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ilprincipenudo. Consultazione Rai, ‘pubblica’ ma ‘a porte chiuse’. Cultura e pubblicità nel questionario?

Angelo Zaccone Teodosi

Si è tenuta ieri a Roma, dalle ore 11 alle 17, presso l’Auditorium Parco della Musica, la prima fase della annunciata consultazione sulla Rai, promossa dal Ministero dello Sviluppo Economico, ovvero un rapido “brain storming” di circa 160 operatori del settore, rappresentanti di categorie ed associazioni, esponenti della società civile, accademici e studiosi.

I pannelli proposti alle pareti della kermesse recitavano: “#CambieRai. Consultazione nazionale sul servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimedia. I tavoli tecnici”.

L’incontro era tra l’altro finalizzato a buttar giù la bozza di questionario che Istat dovrebbe sottoporre a pubblica consultazione dal 1° maggio prossimo (vedi l’articolo su “Key4biz” di ieri, “Consultazione Rai: questionario online il 1° maggio. Concessione prorogata a ottobre”).

L’iniziativa mostra aspetti controversi: senza dubbio intellettualmente stimolante (per chi ha avuto l’onore di essere “convocato”), ricca di suggestioni, ma organizzata con modalità non proprio eccellenti (nella sostanza e nella forma). Abbiamo espresso più volte i nostri dubbi su queste colonne, e purtroppo la kermesse li ha in parte confermati: vedi “Key4biz” del 1° aprile (“Partenza last minute per la consultazione Rai: ecco la convocazione”), del 4 aprile (“Consultazione Rai: editoria, musica e sociale assenti all’appello?”) ed infine del 7 aprile (“Consultazione Rai: attesa per il confronto pubblico del 12 aprile”).

Per coloro che non son stati privilegiati (…) dall’invito ministeriale, è opportuno anzitutto una descrizione accurata delle modalità organizzative della kermesse:

– l’elenco dei “convocati” non è stato reso di pubblico dominio (né “ex ante” né “ex post”), e già questo deficit di trasparenza è allarmante; l’elenco non è stato messo a disposizione nemmeno di coloro che hanno partecipato all’incontro; incredibile poi che gli stessi 16 “coordinatori” dei tavoli non fossero a conoscenza di chi partecipasse ai tavoli tematici altri; la cartella per i partecipanti era sostanzialmente vuota (se non i rituali bloc-notes e penna), senza nemmeno indicazione delle tematiche dei 16 tavoli! anche i nomi dei 16 “responsabili” istituzionali, così come dei 16 “rappresentanti” Rai, non sono stati resi di pubblico dominio; da non crederci veramente… un’atmosfera un po’ alla “Eyes Wide Shut” di Stanley Kubrick;

– i 160 partecipanti (ogni “tavolo tematico” aveva 10 partecipanti, di cui 1 rappresentante istituzionale – per lo più ministeriale – ed un rappresentante della Rai) sono stati convogliati in 1 enorme stanzone, dall’aspetto discretamente inquietante (pareti color nero, luci al neon dirette sui bianchi tavoli, nessuna apertura verso l’esterno… quest’ultima osservazione si pone anche come metafora della dinamica organizzativa), nel quale erano stati predisposti “blocchi” di tavoli, 4 a 4, per ogni macro-area tematica appunto, con badge cromatico identificativo dei partecipanti (rosso per “Sistema Italia”, blu per “Industria creativa”, verde per “Digitale”, grigio per “Società Italiana”); intorno ad ogni tavolo, i convocati;

– la vicinanza spaziale dei tavoli di ogni singola “macro-area” era tale da determinare un rumore di fondo assolutamente spiacevole, un continuo fastidio sonoro che si è protratto per molte ore, aggravato dal tono di voce stentoreo di alcuni intervenienti; una dinamica intollerabile (ed anche discretamente incivile), che ha stimolato in alcuni partecipanti finanche l’idea di abbandonare i lavori, in assenza di chance di adeguata concentrazione intellettuale;

