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ilprincipenudo. Il difficile rapporto della Chiesa Cattolica con la Rai

Angelo Zaccone Teodosi

Qualche giorno fa, abbiamo avuto il piacere di assistere alla presentazione dell’ultimo libro di Monsignor Dario Edoardo Viganò, attualmente Direttore del Centro Televisivo Vaticano (Ctv) e già Presidente per un decennio della Fondazione della Conferenza Episcopale Italiana (Cei) che si dedica allo studio ed alla promozione dello spettacolo in tutte le sue forme,  l’Ente dello Spettacolo (Feds): si tratta del volume “Il fuoco e la brezza del vento”, pubblicato da Edizioni San Paolo, che affronta una tematica eccentrica, nell’economia complessiva della “mediasfera”, ovvero il rapporto tra la preghiera ed il cinema. Co-autore Dario Cornati, docente di antropologia e metafisica presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Mantova.

#ilprincipenudo ragionamenti eterodossi di politica culturale e economia mediale, a cura di Angelo Zaccone Teodosi, Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) per Key4biz.
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Prendiamo spunto da questa stimolante presentazione, per proporre alcune riflessioni sul rapporto tra la Chiesa cattolica ed il sistema dei media, con particolare attenzione alla situazione italiana ed al ruolo del servizio pubblico radiotelevisivo.

La presentazione è stata organizzata lunedì scorso 2 marzo, nelle belle ed ovattate stanze della Chiesa della Santissima Trinità de’ Monti, ovvero nel Refettorio del Padre Pozzo: c’è quasi sembrato di assistere a un sereno e raffinato quasi surreale consesso intellettuale-spirituale in un’enclave monastica. D’altronde, “la location” era certamente in tema. Silenzio, bellezza, pacatezza, discrezione…

Viganò è un presbitero colto ed elegante, ma anche un fine intellettuale, appassionato studioso di mediologia, autore di decine di saggi (tra i quali ci piace qui ricordare “Il Dizionario della Comunicazione”, che ha curato nel 2009 per i tipi di Carocci), nonché accademico in università laiche oltre che ecclesiali (è tra l’altro professore ordinario di Teologia della Comunicazione alla Lateranense, ove dirige anche il Master in Digital Journalism).

Osservando il disastrato panorama mediale italiano, ed il flusso infinito di banalità e volgarità che esso propone (fatte salve rare eccezioni, nello specifico spiritual-religioso, come alcune incursioni notturne nei palinsesti della Rai, o buona parte della programmazione di Tv2000 – già Sat2000 – giustappunto la televisione della Cei), affrontare la tematica della preghiera sembra quasi una provocazione: intellettuale e spirituale, ma anche civile e politica.

La preghiera è stata oggetto di numerosi interventi cinematografici, anche da parte di autori che si professavano agnostici se non laici, da Andrej Tarkovskji ad Ingmar Bergman, da Pierpaolo Pasolini a Nanni Moretti. Durante la presentazione alla Santissima Trinità dei Monti, sono stati proiettati alcuni estratti di film, piccole sequenze a mo’ di florilegio dei tentativi di alcuni cineasti di “mettere in scena” ovvero “rappresentare” un atto così individuale, intimo e trascendente. Viganò, nel libro, propone una lettura critica di opere come (si rimanda al link delle schede curate da Cinematografo.it, una delle iniziative eccellenti della Feds) Il diario di un curato di campagna (Robert Bresson), Ordet(Carl Theodor Dreyer), La strada (Federico Fellini), Accattone (Pierpaolo Pasolini), La messa è finita(Nanni Moretti), Decalogo (Krzysztof Kieślowski), Le onde del destino (Lars von Trier), Il grande silenzio (Philip Gröning), Lourdes (Jessica Hausner), Uomini di dio (Xavier Beauvois), Il villaggio di cartone (Ermanno Olmi), Philomena (Stephen Frears)…

La presentazione, strutturata come tavola rotonda, è stata organizzata dalla Fondazione Ente dello Spettacolo, in collaborazione con Edizioni San Paolo e le Fraternità Monastiche di Gerusalemme, ed è stata moderata da Don Walter Insero, Rettore della Basilica di Santa Maria in Montesanto. Tra i relatori, anche Don Ivan Maffeis, Vice Direttore dell’Ufficio Nazionale per le Comunicazioni Sociali della Cei, e dal 2014 Presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo (Feds), che ha sostenuto che, “con la sua libertà d’espressione, il cinema è scuola, quando prende per mano la realtà e la apre, coinvolgendo lo spettatore, ponendogli questioni essenziali e lasciandogli intravedere la possibile alternativa. Nel tempo in cui pensiamo di aver già visto tutto, significa tornare a guardare con gli occhi della mente e del cuore, all’insegna di una nuova responsabilità”.

Binomio arduo ed azzardato, quello tra cinema e preghiera: “la preghiera avvicina al mistero, il cinema – mentre si mostra – si sottrae. Il cinema non sopporta una scrittura per concetti, ha bisogno di storie, e, in questa prospettiva, attraverso la fiction televisiva, i copioni recuperano il paradigma della preghiera”, ha ben spiegato Don Viganò (in effetti, Papa Francesco pare preferisca l’uso del predicato d’onore “Don”, invece del più reverenziale “Monsignor”…).

