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ilprincipenudo. Cultura e media in Italia: i numeri del 2015, le priorità del 2016

Angelo Zaccone Teodosi

Senza dubbio alcuno, il governo guidato da Matteo Renzi, a fine 2015, ha veramente smosso le acque del sistema culturale e mediale italiano, dopo molti anni di stagnazione.

Può piacere o non piacere l’indirizzo complessivo, la strategia e/o le tattiche, ma la realtà oggettiva è incontrovertibile: dalla riforma della Rai all’incremento delle risorse destinate alla cultura.

Su queste colonne, abbiamo dato atto dell’apprezzabile inversione di tendenza, rispetto a politiche culturali che, anno dopo anno, hanno registrato in Italia una sconfortante riduzione del budget dello Stato che ha portato il nostro Paese negli ultimi posti delle classifiche dell’intera Unione Europea: il cambiamento è ora avviato, non resta che attendere i concreti risultati nell’economia complessiva del sistema, ma gli interventi sono concreti ed incontestabili.

La soddisfazione di Dario Franceschini è condivisibile: subito dopo l’approvazione della Legge di Stabilità, il 26 dicembre il Ministro dichiarava: “Sopra 2 miliardi di euro il bilancio per la cultura. La cultura è il cuore e l’anima della manovra”. Forse eccessivo l’entusiasmo, ma certamente comprensibile, dopo anni anzi decenni di pianti e tagli.

In sintesi, queste le più importanti novità: incremento del 27% del bilancio del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo nell’anno 2016 (budget che supera quindi quota 2 miliardi di euro), stabilizzazione al 65% dell’“Art Bonus” ovvero delle erogazioni liberali a sostegno della cultura, incremento del “Tax Credit” per il Cinema e l’Audiovisivo a 140 milioni di euro (+ 25 milioni), “Bonus Card” per la cultura per i 18enni, chance per i contribuenti di destinare il 2 per 1.000 dell’Irpef alle associazioni culturali…

Molti altri sono gli interventi previsti, a livello “macro” e “micro” (anche a seguito di innesti apportati durante l’iter della Legge di Stabilità, alcuni dei quali estemporanei, e rientranti nella tipologia “mancia”): ben 500 milioni di euro vengono allocati per la riqualificazione urbana delle periferie (anche se va segnalato che non saranno soltanto le infrastrutture destinate ai servizi culturali a beneficiarne), e, dopo anni di blocco, viene avviato – con una deroga rispetto ai limiti previsti per le assunzioni nelle pubbliche amministrazioni – un concorso straordinario per 500 professionisti del patrimonio culturale (funzionari Mibact assunti a tempo indeterminato, e – si noti bene – non soltanto gli indispensabili antropologi, archeologi, architetti, archivisti, bibliotecari, demoetnoantropologi, restauratori e storici dell’arte, ma anche esperti di promozione e comunicazione).

E, ancora, +30 milioni di euro ogni anno per Archivi, Biblioteche e Istituti del Ministero, dopo anni di crudeli sforbiciamenti di budget.

Aumentano di 16 milioni di euro anche le risorse per i contributi agli istituti culturali, fondazioni e associazioni, raddoppiando rispetto al 2015 (in particolare, 1 milione in più all’Accademia della Crusca e all’Accademia dei Lincei).

Non è finita: 28 milioni di euro in quattro anni per Matera “Capitale Europea della Cultura” 2019; +120 milioni per interventi di valorizzazione, conservazione, manutenzione e restauro dei beni culturali; stanziati 30 milioni, per ciascuno degli anni dal 2016 al 2019, per interventi di conservazione, manutenzione, restauro e valorizzazione dei beni culturali; +70 milioni nel 2017 per il Piano strategico “Grandi Progetti Culturali” e +65 milioni dal 2018.

Confermato il nuovo fondo di 100 milioni di euro annui dal 2016 per interventi di tutela del patrimonio storico artistico della Nazione.

Finalmente decisa la razionalizzazione delle società “in house” del Ministero: la misteriosa Ales incorporerà la misteriosa Arcus, e sarà riorganizzata per assicurare al meglio l’erogazione di servizi culturali, e forse diverrà finalmente uno strumento concreto per le attività di valorizzazione del patrimonio e le attività di “fund raising”… Tra gli interventi “micro”: per l’anno 2016, è istituito un credito d’imposta al fine di attribuire agli studenti dei conservatori di musica e degli istituti musicali pareggiati un contributo di 1.000 euro per l’acquisto di uno strumento musicale nuovo (il credito d’imposta è attribuito al rivenditore dello strumento, il quale anticipa il contributo allo studente che lo acquista).