– i lavori si son svolti in due cosiddetti “round”; il primo dalle 11 alle 13.30 (con un’oretta di pausa, e discreto buffet in piedi); il secondo dalle 14.30 alle 17.30; era stata annunciata la formula del “World Cafè”, per cui – al pomeriggio –  i partecipanti avrebbero potuto, se lo avessero voluto, “ruotare” negli altri tavoli della medesima macro-area, e quindi “contaminare” le altre discussioni; questa contaminazione non s’è però concretizzata, anche perché i coordinatori hanno poi chiarito che, chi lasciava il tavolo di appartenenza, poteva sì andare a sedersi ad un altro… ma non poteva tornare a quello di provenienza (surreale!);

– verso le 16.30, con un’oretta di anticipo rispetto alle previsioni, molti decidevano di lasciare l’incontro (già stanchi? presi da altri impegni professionali? o forse resisi conto dell’inutilità dell’iniziativa o comunque annoiati dalla stessa?!), e si osservava una progressiva “desertificazione”, con la grande sala che assumeva un aspetto tra lo spettrale, la sala da poker, tra la “dark room” ed il… fantascientifico, una simil-Leopolda svuotata:  surreale “consultazione”!

– ogni coordinatore di tavolo ha dovuto redigere, spesso in solitaria autonomia (data la fuga di molti convocati, che lo hanno “delegato”), un breve documento di sintesi del dibattito (il format imposto dall’alto prevedeva due, massimo tre cartelle) ed una bozza delle domande che l’Istat dovrà andare a sottoporre a pubblico sondaggio (due domande, massimo tre semplici e di agevole comprensibilità per il cittadino);

– il “programma” (poche righe), unico documento presente nella cartellina per i partecipanti, prevedeva che dalle 17.30 alle 18.30 i 16 coordinatori si incontrassero tra loro (loro soltanto, naturalmente), e si confrontassero sui documenti elaborati da ogni singolo “tavolo”; un po’ per stanchezza, un po’ per noia… questa riunione di “coordinamento” non s’è concretizzata, ed ogni “coordinatore” di tavolo si è limitato a consegnare, su pen drive il frutto del proprio lavoro di iper-sintesi…

Ad inizio mattinata, il Sottosegretario Antonello Giacomelli s’era presentato, pochi minuti e con discrezione, per salutare i partecipanti, ed augurar loro buon lavoro. Ha ringraziato per “la partecipazione, l’impegno e l’entusiasmo”: quest’ultima dimensione, francamente, ci è sfuggita…

Da lamentare: nessuna pubblicità dei lavori, se non qualche commento laconico e qualche fotografia su Twitter (il che conferma la debolezza di questo “social network” come strumento di autentica distribuzione culturale); nessuna registrazione dei lavori, né audio né video, in assenza di “streaming”, e quindi nessuna chance di “download” di questi riservatissimi lavori.

Perché questa modalità “riservata” ovvero – metaforicamente – al buio, che ricorda le pratiche massoniche (un po’ anche per la coreografia dell’evento)?!

Quale incomprensibile riservatezza (totale) doveva caratterizzare i lavori?!

Di grazia, non si è trattato dell’avvio di una consultazione “pubblica”?!

Da segnalare che l’iniziativa è stata denominata “CambieRai”: una titolazione non proprio originale, dato che riproduce esattamente il titolo di un convegno sulla Rai promosso qualche settimana fa da Alleanza Popolare – Ncd – Udc (di cui abbiamo ampiamente scritto anche su queste colonne: vedi “Key4biz” del 14 ottobre 2015, “Area Popolare vuole rivoluzionare la Rai, Campo Dall’Orto digitalizzarla e Giacomelli esalta la riforma”). Convegno al quale era peraltro intervenuto anche lo stesso Sottosegretario Antonello Giacomelli.

