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ilprincipenudo. Convenzione Stato-Rai, tanto tuonò che non piovve

Angelo Zaccone Teodosi

Dopo lunga, lunghissima, estenuante attesa, il Consiglio dei Ministri di venerdì scorso 10 marzo ha finalmente approvato lo “schema di convenzione” che dovrà regolare per i prossimi 10 anni, dal 1° maggio 2017 (se non ci saranno… intoppi nell’iter), il ruolo del “public service broadcaster” – anzi del “public service media” – italiano: il testo, ancora in itinere (dovrà acquisire il parere della Commissione bicamerale di Vigilanza sulla Rai entro il 9 aprile), presenta alcuni interessanti elementi di novità, ma stimola altresì numerose perplessità.

Un dato sintetico emerge su tutti: di fatto, il Governo rafforza il proprio potere e controllo sulla Rai, e ne riduce l’autonomia e l’indipendenza. Con buona pace degli intendimenti di Matteo Renzi, che, però, in verità, aveva annunciato l’esigenza di “far uscire” i partiti dalla Rai: “i partiti”, appunto, non il Governo! La Rai viene infatti sottoposta ad un più intenso controllo incrociato da parte dell’azionista di maggioranza, il Ministero dello Sviluppo Economico (Mise), e da parte dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (Agcom).

Di fatto, il “carico” di funzioni di servizio pubblico aumenta (nella sostanza e nel controllo), ma a fronte di una incredibile perdurante incertezza dei flussi di risorse economiche, sottoponendo quindi la Rai ad una serie di processi aleatori, e quindi di “spade di Damocle” che possono rivelarsi assai pericolose: questo testo consente infatti ad un Esecutivo in ipotesi “avverso” a Rai di procedere con smantellamenti radicali, e di costringere in ginocchio Viale Mazzini. Questa è l’essenza del testo, il resto – verrebbe da commentare – sono alla fin fine “dettagli”: dettagli non marginali certamente, ma ben meno importanti dello spirito che sembra aver animato il “decision maker”.

Procediamo con ordine: si tratta di un “atto del Governo sottoposto a parere parlamentare”, e va subito precisato che il parere della Commissione di Vigilanza non è vincolante. Il titolo del documento recita “Schema di decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri concernente l’affidamento in concessione del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale, con l’annesso schema di convenzione”, e reca il n. 399 degli Atti Parlamentari della XVII Legislatura. Come previsto dagli articoli 45 e 49 del “Testo Unico” di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005 n. 177, alias “Testo Unico dei Servizi di Media Audiovisivi e Radiofonici” (cosiddetto “Tusmar”), il servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale è affidato per concessione decennale “in esclusiva” alla Rai, che lo svolge sulla base di un contratto di servizio stipulato con il Mise.

Lo schema di convenzione è stato trasmesso assai tempestivamente alla Presidenza della Camera, dato che risulta in data 10 marzo 2017 (giorno stesso dell’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri) negli atti parlamentari.

Quali sono le questioni nodali che emergono dalla lettura del testo, e della “Relazione illustrativa” che accompagna l’articolato?! Cerchiamo di estrapolare quelle che riteniamo le più importanti.

Articolo 2: ripropone dichiarazioni di principio stranote, e – in sé – poco significative, trattandosi di indicazioni generiche e teoriche (della serie: “completezza, obiettività, indipendenza, imparzialità, pluralismo”… un bla-bla-bla riproposto in tutti spesso vacui “contratti di servizio” tra Stato e Rai), ma viene previsto un “piano di riorganizzazione” che renda più “efficiente” l’offerta di informazione, anche attraverso la “ridefinizione del numero delle testate giornalistiche”.

