Questa mattina, presso l’Auletta dei Gruppi Parlamentari della Camera dei Deputati a Campo Marzio, il Movimento 5 Stelle ed in particolare Angelo Tofalo (rappresentante dei grillini nel Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica – Copasir) ha promosso un seminario di riflessione intitolato “Intelligence collettiva: un giorno nei servizi segreti”.
Si tratta della quarta edizione di una iniziativa di riflessione critica su queste tematiche promossa da Tofalo, giovane deputato (classe 1981) salernitano, ingegnere di professione, la cui relativa notorietà è stata codeterminata dall’uso provocatorio in aula dell’espressione “boia chi molla” (che stimolò nel gennaio 2014 accese polemiche ed un richiamo da parte della Presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini).
Nelle precedenti edizioni dell’iniziativa di Tofalo era stata dedicata attenzione alla storia dei servizi segreti italiani, al cambiamento che hanno subìto dopo l’avvento e la diffusione capillare di internet e alla sicurezza dello spazio cibernetico. Si legge nella biografia del parlamentare (laureato in ingegneria), sul suo stesso blog: “a settembre 2016, ho conseguito il Master di II livello in Intelligence e Sicurezza: 1500 ore, n. 60 Crediti Formativi presso la Link Campus University. Tesi di Master II livello: “Intelligence Collettiva: un futuro modello di gestione della comunicazione pubblica ex ante, in itinere, ex post evento critico”. E precisa: “votazione: 110 e Lode”. Todaro ha anche promosso un sito web dedicato, denominato “Intelligencecollettiva”, insieme a Felice Casson, Paola Giannetakis, Aldo Giannulli, Biagio Tampanella: iniziativa interessante (si poneva come “primo portale partecipato sui temi dell’intelligence e della sicurezza”), che pure sembra essersi inspiegabilmente fermata ad inizio dell’anno scorso.
Chi redige queste noterelle, si interessa anche di “intelligence” perché lo studio delle dinamiche mediologiche e l’elaborazione di scenari di sviluppo delle industrie culturali evidenzia una crescente interazione tra le comunicazioni di massa e la comunicazione individuale (cultura / media / web / intelligence…). Nell’epoca del digitale pervasivo, il confine storico tra media “mainstream” e corrispondenza epistolare e l’esposizione pubblico-privata degli individui è ormai un concetto sempre più labile, così come il concetto di “sicurezza” (e tutela della “privacy”) è sempre più complesso e pervasivo, tra “sogni” e “bisogni” dell’umana avventura, tra materiale ed immateriale…
Qualificati esperti indipendenti sostengono che il sistema informativo dell’“intelligence” italiana sia indegno di un Paese moderno: arcaico e frammentato, deficitario di tecnicalità e di… intelligenza!
La storia della Repubblica Italiana è peraltro – essa stessa – la dimostrazione di un intreccio continuo tra dinamiche istituzionali corrette ed interventi disturbanti da parte di soggetti che definire “servizi deviati” è un’ipocrisia: i servizi segreti italiani sono deviati geneticamente, perché questo settore delicatissimo – e sempre più strategico – della sicurezza statale è stato affidato, nel corso dei decenni, a persone non provviste della adeguata qualificazione tecnico-professionale e non sempre esattamente oneste cultrici del “senso dello Stato”.
Basti ricordare che si entrava a far parte dei servizi attraverso un oscuro e vischioso meccanismo di cooptazioni a catena, nel quale ha finito per prevalere la logica degli “amici degli amici”, dei clan e delle clientele (senza dimenticare degenerazioni familistiche e finanche erotiche…).
Se è vero che – ovviamente – non tutta l’attività dei servizi segreti può essere sottoposta alla trasparenza tipica delle (altre) “pubbliche amministrazioni”, è altrettanto vero che in Paesi più seri del nostro lo stato delle conoscenze pubbliche sulla struttura e l’organizzazione dei servizi è molto più evoluto, i livelli di tecnicalità dei servizi sono molto più avanzati, e la selezione del personale affidata a criteri meritocratici e trasparenti. Non tutti lo sanno, ma per entrare in un’agenzia come la mitica Cia – Central Intelligence Agency, si procede, da molti anni, attraverso un modulo di autocandidatura su web: in Italia, questa procedura è stata avviata soltanto a fine 2011. Sul sito web dei servizi segreti italici www.sicurezzanazionale.gov.it sono arrivate in pochi mesi 16.500 domande (l’85 % da uomini e il 15 % da donne); 3.400 candidati hanno risposto a tutte le domande previste nel test, e tra questi sono stati scremati 40 potenziali agenti, altri 15 sono stati selezionati dalle università (attraverso un percorso selettivo avviato nel 2009).