E che dire, poi, del nuovo inedito strumento per la promozione della cultura?! Il 10% della cosiddetta “copia privata” gestita dalla Siae verrà destinato ai giovani autori: al fine di favorire la creatività dei giovani autori, viene destinato il 10% dei compensi percepiti dalla Società Italiana Autori Editori per copia privata ad attività di produzione culturale nazionale e internazionale, sulla base di un “atto di indirizzo” annuale del Mibact. Si tratta di ben 150 milioni di euro, secondo le previsioni di flusso per il 2016. Sarà interessante leggere il primo atto d’indirizzo del Ministero.

Insomma, da anni anzi da decenni non si assisteva ad interventi così consistenti e policentrici: e da questa seconda caratteristica, vorremmo partire per stimolare una riflessione critica sul senso strategico di questi interventi.

Le risorse sono arrivate, ovvero – grazie al decisionismo di Renzi e Franceschini – le risorse son state trovate (i danari per la cultura c’erano anche in passato, soltanto che gli esecutivi di turno li allocavano per altre sedicenti “priorità”), e consistenti.

Un’analisi critica degli interventi produce però una qualche perplessità: sostenere che si tratta di interventi “a pioggia” sarebbe ingeneroso, ma la quantità delle aree di intervento è notevole, e forse eccessiva, con concreto rischio di dispersività.

“Dopo anni di carestie, si cerca di sfamare un po’ tutti”, si potrebbe rispondere, ma quel che sembra mancare è una strategia organica, a fronte di una frammentazione estrema.

Un esempio, tra i tanti possibili, in materia di turismo: si destinano all’Agenzia Nazionale del Turismo (Enit) 10 milioni di euro aggiuntivi l’anno, per la promozione internazionale del Paese, ma si tratta veramente di briciole a fronte dei fabbisogni reali per un marketing minimamente significativo. Ed al contempo si destinano però ben 50 milioni di euro per la progettazione e la realizzazione di un “sistema nazionale di ciclovie turistiche e ciclostazioni e di interventi per la sicurezza della ciclabilità cittadina” (!), e finanche 3 milioni di euro per la “progettazione e realizzazione di itinerari turistici a piedi”

E che dire rispetto al contributo di 1.000 euro per l’acquisto di uno strumento musicale nuovo?! Non sarebbe stato più naturale sviluppare un ragionamento organico e strategico sulle dimensioni della “popolazione” studentesca dei Conservatori di Musica e degli istituti musicali pareggiati, destinata per la quasi totalità a infoltire le schiere di giovani qualificati ma disoccupati?!

E che dire del Fondo Unico per lo Spettacolo (Fus), che non riceve significativi incrementi, e che nel 2014 è stato di 406 milioni di euro (stesso livello per il 2015): è la stessa semi-clandestina Relazione annuale sul Fus, trasmessa dal Mibact al Parlamento (e pubblicata sul sito web del Mibact il 21 dicembre 2015) ad evidenziare come, a valori costanti ovvero in milioni di euro a prezzi 1985 (anno di creazione del Fus), si sia passati da 358 milioni di euro del 1985 agli attuali 163 milioni, con un decremento del 55% nell’arco di 30 anni!

Non sarebbe stato prioritario ed urgente intervenire anche su questo fronte, che riguarda la parte più viva del sistema culturale italiano (ovvero teatro, musica, danza, oltre che cinema)?!

Il Ministro Franceschini, in argomento, ha sostenuto che quest’anno ha ritenuto di dover allocare le risorse verso altre priorità emergenziali: in primis le biblioteche. In verità, però, osservando le dimensioni complessive della manovra, sembrerebbe che le risorse per riportare il Fus ad un livello decente – attraverso un intervento integrativo consistente (nell’ordine di almeno 300 milioni di euro) – ci fossero: eccome.

Così come ci sarebbero state le risorse per l’auspicato intervento di abolizione dell’Imu per cinema e teatri (costo per l’erario? poche decine di milioni di euro), ma l’appello promosso dall’Agis non ha trovato ascolto…

E che dire dell’ulteriore incremento della dotazione del “tax credit” per cinema ed audiovisivo?! Prevedibile contentezza delle lobby Anica (produttori cinematografici) ed Apt (produttori audiovisivi), ma qualcuno si è posto realmente un quesito essenziale: al di là dell’entusiasmo (eccessivo) perché una qualche “major” è tornata a girare filmoni in Italia, siamo sicuri che lo strumento del credito d’imposta stia rafforzando realmente il tessuto produttivo dell’industria cinematografico-audiovisiva italiana, con estensione del pluralismo espressivo e della pluralità di imprese, stimolando le imprese indipendenti, la ricerca, l’innovazione, la sperimentazione?!