Articolo 3: la Rai deve garantire la ricezione del segnale al 100% della popolazione, ed il Mise deve effettuare la verifica dell’adempimento; la Rai deve sostenere “lo sviluppo dell’industria nazionale dell’audiovisivo” così come “la creatività, l’innovazione, la sperimentazione”; deve garantire altresì un “numero adeguato di ore” dedicate a “educazione, informazione, formazione, promozione culturale”, con particolare riguardo alla “valorizzazione delle opere teatrali, cinematografiche, televisive, anche in lingua originale, o musicali, riconosciute di alto livello artistico o maggiormente innovative”; si noti che la “quantità di ore” viene definita dall’Agcom, ogni tre anni (perché “tre”, se il contratto di servizio ha durata quinquennale, e se peraltro Agcom e Mise debbono verificare gli obblighi Rai su base annuale?!).

Articolo 4: si richiede un “uso ottimale delle risorse frequenziali”, e si prevede la possibilità di realizzare “impianti comuni” con altri operatori televisivi e di tlc.

Articolo 6: prevede che, “con deliberazione adottata d’intesa dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni e dal Ministero dello Sviluppo Economico, prima del rinnovo quinquennale del contratto nazionale di servizio, siano fissate le linee-guida sul contenuto degli eventuali ulteriori obblighi del servizio”. Viene precisato che, “ai fini della citata intesa” tra Agcom e Mise, vengono definiti “appositi indirizzi con deliberazione del Consiglio dei Ministri”.

Articolo 11: “fissa limiti” rispetto all’esercizio “delle attività commerciali” Rai, prevedendo che esse non possano assumere “consistenza prevalente” rispetto a quelle di servizio pubblico, siano sottoposte a “contabilità separata”, e – questo è un passaggio fondamentale – “devono essere remunerate esclusivamente con ricavi diversi dal canone radiotelevisivo”. I primi due vincoli sono di fatto già in essere, il terzo diviene un problema enorme, se resterà quell’“esclusivamente”, perché, nell’offerta complessiva di un gruppo Rai, è evidentemente ardua impresa distinguere alcuni processi produttivi e… “separarli”.

Articolo 12: la “vigilanza sugli obblighi” è affidata ad Agcom e Mise, “secondo le rispettive competenze”.

Articolo 13: il costo del “servizio pubblico” è coperto dal versamento di “una quota di canone di abbonamento”, ma la quantificazione dei “costi rilevanti” per la “determinazione del canone” è sottoposta a previa verifica, su base annuale, degli “obiettivi di efficientamento e razionalizzazione”, “attuazione del piano editoriale”, rispetto dell’“affollamento pubblicitario”, “corretta imputazione dei costi” a cura di Agcom e Mise (questo comma 2 dell’articolo può essere ritenuto uno dei più importanti – e problematici – dell’intero testo). L’articolo ribadisce che il canone è “utilizzabile esclusivamente ai fini dell’adempimento dei compiti di servizio pubblico”: questo vincolo di utilizzazione altra è ribadito con forza anche all’articolo 15, che prevede esplicitamente il “divieto di destinare ricavi del canone ad attività diverse da quelle del servizio pubblico”… Riteniamo che questa tante volte affermata “separazione” sia espressa in modo eccessivamente rigido, con un approccio (come ha scritto oggi su “il Manifesto” anche Vincenzo Vita) dal sapore “manicheo”.

La montagna ha partorito il topolino, e questo topolino non appare granché vivace…

In allegato alla “Relazione Illustrativa”, viene presentata anche una “Relazione sull’esito della consultazione pubblica”, ovvero una sintesi in 5 pagine della famosa “CambieRai”, in calce alla quale è apposta la firma del Ministro Carlo Calenda (si noti che il documento reca la data di mercoledì 8 marzo, due giorni prima dell’approvazione del documento da parte del Cdm). Qui si potrebbe aprire una querelle interpretativa veramente senza fine: il Mise ha effettivamente ben interpretato i risultati della controversa consultazione, e, soprattutto, li ha ben tradotti nell’articolato?! No.

Senza qui ribadire i dubbi tante volte manifestati in relazione all’architettura ideologica e metodologica che ha caratterizzato la consultazione (vedi “Consultazione Rai: perché i quesiti sono stati mal posti?” su “Key4biz” del 27 luglio 2016), riteniamo si possa sostenere che nel testo governativo – ovvero nello schema di convenzione – non si riscontri una concreta “traduzione” degli intendimenti manifestati dai cittadini che hanno partecipato alla consultazione.

