicarsi, con un beneficio annuo di almeno 500 milioni di euro per l’erario”; e conclude “in quanto autore che vive da sempre della sua creatività, queste cose lei le conosce bene, per questo nell’ultima delicatissima fase dell’approvazione le chiediamo di voler prendere una posizione pubblica in favore della Direttiva sul Copyright, affinché l’azione condotta dagli autori ed editori italiani, assieme ai colleghi di tutta Europa, si avvalga anche del suo sostegno per rendere consapevole il nostro governo della situazione”.
No feedback dal fondatore del Movimento 5 Stelle: perché Beppe Grillo non si pronuncia?!
Ha dichiarato ieri Silvia Costa (iscritta al gruppo Pd/Socialista & Democratici-S&D, di cui è Portavoce per la cultura): “il via libera della Commissione Giuridica alla riforma del copyright, con 16 voti a favore e 9 contrari, è un segnale importante. La mia e nostra speranza è che questa posizione venga confermata dalla Plenaria il prossimo mese a Strasburgo, l’ultimo step di questa lunga battaglia. Non smetterò mai di ripetere che questa è una campagna di civiltà e di democrazia, perché il digitale non diventi un far west, ma un ambiente sano, equilibrato, dove convivono diritti, doveri, libertà e responsabilità. Per tutti, e non per pochi”.
Silvia Costa contesta la posizione assunta da alcuni esponenti grillini che, ancora una volta, lamentano il rischio di “censura” del web: “trovo assurde e arroganti le accuse di chi, come il nostro governo e gli eurodeputati 5 Stelle, invoca il rischio censura nella rete. Nessuna link tax: gli utenti possono stare tranquilli e continuare a condividere liberamente articoli online; nessun filtro alla libertà di espressione: chiediamo solo maggiore responsabilità a quelle piattaforme online che memorizzano, indicizzano e danno accesso a contenuti protetti da copyright, facendo lauti guadagni a discapito dei detentori dei diritti, di artisti e giornalisti”.
L’europarlamentare si schiera con l’Anac: “non stiamo parlando di mantenere dei privilegi, ma di riconoscere un semplice principio di equità per il settore culturale, creativo, artistico e giornalistico in Europa. Per questo condivido l’appello del Presidente dell’Anac, Francesco Ranieri Martinotti rivolto a Beppe Grillo, per sensibilizzarlo sul perché questa direttiva è necessaria anche allo sviluppo economico del nostro Paese”.
Naturale la domanda: perché l’appello dell’Anac è caduto nel vuoto (quasi) assoluto, ovvero nel silenzio (quasi) totale?!
Perché una questione così rilevante per il futuro del sistema culturale nazionale non suscita in Italia un dibattito approfondito, accurato, equilibrato?!
Come abbiamo segnalato più volte anche su queste colonne, il problema è “metodologico” (di deficit cognitivo) prima che “ideologico”: nessuno in Italia ha ancora studiato con adeguata attenzione l’economia della creatività, e quindi le politiche culturali (complessive e settoriali) si confermano deboli, incerte ed erratiche.
Le conseguenze si toccano con mano rispetto all’incerto ruolo del “public service broadcaster” assegnato a Rai (quel che sta avvenendo a Viale Mazzini è preoccupante) così come rispetto al perdurante (sancito per legge) ma purtroppo incerto (a causa dei dubbi del Governo) ruolo di “ente pubblico economico a base associativa” assegnato alla Siae.
Rispetto alla Rai, il silenzio del dibattito politico-partitico è incredibilmente totale, a “destra” a “sinistra” al “centro” (sindacati inclusi): perché questo sconfortante disinteresse?!
Rispetto alla battaglia europea per la direttiva sul diritto d’autore ma anche rispetto alla possibile Siae futura, la tematica non stimola l’interesse istituzionale e politico (e l’attenzione dei media): perché questa sconfortante inerzia?!
Le due tematiche sono peraltro intimamente connesse, e d’altronde nessuno ricorda mai che Siae è socia della Rai: per quanto con una quota di soltanto lo 0,44 per cento (le restanti quote sono in mano al Mise – Ministero per lo Sviluppo Economico), la Società Italiana Autori Editori è infatti azionista di minoranza della Rai.
Una visione evoluta della politica culturale avrebbe potuto prevedere che il socio di minoranza Siae potesse esprimere un proprio consigliere di amministrazione nel cda Rai, non in quanto detentore di una quota azionaria sostanzialmente simbolica, ma in quanto rappresentante di una massa di oltre 90mila autori italiani. La contestata legge piddina di riforma della Rai, tanto voluta dal “decisionista” Matteo Renzi, ha innovato, nella composizione del Cda di Viale Mazzini, introducendo il consigliere rappresentante dei dipendenti (eletto Riccardo Laganà), ma si poteva avere maggiore coraggio, ed attribuire alla comunità creativa italiana un ruolo anche nel Consiglio di Amministrazione del “psb” nazionale… Gli autori hanno o no una centralità essenziale nel sistema culturale?
Non meno incredibile è la totale assenza di presa di posizione della Rai sulla vicenda del diritto d’autore: certo, esiste un qual certo “conflitto d’interessi” (Rai paga a Siae decine di milioni di euro l’anno di diritti d’autore, ed ha al contempo in Siae il proprio socio di minoranza), ma forse Viale Mazzini avrebbe potuto promuovere almeno un pubblico dibattito in materia…
La questione essenziale è sempre la stessa: tutti crediamo nelle potenzialità rivoluzionarie del web, ma pochi studiano come si possa (si debba) passare dalla teoria ai fatti, dalla retorica alla pratica.
Quel che sfugge ai più è che la “teoria della disintermediazione” è affascinante per le sue potenzialità (per l’economia così come per la democrazia), ma per ora sta producendo effetti concreti non esattamente positivi (almeno nel breve-medio periodo), ovvero: impoverimento dell’economia della creatività e deriva demagogica della politica.
In Italia, tutte le professioni culturali soffrono infatti di processi striscianti di depauperizzazione diffusa e la democrazia diretta teorizzata dai Casaleggio non ci sembra stia producendo effetti realmente innovativi, almeno in termini di qualità tecnica del “policy making”.
Peraltro, indebolendo inerzialmente il ruolo di “player” come Rai e Siae in nome della “manna” da web e di un “libero mercato” concorrenziale finora del tutto teorico (ovvero non affrontando di petto il loro profilo identitario ed il loro ruolo sul mercato della cultura), in assenza di una strategia organica di “policy making” di medio-lungo periodo, si corre il rischio di provocare (e di subire passivamente) un processo di progressivo impoverimento – economico e semantico – del sistema culturale nazionale.
Sarebbe opportuno che governo e opposizione (e finanche media) affrontino finalmente queste tematiche, strategiche e delicate, con l’attenzione che richiedono. Ed una qualche sensibilità potrebbe essere finalmente manifestata anche dalla società civile, terzo settore in primis, ma purtroppo anche queste preziose anime del Paese reale tacciono.