Non è agevole elaborare un parere sull’effettiva “rappresentatività” di questo “campione” di “convocati”, dato che non si comprende esattamente a quali “universi” abbia voluto guardare il Mise (un po’ generico evocare uno “spaccato della società italiana”): di fatto, convocate 128 persone (8 per ogni tavolo per 16 tavoli, dato che 2 per ogni tavolo erano istituzionali-Rai); il Mise ha dichiarato che son state coinvolte 62 associazioni, 20 enti pubblici e istituzioni, 11 centri studi e “think tank”, ed 20 esperti (di costoro, elenco indisponibile)…

Vedi in calce l’elenco delle 91 “organizzazioni” (ovvero “associazioni” + “enti pubblici e istituzioni” + “centri studi e think tank”) la cui identità il Mise ha reso noto l’11 aprile (il giorno prima della kermesse…) sul proprio sito web.

Ci limitiamo a segnalare come spicchi l’assenza di istituzioni come il Garante della Privacy alias per la protezione dei Dati Personali così come l’Osservatorio Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza, l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziarli (Unar)… di associazioni come la Rea (Radiotelevisioni Europee Associate) e l’Aiart (Associazione Spettatori) a livello televisivi… come l’Anac (Associazione Nazionale Autori Cinematografici) e l’Agpci (Associazione Giovani Produttori Cinematografici Indipendenti) e la Wgi (Writers Guild Italia) a livello cinematografico… di soggetti come l’Arci e Cresco e l’Aie e la Fimi, certamente rappresentativi di alcune importanti realtà del settore culturale e mediale… E perché non è stata “convocata” Confindustria Cultura, e sono stati ignorati anche Aesvi, Afi, Anes, Fem, Pmi, Univideo?… E perché è stata coinvolta Upa, ma non Pubblicità Progresso?! E che dire di strutture come il Censis, a livello di “think tank”?! E che pensare poi della incredibile assenza della Siae – Società Italiana Autori Editore, che pure è azionista di Rai spa (seppure soltanto per uno 0,44 % delle azioni)?! E di “player” emergenti come Nuovo Imaie?! Non convocata nemmeno la Fapav – Federazione per la Tutela dei Contenuti Audiovisivi e Multimediali… E, ancora, come valutare la totale assenza degli “over-the-top”, che pure un qualche ruolo nel mercato dei media e delle industrie culturali e creative evidentemente svolgono?! E cosa pensare della totale esclusione dei rappresentanti delle fedi religiose così come delle associazioni dei cittadini stranieri immigrati (che rappresentano ormai un 10 % della popolazione che vive in Italia)?!

Escludiamo certamente la volontà Mise di discriminare: piuttosto temiamo che il Grande Architetto della kermesse “CambieRai” abbia purtroppo avuto a disposizione una “mappatura” piuttosto incompleta, e che “lo spaccato della società italiana” venutosi a determinare finisca per evidenziare una discreta ignoranza della ricchezza socio-culturale del nostro Paese (il Mise ha precisato che “la segreteria organizzativa e la logistica dell’appuntamento” è stata curata dalla Rai).

Abbiamo notato professionisti di livello, e ci limitiamo qui a ricordare colleghi come Francesco Siliato (Studio Frasi) ed Augusto Preta (It Media), esperti come Antonio Sassano e Stefano Rolando e Stefano Balassone, accademici come Mario Morcellini, esponenti di associazioni (Stefano Selli per Confindustria Radio Tv e Riccardo Tozzi per l’Anica), ma anche di associazioni non esattamente allineate, come Marco Quaranta (MoveOn Italia – IndigneRai), esponenti dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (dalla Capo di Gabinetto Annalisa D’Orazio)…