Un esempio per tutti: dalla consultazione, è emersa a chiare lettere (come richiamato dalla stessa “Relazione sull’esito della consultazione”, giustappunto) l’esigenza di un “canale in lingua inglese che promuova l’identità, lo stile e la cultura italiani” (così chiese il 66% dei rispondenti alla consultazione), considerando il documentario lo strumento più adatto (73%) per far conoscere l’Italia nel mondo. Nessuna traccia di ciò nello “schema di convenzione”, se non un cenno alla “produzione, distribuzione, trasmissione di contenuti audiovisivi all’estero” (articolo 3 comma 1 lettera f.).

Ed esempi di questo tipo, se ne potrebbero estrapolare a decine, ovvero di non coerenza tra il “dire” (annunciato) ed il “fare” (previsto). In sostanza, quel che si temeva s’è concretizzato: la consultazione è stata strumentalizzata dal Governo “in usum Serenissimi Delphini”… La correlazione reale tra esito della consultazione e schema di convenzione è infatti assolutamente labile, se non addirittura inesistente.

Da segnalare che la convenzione in gestazione non sembra aver suscitato grande attenzione mediale e politica in questi giorni (se non da parte di quotidiani come “Italia Oggi” e “la Repubblica”), ed anche questo elemento provoca preoccupazione: che la tematica “servizio pubblico televisivo” non sia più ritenuta importante, nell’agenda attenzionale dei media, è questione delicata e grave, sulla quale ci si deve interrogare.

O prevale piuttosto una rassegnazione sulla deriva in atto?!

Alcuni giornalisti ed osservatori si sono concentrati sulla questione dell’obbligo del 100% di copertura del segnale Rai, segnalando che il costo per accedere ad una piattaforma gratuita come TivùSat (digitale terrestre), per esempio, fosse anche soltanto per il decoder e la scheda, dovrebbe essere a carico della Rai e non dell’utente, ma Key4biz” ha ben chiarito ieri che così è già attualmente, e che lo schema di convenzione non è, da questo punto di vista, innovativo…

Alcuni hanno notato che non si utilizza più il concetto di “frequenza” bensì di “capacità trasmissiva”, e ciò andrebbe nella direzione di un “operatore unico di rete”, nella prospettiva di una fusione RaiWay ed Ei-Towers (che vantano 2.300 torri ognuna), superando l’attuale integrazione verticale tra “contenuti” e “reti”…

Altri ritengono che Rai potrebbe essere libera di non far trasmettere a Sky Italia i propri canali (si ricordi che Mediaset ha tolto i propri canali della piattaforma), ma più verosimilmente si riaprirà una trattativa tra i due soggetti.

Altri ritengono che Rai potrebbe essere obbligata a non “spalmare” più sull’insieme dei canali il limite di affollamento pubblicitario del 4%, con il rischio di minus ricavi stimati nell’ordine di varie centinaia di milioni di euro (e perdita della chance di acquisire eventi come la Coppa Italia, Mondiali, eccetera), ma questo non è previsto dallo schema di convenzione approvato dal Cdm, anche se la convenzione consentirebbe di introdurre questo vincolo, semmai così ritenessero Agcom e Mise, interpretando il ruolo attribuito loro dal comma 2 dell’art. 13 (vedi supra)… Altri ancora leggono la formula “(il piano editoriale) può prevedere la rimodulazione del numero dei canali non generalisti” (art. 3 co. 5) come un futuro probabile se non addirittura sicuro, allorquando il testo si limita a semplicemente prevedere questa possibilità

Nessun cenno al possibile ruolo della Società Italiana Autori Editori, eppure la Siae resta socio di minoranza di Viale Mazzini, con lo 0,44 % delle quote azionarie…

Insomma, va segnalato soprattutto che non si tratta di un testo rigido ed univoco: è un testo che apre alcune prospettive, essendo per molti aspetti “polisemico” (come ha titolato ieri “Key4biz” l’intervento di Remigio Del Grosso: “poche luci e molte ombre”), ma che non impone – qui ed ora – alcunché di particolarmente preciso e cogente. È comunque evidente che queste “prospettive” possono paradossalmente andare nella direzione di una riduzione della forza Rai, sia rispetto al sistema politico (ovvero al Governo) sia rispetto al mercato televisivo (come “player” che opera anche nel business pubblicitario).