Se il rapporto tra “cinema” e “preghiera” è senza dubbio difficile, quello tra “televisione” e “preghiera” è ancor più critico.

La presentazione del libro di Viganò è stata anche occasione per proporre un esempio di “attualizzazione” della tematica della fede giustappunto nel contesto televisivo, nella narrazione “fictional”: a mo’ di “testimonial”, è stato chiesto a Elena Sofia Ricci di raccontare la propria esperienza nell’interpretare una Suor Angela, religiosa appassionata quanto eterodossa, quale protagonista della serie di successo “Che Dio ci aiuti” (Rai1). Non a caso in prima fila, sedevano Ettore e Luca Bernabei, ovvero parte del “corpo mistico” (mancava Matilde) della Lux Vide, la società di produzione che gestisce quasi monopolisticamente l’ideazione e realizzazione di fiction che potremmo definire “a matrice cattolica”.

È intervenuto anche Monsignor Nunzio Galantino, Segretario Generale della Cei, che ha rimarcato come il saggio di Cornati e Viganò cerchi di “saldare due realtà che sembrano lontane, mettendo assieme film dove ci sono preghiere, e storie dove l’uomo scommette con se stesso, e mette in gioco scelte di vita con un senso nuovo e coraggioso”. Monsignor Galantino ha citato in particolare il film “Uomini di Dio”, ricordando sia la straordinaria testimonianza dei monaci di Tibhirine, il testamento di padre Christian de Chergé, sia le popolazioni del Kurdistan iracheno, perseguitate per la loro fede, che ha incontrato proprio lo scorso ottobre in un suo viaggio a Erbil. A Galantino, avremmo voluto domandare (e forse lo faremo, proprio per “Key4biz”) qual è la posizione della Chiesa Cattolica italiana rispetto alla incontestabile degenerazione dei set valoriali proposto dalla Rai… E ci piacerebbe sapere cosa pensa Papa Francesco della Rai…

Chi ci conosce come ricercatori e chi ci legge anche su queste colonne, sa che non siamo portatori di alcuna fede e certo non impugniamo vessilli moralistici, ma oggettivamente la qualità dell’offerta televisiva complessiva (e media) di Viale Mazzini è scandalosamente bassa: è una televisione prevalentemente asservita alle logiche del capitale, schiava del consumismo e Weltanschauung pubblicitaria, strumento di produzione del consenso politico, amplificatore di conformismo, promotrice di una visione iper-materialistica della realtà.

Dove e come viene rappresentata, in Rai, la visione spirituale dell’esistenza?! Altro che “preghiera”!

Non possono essere le rare trasmissioni impostate su un minimo di cultura spirituale (dalle fiction targate Rai alle semi clandestine rubriche religiose) oppure il monitoraggio giornalistico delle iniziative del Pontefice o programmi come “A Sua Immagine” a poter rappresentare – da sole – una visione altra ovvero non material-materialistica della vita, del sociale, della quotidianità, che pure riteniamo dovrebbero essere proposte dal servizio pubblico.

Per scendere dalla teoria alla pratica, manca in Italia, all’interno del servizio pubblico, un’offerta informativa concentrata su una visione spirituale dell’esistenza, all’altezza della qualità di una testata quotidiana qual è “Avvenire” (si noti bene: indichiamo “Avvenire”, e non “L’Osservatore Romano”).

Non vogliamo sminuire il ruolo di un’emittente di qualità qual è Tv2000, ma essa rientra nel novero dei broadcaster inevitabilmente destinati alle nanoshare, ovvero a svolgere un ruolo, pure importante, di nicchia. Dallo 0,38%, con 2 milioni e 60mila contatti giornalieri del 2012, Tv2000 ha raggiunto nel 2014 uno share medio dello 0,67 % oltrepassando i 3 milioni di spettatori. Con la nuova programmazione (dal maggio 2014, l’emittente è diretta da Paolo Ruffini, già alla guida di Rai3 e La7, che a giugno ha chiamato Alessandro Sortino, ex “Iene”, come direttore creativo), la soglia dell’1 % di share è stata superata (con un budget annuale della tv nell’ordine di 40 milioni di euro).

Crediamo che manchi, da decenni, nell’offerta Rai, un approccio plurale e pluralista, critico, che consenta la indispensabile differenziazione rispetto alle concorrenti emittenti commerciali. Deve essere Rai (non lo si può chiedere a Mediaset) a proporre rappresentazioni alte ed altre della realtà. Rai non deve essere macchina mediale che riproduce l’esistente, ovvero la sua rappresentazione più materialista, mercantile e finanche laida.