Anche senza cedere alla tentazione “complottista” (ovvero al tentativo di “spiegare” i tanti accadimenti controversi della storia del nostro Paese chiamando in causa l’intreccio inevitabilmente sempre perverso tra istituzioni, poteri forti, lobby, massonerie ed altre fratellanze, con un pizzico di Vaticano in salsa agrodolce…), è evidente che la storia lontana e recente del nostro Paese è stata influenzata – verosimilmente spesso inquinata e distorta – da dinamiche la cui lettura sfugge ai più.
Il fantasma della P2 è l’epifenomeno di processi complessi sui quali riteniamo che né la magistratura né la politica siano mai riusciti a fare chiarezza: o, peggio, non abbiano voluto fare chiarezza fino in fondo. Soprattutto la seconda (la politica, la politica peggiore), a causa di convivenze di interessi.
D’altronde, la corruzione e la criminalità hanno necessità di habitat poco trasparenti: come non ricordare l’efficace metafora di “porto delle nebbie” spesso ancora oggi utilizzata per descrivere alcune dinamiche insane della Procura di Roma?!
Questa mattina, speravamo di ascoltare qualcosa di innovativo e critico, ma veramente enorme è stata la delusione nell’assistere ad una profusione di banalità, indegne del consesso istituzionale che le ha ospitate.
Una buona metà delle tre ore della kermesse è stata peraltro assorbita da un incredibile gioco “di simulazione”, che ha utilizzato le logiche del videogame nel tentativo (ci si consenta: infantile) di dimostrazione “concreta” (sic) delle difficoltà che deve affrontare – esemplificativamente – un servizio di “intelligence” nazionale, a fronte del rischio di un colpo di Stato di un Paese della sponda Sud del Mediterraneo… Come ha scritto Tofalo sul suo blog: “abbiamo creato uno scenario, la simulazione di un evento critico che voi dovrete gestire da diversi punti di vista… dai differenti livelli della catena di comando”.
Ma ci rendiamo conto dello sciocchezzaio messo in scena? Possiamo anche apprezzare la vocazione “divulgativa” (diffondere una sana cultura della sicurezza), ma è la Camera dei Deputati la “location” adeguata per una simile iniziativa… para-ludica?!
Perché Tofalo non propone piuttosto un simile gioco alla Maria De Filippi nazionale?!
Peraltro, il “sistema” tecnico sperimentato nell’Auletta di Campo Marzio ha subito mostrato le sue falle, dato che la gran parte dei presenti non ha avuto chance di effettivamente interagire con la presidenza del seminario: venivano posti sullo schermo dei quesiti, e si poteva rispondere in vario modo (per esempio, chi qui scrive aveva proposto WhatsApp, ma nessun feedback è pervenuto…).
E nemmeno son stati poi annunciati i risultati del gioco di simulazione, a fine kermesse. Lo stesso parlamentare grillino ha evocato con entusiasmo incomprensibile la dimensione videoludica: “sarete soggetti attivi in una sorta di videogame in cui la missione non è, come nei più diffusi giochi di guerra, attaccare e distruggere qualcuno o qualcosa ma al contrario limitare al massimo i danni sociali, politici ed economici del nostro Paese durante lo svolgimento di un evento critico”. No comment! E, ancora: “per un giorno vestirete i panni di un Agente segreto, di un Analista, del Direttore dei Servizi segreti e del Presidente del Consiglio”. Veramente da non crederci.
Iniziativa degna forse di un allegro seminario universitario (forse non casuale che una buona metà dell’uditorio fosse formato da giovinetti su vent’anni, rare le presenze femminili), ma non di un’occasione seria di dibattito politico-istituzionale alla Camera dei Deputati.
Deludente assai (perché priva di approccio critico e di minima originalità) anche la sortita di due studiosi come il professor Nicola Bonaccini, esperto di comunicazione pubblica, e del prefetto Adriano Soi. Il secondo, in particolare, oggi docente di Security Studies alla Scuola “Cesare Alfieri” dell’Università di Firenze, è stato Responsabile della Comunicazione Istituzionale del Dis – Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza della Repubblica, ovvero dell’insieme degli organi e delle autorità che, nel nostro Paese, hanno il compito di assicurare le attività informative allo scopo di salvaguardare la Repubblica dai pericoli e dalle minacce provenienti sia dall’interno sia dall’esterno. Si ricorda che il “Sistema di Informazione” è composto da: Presidente del Consiglio dei Ministri, Autorità delegata dal Presidente stesso, Comitato Interministeriale per la Sicurezza della Repubblica (Cisr), Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza (Dis), Agenzia Informazioni e Sicurezza Esterna (Aise), Agenzia Informazioni e Sicurezza Interna (Aisi). L’attuale Direttore Generale del Dis è il prefetto Alessandro Pansa (già Capo del Dipartimento di Pubblica Sicurezza del Viminale), che è succeduto all’ambasciatore Giampiero Massolo.