Si ha notizia che il Consiglio di Amministrazione Rai abbia – comprensibilmente – mal digerito il “menù” proposto da Palazzo Chigi: in particolare, il Consigliere Paolo Messa ha sostenuto che si tratta di un “un articolato che rivede in negativo quanto era stato contenuto nella legge Giacomelli, con cui si dava ampio margine di manovra gestionale all’amministratore delegato e al cda; la concessione limita di parecchio la leadership aziendale, restringendo le risorse anche attraverso un piano di efficientamento pesante che taglia testate e canali. Leggendola in modo politico, questa convenzione è una drastica sconfessione di quello che era stata l’impronta renziana data alla Rai. Qui si immagina una Rai-pocket, più efficiente, forse, ma molto, molto ridimensionata”. E Messa non è persona usa a dichiarazioni polemiche.

Insomma, la situazione appare oggettivamente critica ed aleatoria. Intanto, a seguito delle polemiche giornalistiche scatenate da un incontro del Direttore Generale Antonio Campo Dall’Orto con i vertici aziendali, durante il quale è stata annunciata una riorganizzazione dell’area “news” con un importante incarico affidato alla eccellente Milena Gabanelli, l’Ufficio Stampa Rai (diretto da Luigi Coldagelli) ha diramato un comunicato di precisazioni, che merita essere qui riprodotto: “In merito ad alcune indiscrezioni di stampa su nuove testate giornalistiche che Rai avrebbe deciso di creare, si precisa che tali notizie sono prive di fondamento. Tale percorso necessita peraltro di un’interlocuzione e di un’approvazione formale da parte del Consiglio di Amministrazione (…) Risponde invece al vero che l’azienda voglia colmare la distanza che la separa da altre piattaforme d’informazione online, un intervento da tempo annunciato che si inserisce nel percorso di innovazione digitale avviato con successo da Rai Play, e che a questo compito il Direttore Generale abbia chiamato a dare il suo prezioso contributo Milena Gabanelli. Ogni passaggio relativo a questo processo dovrà necessariamente avvenire attraverso il positivo confronto messo in atto con il Cda e con tutti i soggetti competenti relativamente al Piano per l’Informazione”. Linguaggio un po’ “old-style”, ma tra le righe si può comprendere la conflittualità latente e già in atto.

In argomento, prevedibile e certamente meno “diplomatica” la sortita del sempre effervescente parlamentare piddino Michele Anzaldi, Segretario della Commissione di Vigilanza: “L’annuncio da parte di questi vertici Rai dell’ennesimo direttore e dell’ennesima testata, Rai 24, rappresenta un vero e proprio schiaffo sia per il Governo, che ha appena inserito nella nuova Concessione la riduzione delle direzioni, sia per il Cda, tenuto all’oscuro e informato a cose fatte dai giornali dopo che il direttore generale aveva già presentato la novità ai direttori dei telegiornali, insieme ai massimi dirigenti di Viale Mazzini che dirigono il Personale e l’area Digital. Ancora una volta assistiamo ad un episodio di analfabetismo istituzionale e gestionale che sconfessa il mandato ricevuto”. Anzaldi alza il tiro: “Non erano passate neanche ventiquattr’ore dalla decisione del Consiglio dei Ministri di dare il via libera alla nuova Concessione stabilendo un principio chiaro: la concessionaria deve realizzare un piano editoriale che riduca i costi e razionalizzi le risorse. Neanche ventiquattr’ore, e il Direttore Generale aveva già riunito dirigenti e direttori per dare il via all’ennesima nuova struttura, a insaputa del Cda che fa bene a protestare. Intanto del nuovo piano dell’informazione, a un anno e mezzo dall’insediamento di questi vertici, non c’è ancora traccia, mentre le direzioni aumentano e addirittura i direttori di testata verrebbero messi di fronte a pesanti riduzioni di organico, senza che ci sia dietro alcun progetto complessivo per l’informazione”.