Non si tratta di una questione di fede cristiana o cattolica che sia, anche se, va ricordato, che, se la fede cattolica non è ben curata da Rai, i culti altri sono comunque mal trattati se non ignorati da Viale Mazzini. Restano eccezioni alla regola le belle rubriche dedicate alla cultura protestante ed ebraica (“Protestantesimo” e “Sorgente di vita”), [come abbiamo già segnalato anche su queste colonne], ma nessuna attenzione da parte del “psb” italiano rispetto alle fedi buddhiste ed altre. E che dire del disinteresse totale rispetto alla fede islamica, che pure può vantare oltre 1 milioni di credenti sul nostro territorio? Secondo il Censis (46° rapporto, relativo all’anno 2012), si considera cattolico ormai soltanto un 64 per cento degli italiani (ed i praticanti cattolici rappresenterebbero soltanto un 36 per cento della totale della popolazione).

Ma non è un problema di quote e di rappresentazioni percentuali del pluralismo religioso (o ateo) che sia: quel che sembra mancare a Rai è essenzialmente “lo spirito”, la capacità che un “public service broadcaster” deve avere di porsi, coraggiosamente, come soggetto distintivo ed altro rispetto alla omologata offerta della tv commerciale.

Il problema riguarda anche una cultura laica, ovvero una rappresentazione Rai della laicità, che non sia schiava delle logiche del capitalismo.

Manca quasi completamente alla televisione pubblica italiana una minima capacità di proporre una visione spirituale ed alta (che può e forse deve andare anche “oltre” le singole confessioni) e soprattutto critica della realtà.

Manca completamente, alla Rai, la capacità di rappresentare (e rispettare) l’enorme ricchezza di culture e valori che caratterizzano la società italiana, le infinite “minoranze” del Paese: basti ricordare come sia (quasi) completamente assente la rappresentazione delle attività del terzo settore, del volontariato, della solidarietà… E che dire dell’immagine del femminile, delle differenze di “gender”, delle tante aree del disagio (psichico, fisico, sociale) e dell’emarginazione?! Silenzio assordante, o qualche rarissima trasmissione, quasi sempre messa in orari sepolcrali (eccezione alla regola “Tv7”, rotocalco settimanale di approfondimento del Tg1). Programmi come “Hotel 6 Stelle” (la docu-fiction di Rai 3, prodotta da Magnolia in collaborazione con l’Associazione Italiana Persone Down) rappresentano una sorta di foglia di fico delle tante vergogne di Viale Mazzini. Ricordiamo che il Segretariato Sociale della Rai, che pure per anni ha svolto egregia funzione (pur con limitatissime risorse), è stato depotenziato e sostanzialmente asservito alle funzioni del marketing di viale Mazzini. Rai, ovvero del dominio della merce. Rai, ovvero dell’assenza dello spirito.

Che dire, infine, del rapporto con una “minoranza” per antonomasia, qual è quella dei “minori”?! Basti ricordare che, non firmando il “nuovo contratto di servizio”, approvato dalla Commissione parlamentare bicamerale oltre sette mesi fa, Rai e Mise (Ministero per lo Sviluppo Economico) fanno sì che – tra l’altro – una norma rivoluzionaria non si concretizzi: l’abolizione della pubblicità sul canale per bambini, Rai Yoyo.

A qualcuno, evidentemente, questa non-firma del contratto interessa: ad Upa, per esempio, che certo non apprezza qualsivoglia riduzione delle possibili pianificazioni mediali. E, in tempi di crisi della raccolta pubblicitaria, Sipra piangerebbe, anche soltanto per la perdita di una decina di milioni di euro (questa è la stima del budget di Rai Yoyo). E stendiamo altro velo pietoso su una vicenda in qualche modo correlata (i minori e loro teorica tutela), che in un Paese civile rappresenterebbe un imbarazzo infinito (ovvero uno scandalo da prima pagina), del Comitato “Media e Minori”, che, per legge, dovrebbe “monitorare” criticamente l’offerta televisiva (e mediale!) destinata a bimbi/e e ragazzi/e: il Comitato è stato di fatto liquidato, ma sembra essere soltanto l’Aiart, ovvero l’associazione dei radiotelespettatori cattolici, a lamentarsene, “vox clamans in deserto”, nello sconfortante disinteresse dei più e nel letargo conclamato dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni

Ci permettiamo di suggerire alla Conferenza Episcopale Italiana di promuovere un seminario di studio su queste tematiche, nel quale coinvolgere naturalmente anche non credenti e credenti di fedi altre.

Un’analisi approfondita ed aggiornata del rapporto tra Rai e Chiesa italiana non è ancora stata pubblicata. Un saggio organico su questa tematica complessa (Viganò potrebbe certamente cimentarsi nell’ambiziosa intrapresa) riteniamo potrebbe essere sintetizzato attraverso la metafora (per non essere di parte, non strumentalizziamo una qualche citazione biblica) di un laido padrone (la dirigenza apicale di viale Mazzini ed i cda “pro tempore” che si sono avvicendati negli anni) dedito alla crapula continua, che concede al servo filosofo (Santa Romana Chiesa ed i fedeli di ogni religione) le ossa del tacchino che ha spolpato, e qualche briciola del ricco banchetto.

Ahinoi, siamo costretti a rimpiangere la Rai di Bernabei (appunto).

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