Nel programma annunciato dalle agenzie stampa era previsto anche Aldo Giannulli alla kermesse grillina, ma l’intervento di questo qualificato studioso non si è poi concretizzato.
E, incredibilmente, l’eco della vicenda dei “diabolici” fratelli Giulio e Francesca Maria Occhionero è giunto lontanissimo, nelle delicate parole del leader grillino Luigi Di Maio (uno dei Vice Presidenti della Camera dei Deputati), il quale ha invitato comunque alla massima prudenza rispetto alle indagini in corso, ma ha ovviamente approfittato dell’occasione per criticare l’ex Presidente del Consiglio Matteo Renzi, che aveva pensato di affidare la responsabilità di una parte significativa dell’“intelligence” italiana, ovvero un’agenzia per la “cybersecurity”, al suo amico Marco Carrai. Abbiamo apprezzato che Di Maio abbia sostenuto che, se i fratelli Occhionero riuscivano ad accedere tranquillamente – utilizzando un “malware” peraltro datato – alla corrispondenza telematica personale e privata del Presidente del Consiglio, ciò dimostra che il sistema dell’“intelligence” italiana è… “una groviera”.
Si è domandato retoricamente Di Maio: “se in questo Paese c’è il rischio che due soggetti spiino le massime istituzioni dello Stato, qual è il livello di sicurezza per le imprese e i cittadini? Quale sicurezza c’è in Italia, se c’è il rischio che ci si intrufoli nel computer del presidente del Consiglio?”.
La risposta, caro Parlamentare della Repubblica, anzi Vice Presidente della Camera, crediamo Lei la conosca: nessuna sicurezza! Lei stesso ha manifestato la sua preoccupazione: “come istituzioni, siamo vicini all’anno zero”.
È vero, purtroppo.
Ha sostenuto anche: “la nostra sensazione è che la cybersecurity sia trattata con enorme superficialità rispetto alle sfide del momento”. Bene, giusto, bravo. Ha aggiunto: “Crediamo che il tema della cybersicurezza debba essere affrontato con enorme priorità: per questo nel G7 di maggio a Taormina e nel G20 che si terrà in Germania a luglio, le grandi nazioni del mondo devono affrontare il tema della cybersicurezza e collaborare per garantire soprattutto la sicurezza delle informazioni, delle nostre infrastrutture strategiche e delle nostre imprese”.
Peccato che la kermesse odierna promossa dai Cinque Stelle, commendevole in sé, non abbia purtroppo aggiunto una virgola (basti osservare la totale assenza di documentazione messa a disposizione dei partecipanti), ed abbia invece provocato l’impressione di un discreto velleitarismo (dilettanti allo sbaraglio?!).
Al di là delle belle intenzioni (condivisibili) e dell’apprezzabile senso civico (e politico) dell’iniziativa. Eppure sarebbe bastato leggere alcuni interventi pubblicati da “Key4biz”, per stimolare un dibattito serio ed approfondito! Ci limitiamo a rimandare all’articolo dell’avvocato Gianluca Pomante, “DigiLawyer. Cyberspionaggio: le mail dei nostri governanti non protette?”, e di Francesco Tosato e Michele Taufer, “Cybersecurity, la situazione italiana e gli scenari futuri: la relazione del Ce.S.I.”, per citare soltanto gli articoli pubblicati ieri.
L’iniziativa dei grillini rappresenta una (altra) occasione mancata per provocare un dibattito finalmente serio, approfondito, critico, documentato su una tematica che influenza sempre più sia i destini della politica nazionale ed internazionale sia le nostre vite personali. Da lamentare anche che l’iniziativa grillina non abbia beneficiato dell’attenzione né di Radio Radicale né della web tv della Camera dei Deputati (perché?!): alla faccia della tanto decantata volontà di disseminare pubblicamente al meglio le informazioni…
Si segnala conclusivamente, ai lettori più attenti (di tematiche strategiche come questa, avremmo voluto sentire parlare oggi!), un inquietante articolo tradotto da “Internazionale” nell’edizione del 6 gennaio 2017, tratto dall’elvetico “Das Magazine”, “La politica ai tempi di Facebook”, un’inchiesta, firmata da Hannes Grassegger e Mikael Krogerus, che dimostra inequivocabilmente il nesso intimo tra quel che rendiamo pubblico attraverso i nostri profili “personali” sui “social network” e la ormai diffusa strumentalizzazione di queste informazioni ai fini di interessi commerciali, mediali, politici, utilizzando le tecniche più avanzate della “psicometria” e del “marketing sociale” grazie alla logica dei “big data”.
Il problema, insomma, va ben oltre l’essere ormai noi tutti “tracciati” ed intercettati, dagli “over-the-top” piuttosto che da servizi segreti realmente al servizio dello Stato. Il problema va ben oltre gli Occhionero di turno…
Quel che manca ancora in Italia è una vera e propria “intelligence culturale”…