Come dire?! Una sorta di “compagnia di giro” (tra media, cultura e tlc, ma soprattutto media) discretamente ampia e plurale, e finanche con qualche apprezzabile innesto eterodosso: ci limitiamo a citare Sergio Bellucci di Net Left, Guido Scorza dell’Istituto per le Politiche dell’Innovazione, Remigio Del Grosso Vice Presidente del Consiglio Nazionale degli Utenti (Cnu Agcom), Vincenzo Vita già Sottosegretario alle Comunicazioni ed attualmente Presidente dell’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico (Aamod)…

Tra gli assenti… i sindacati dei lavoratori, che hanno manifestato il proprio comprensibile malessere, ed a buona ragione: non sono anch’essi, di grazia, “società civile”, e comunque “stakeholder” della Rai?! Massimo Cestaro, segretario del Sindacato dei Lavoratori della Conoscenza della Cgil, ha denunciato la “deriva autoritaria” del Governo.

L’unica occasione per una qualche informale interazione “extra-tavoli” è stata data dalla pausa per la colazione “light”.

Fin qui, la “forma” (che pure in taluni contesti – questo, senza dubbio – è anche sostanza).

Della “sostanza”, che dire?!

Possiamo esprimerci soltanto in relazione al tavolo al quale siamo stati invitati, coordinato – in modo equilibrato ed elegante – da Gianluca Lioni, Portavoce di Dario Franceschini, Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo.

L’eletta schiera del “Tavolo 15” era formata da: Claudio Bocci (Direttore di Federculture), Massimo De Angelis (Presidente di Infocivica – Carta di Amalfi), Gennaro Iasevoli (Direttore Dipartimento Scienze Umane, Comunicazione, Formazione, Psicologia Lumsa), Luigi Perissich (Direttore Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici, in rappresentanza anche di Patrizia Asproni, Presidente della Fondazione Industria e Cultura di Confindustria), Lorenzo Scarpellini (Associazione Generale Italiana dello Spettacolo – Agis), Monique Veaute (Fondatrice e Presidente della Fondazione Romaeuropa, ma anche membro del Comitato dei Programmi della rete televisiva franco-tedesca Arte).

Il rappresentante Rai è stata Silvia Calandrelli, Direttrice di Rai Cultura, una delle dirigenti Rai della “vecchia guardia” che non è stata rimossa né da Luigi Gubitosi né da Antonio Campo Dall’Orto, il che la dice lunga sul know how ed esperienza che può vantare.

Il dibattito s’è rivelato molto stimolante, franco, dialettico.

È presto emersa l’esigenza di promuovere una maggiore distintività della Rai nel panorama televisivo nazionale: infatti, nel corso del tempo, il profilo identitario del “public service broadcaster” italiano s’è andato via via annacquando, nell’inseguimento continuo delle logiche di share della televisione commerciale. La Rai deve riacquisire il senso della propria diversità.

Naturale è quindi emersa la questione che si pone come vero e proprio spartiacque ideologico e strategico: pubblicità “si” o pubblicità “no” sulla Rai?! Ed è stata proprio questa una delle due semplici domande che il “Tavolo 15” ha chiesto all’Istat di far proprie nel questionario imminente.

L’esigenza di una maggiore presenza di “cultura” è anch’essa emersa naturale, a fronte di un palinsesto complessivo Rai nel quale la sensibilità nei confronti delle arti e dello spettacolo appare modesta, inadeguata rispetto alla ricchezza storica ed attuale del nostro patrimonio culturale. Modesta anche rispetto alle migliori esperienze degli altri “psb” europei.

S’è anche ragionato su un’interpretazione estesa e plurale del concetto (intrinsecamente polisemico) di “cultura”: tutti i partecipanti hanno inteso proporre una visione plurale, “culture” piuttosto che “cultura”; una cultura intesa in senso post-moderno, e quindi non soltanto come rappresentazione di quella che un tempo si definiva cultura “alta” (teatro, musica, danza, letteratura…), ma come strumento di integrazione e coesione sociale, come strumento di tutela delle minoranze (linguistiche, etniche, religiose…) e più in generale delle diversità (fisiche, psichiche, sociali…).