A differenza di quel che avviene in Francia e nel Regno Unito (ovvero in Paesi più evoluti del nostro), non esiste in Italia uno studio di valutazione d’impatto sull’efficacia della strumentazione “tax credit”: incredibile, ma vero. E piuttosto si vada a leggere le approfondite analisi valutative realizzate in Francia dal Centre National du Cinéma et de l’Image Animée (Cnc).

Questo deficit cognitivo è comune a tanti altri settori di intervento: il Ministero (e quindi il Governo) non dispone della strumentazione per governare in modo efficiente ed efficace. In assenza di adeguata “cassetta degli attrezzi”, quando si allocano le risorse, si finisce per procedere sulla base di logiche emergenziali, a mo’ di tappabuchi (vedi i fondi per le biblioteche) o sulla base di spinte emotive (vedi i fondi per il tax credit).

Il Ministero non dispone della strumentazione tecnica essenziale per il buon governo della cultura in Italia. La succitata Relazione annuale sul Fus è ormai il fantasma di quel che poteva essere, ed è ridotta ad un apparato di dati proposti in modo totalmente acritico, senza alcuna lettura organica e strategica. A fronte di ciò, è evidente che il Fus può essere “indifferentemente” di 300 o 500 milioni di euro: tanto… Chi verifica il senso dell’allocazione delle risorse?! Nessuno.

La mini-riforma della Rai (avvenuta senza alcun coinvolgimento del Mibact, e ciò basti) conferma questo “governo” discretamente miope ed a-tecnico del sistema: tanto sforzo “normativo”, con un obiettivo unico, semplificare i processi decisionali aziendali, affidando al neo Amministratore Delegato un grande potere.

Si segnala en passant che, al 5 gennaio 2016, curiosamente il testo del ddl n. S-1880-B, approvato il 22 dicembre 2015, non risulta ancora pubblicato nella versione definitiva sul sito web del Senato (no comment: chi non ci crede, clicchi sul link).

Non ci sembra che il Governo abbia promosso un dibattito serio sul “senso” della televisione pubblica in Italia: ha semplicemente deciso di semplificare la “governance” affidandola a persona di sua fiducia.

È la riproposizione della logica decisionista di “un sol uomo al comando”: da Super-Matteo (Renzi) a Super-Antonio (Campo Dall’Orto). Forse sono gli effetti nell’inconscio collettivo delle sub-culture dei “super eroi”.

Può anche essere una logica corretta (che ricorda anche la stagione di Bettino Craxi, che pure qualche merito ha avuto nella modernizzazione dell’Italia), in un Paese che affonda nel policentrismo vischioso e nel consociativismo conservativo, ma perché non stimolare prima un ragionamento complessivo ed approfondito sul “public service broadcaster”, e definire poi le rinnovate “missioni” della Rai?

Prima la “mission”, poi la “governance”, vorrebbe il buon senso politico. Ed invece no: prima cambiamo il conduttore, poi vediamo di correggere la rotta.

In Paesi come la Francia ed il Regno Unito, decisioni di questo tipo avrebbero provocato sconvolgimenti politici, se non rivolte di piazza: in Italia, no.

Qualche voce di dissenso (dalla Federazione Nazionale della Stampa ad Articolo 21 a MoveOn Italia), le critiche del Movimento Cinque Stelle e quelle rituali delle altre opposizioni.

Il grillino Presidente della Commissione di Vigilanza Roberto Fico l’ha bollata come “una Gasparri 2.0, la peggiore che si potesse congegnare”, ma si tratta dello stesso Fico che ha assistito poco più che silente all’affossamento del nuovo “contratto di servizio” tra Stato e Rai: più volte (dalle colonne del mensile “Millecanali”), abbiamo invitato Presidente della Vigilanza di dimettersi, per protesta e per coerenza, rispetto ad un Governo che ha completamente ignorato l’attività della Commissione Parlamentare in relazione a quel che doveva/poteva essere un contratto di servizio discretamente innovativo.

La Vigilanza ha approvato il contratto di servizio Rai nel maggio 2014 (nota bene: 2014, non 2015), ma è stata simpaticamente ignorata da Governo e Rai.

È un Paese civile quello nel quale l’ultimo contratto di servizio Rai approvato è riferito al triennio 2010-2012???