Al settimo piano di Viale Mazzini, il tetragono gruppo di dirigenti che gode della fiducia del Direttore Generale vive in questi giorni una rinnovata sensazione di accerchiamento, e teme anche il rischio di “fuoco amico”: il Governo “gioca” a ridurre i margini di autonomia dell’azienda, e la svanita sintonia tra Dg e Premier (dopo le dimissioni di Matteo Renzi) rende lo scenario ancora più incerto.

Fonti attendibili ci assicurano che la versione dello “schema di convenzione” che stava per entrare in Consiglio dei Ministri era in origine più severa ancora (ovvero assai pesante per Rai), e che è stata la mediazione del Vice Segretario della Presidenza del Consiglio dei Ministri Nino Rizzo Nervo (che conosce benissimo la “macchina” Rai), fiduciario del Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, a convincere il Ministro Carlo Calenda ed il Sottosegretario Antonello Giacomelli a… più miti pretese. Basti pensare a: non introdotto l’obbligo del calcolo del 4% sugli affollamenti pubblicitari sui singoli canali; non introdotto l’obbligo di creazione di un canale internazionale in lingua inglese… E ciò basti.

Oggi mercoledì Antonello Giacomelli, alle ore 14, è stato in audizione in Commissione Vigilanza, presieduta dal grillino Roberto Fico (il cui attivismo in materia televisiva – secondo alcuni – sembra appannato e comunque distratto da più importanti ambizioni alla guida del Movimento Cinque Stelle). Il Sottosegretario ha sostenuto che il senso del rinnovo della concessione Rai è “dare indicazioni precise per la trasformazione” dell’azienda del servizio pubblico, una trasformazione che sia “organica e compiuta, coerente e complessiva, non transitoria e che sia fondata su una visione editoriale industriale decennale, che vada oltre questa fase attuale”. Giacomelli ha ricordato che si tratta di una “riforma attesa da tempo e che negli ultimi due anni è apparsa non sempre prendere corpo in modo organico. La convenzione crea a mio avviso tutte le condizioni perché ci siano chiare linee di indirizzo e traccia gli obblighi su cui la società concessionaria deve muoversi”. Il Presidente dell’Agcom è invece previsto in audizione per oggi, ma alle ore 20 (“che Parlamento alacre”, commenterebbe un cittadino scettico): sarà tra l’altro interessante comprendere se l’Autorità ritiene di essere tecnicamente attrezzata per i compiti che la convenzione le assegna…

Per venerdì prossimo 17 marzo, alle ore 9, è prevista a Palazzo San Macuto l’audizione del Presidente e del Consiglio di Amministrazione e del Direttore Generale della Rai; alle 11 sempre di venerdì, sono previste le audizioni del Sindacato Lavoratori della Comunicazione (Slc-Cgil), UilCom-Uil, Ugl-Tlc, Snater, LiberSind, Conf. Sal, Usigrai e Adrai (tutti soggetti che il Governo ha peraltro completamente ignorato nell’economia della consultazione “CambieRai”…).

Si preannuncia un dibattito vivace, ne ascolteremo delle belle, ma si ricorda ancora una volta che si tratta di un “parere obbligatorio ma non vincolante”…

Clicca qui, per leggere lo “Schema di decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri concernente l’affidamento in concessione del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale, con l’annesso schema di convenzione”, Atto Camera n. 399, Camera dei Deputati, 10 marzo 2017

Clicca qui, per leggere la correlata “Relazione Illustrativa” e la “Relazione sull’esito della consultazione pubblica”, trasmessi anch’essi dal Consiglio dei Ministri al Parlamento il 10 marzo 2017.

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