Maurizio Gasparri (Forza Italia), autore della precedente riforma di Viale Mazzini, ha dichiarato che si tratta di “una leggina che sarà stracciata per la sua palese illegalità, un atto di protervia che sarà la Corte ad abolire”, in cui “comanda tutto un amministratore delegato scelto dal Governo, negando quattro sentenze della Corte Costituzionale”.

Paradossi della politica.

E sintomatica è stata l’approvazione in Senato, il 22 dicembre, per alzata di mano…

Eppure va segnalato che nel testo della piccola-grande riforma della Rai c’è un passaggio interessante, introdotto da un emendamento piccino picciò approvato dalla Camera: ci si riferisce ad una consultazione pubblica in vista del rinnovo della concessione.

Per la precisione, si tratta del comma 5 dell’articolo 5 (“Disposizioni transitorie e finali”), che recita: “5. Il Ministero dello Sviluppo Economico, in vista dell’affidamento della concessione del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale, avvia una consultazione pubblica sugli obblighi del servizio medesimo, garantendo la più ampia partecipazione”. Emendamento che si deve ad Annalisa Pannerale (Sinistra e Libertà) ed a Lorenza Bonaccorsi (Pd), ed ovviamente alla maggioranza di governo che l’ha approvato, nell’iter della legge di riforma Rai.

Ci piace qui riportare – dai resoconti stenografici – quel che ha dichiarato Lorenza Bonaccorsi (Responsabile Cultura e Turismo del Pd), nella veste di Relatrice per la maggioranza per la VII Commissione della Camera: “Rubo soltanto poco tempo per ribadire che questo emendamento è stato presentato dai relatori, proprio perché riteniamo che la discussione che si deve aprire rispetto al rinnovo della concessione venga innanzitutto istruita – come ricordava la collega Pannarale, quindi tutto nasce da un emendamento presentato in Commissione dalla collega Pannarale – da una grande consultazione pubblica. Ecco io credo che questo sia davvero un passaggio cui noi tenevamo e che ci siamo impegnati ad inserire nel provvedimento, perché crediamo che la consultazione pubblica (ovviamente, per consultazione pubblica si intende definire il perimetro del servizio pubblico e quindi gli obblighi del servizio pubblico) possa comunque e fondamentalmente disegnare quel servizio pubblico di cui parliamo così tanto. Quindi, credo che interpreti in tutto e per tutto davvero l’importanza che i relatori danno al momento della consultazione pubblica, e riteniamo che sia giusto che lo faccia non l’Autorità, ma i contraenti del rinnovo della concessione, e quindi Ministero e Rai”.

Annalisa Pannarale (Sel), aveva invece proposto che la consultazione fosse curata dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, mostrando forse (sia consentito osservare con ironia) eccessiva fiducia nelle capacità dell’Agcom: “Noi chiedevamo – e chiediamo – di poter aprire una consultazione pubblica sulla mission, su quelli che sono gli indirizzi strategici, che è esattamente quello che è mancato in questo disegno di legge. Questo in effetti viene un po’ troppo chiuso nella riformulazione dell’emendamento, nella quale si parla di obblighi del servizio. E soprattutto chiedevamo che a gestire, a seguire, ad accompagnare questa consultazione pubblica fosse l’Agcom e non il Mise, come invece voi proponete in questo emendamento”.

Come dire?! Confidiamo nella “consultazione” sulla Rai che sarà. Auguriamoci non faccia la stessa fine di quella annunciata a suo tempo dal Sottosegretario Giacomelli (rimossa)

Nel mentre, il Direttore Generale/Amministratore Delegato della Rai continua a rafforzare la squadra di dirigenti apicali di sua fiducia. D’altronde, questo chiede il Paese: prima la governance, poi la mission; prima le nomine, poi la strategia…

E, come per il Mibact, prima l’incremento (benedetto) delle risorse, e forse poi (ma quando?!) un ragionamento organico e strategico sull’economia complessiva del sistema…

E, nel mentre, Rai e Mibact non si parlano nemmeno. Si resta però in fiduciosa attesa dei risultati concreti degli arcani “tavoli di lavoro” tra emittenti televisive e produttori indipendenti, saggiamente promossi da Franceschini e Giacomelli…

La buona volontà c’è, ed è indubbia, ma purtroppo l’impressione è che si navighi ancora a vista.

Clicca qui, per leggere il testo (in “bozza”, ovvero non del tutto definitivo) della legge di riforma Rai (ddl n. S-1880-B) approvata il 22 dicembre 2015

Clicca qui, per leggere l’ultima Relazione annuale sul Fondo Unico dello Spettacolo (Fus) per l’esercizio 2014, pubblicata sul sito web del Mibact il 21 dicembre 2015

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