Cultura intesa anche come esigenza di alfabetizzazione digitale del Paese, con una Rai che si ponga come grande “orchestra” della cultura nazionale, mettendo in rete esperienze variegate, ricerca e sperimentazione, e ponendosi come grande “bussola” rispetto all’infinita offerta del web: una guida multimediale civile nella babele del caos digitale.

Risorse: questione essenziale e nodale.

Debbono crescere, in assoluto: abbiamo ricordato come la “spesa pubblica” pro-capite per il servizio pubblico televisivo italiano sia tra le più basse d’Europa, e non cambierà granché dall’iniezione di risorse che dovrebbero venire dal canone nella bolletta elettrica…

Debbono crescere, in relazione alle specifiche risorse allocate alla cultura: il budget di cui dispone Rai Cultura è assolutamente inadeguato, e si dovrebbe ragionare su una maggiore disseminazione delle sue produzioni nei palinsesti delle tv generaliste. Si ricordi che i due maggiori canali che dipendono da Rai Cultura ovvero Rai5 e Rai Storia raggiungono rispettivamente uno share dello 0,3% e 0,2%: l’offerta è di gran qualità, alcune produzioni meriterebbero la prima serata di Rai 1, ma spesso il potenziale di ascolto che potrebbe esprimere Rai Cultura è limitato dallo status stesso di canale “tematico”.

Le risorse per la cultura – intesa in senso lato, plurale e inclusivo – possono derivare anche da una auspicata sinergia con i fondi del Ministero dei Beni e Attività Culturali e Turismo.

Il tavolo “Cultura” ha quindi proposto che la convenzione in gestazione preveda che il Mibact venga coinvolto attivamente nella stesura del “contratto di servizio” che verrà.

Agis, in particolare, ha chiesto che, così come vengono imposti obblighi di investimento a Rai in materia di produzione di cinema e fiction, vengano introdotti specifici obblighi anche in relazione allo spettacolo dal vivo: Lorenzo Scarpellini ha ricordato che dal 1975 al 1985 è stata in vigore una dimenticata legge, che prevedeva che il 2% dei proventi lordi della Rai fossero vincolati al finanziamento di manifestazioni teatrali e musicali, in Italia ed all’estero.

Monique Veaute si è soffermata sull’esperienza del canale culturale per antonomasia, Arte, pan-europeo nelle intenzioni ma ancora a prevalente asse franco-tedesco. Un’esperienza di eccellenza rispetto alla quale l’Italia non mostra l’interesse che merita: basti pensare alle potenzialità di un doppiaggio in lingua italiana dei programmi dell’emittente.

Si è ragionato anche sul senso di un provocatorio “trasferimento” di Rai5 in… Rai3, ovvero su un riposizionamento delle reti del servizio pubblico (con conseguente riallocazione delle risorse): Rai 1 rete “nazional-popolare”, Rai 2 rete “giovanile”, Rai 3 rete “culturale”.

È stata evocata anche l’esperienza di RaiMed, infelicemente conclusasi: canale satellitare della Rai andato in onda dal 2001 al 2014 via satellite in modalità “free-to-air”, visibile attraverso qualsiasi decoder satellitare in Europa e dalla sponda settentrionale dell’Africa. Il canale era strettamente collegato al canale Rai News 24 (di cui trasmetteva il palinsesto-base), e proponeva ogni giorno, in prima serata, la traduzione in lingua araba dell’edizione principale del Tg3 delle ore 19, nonché programmi dedicati ai Paesi mediorientali che si affacciano sul mare Mediterraneo. Saggiamente voluto dalla Rai per stimolare un dialogo fra lʼItalia ed il mondo arabo e tra le numerose comunità di lingua araba italiane ed europee, ma incomprensibilmente chiuso nel 2014, per le solite ragioni di riduzione dei costi del “psb” italiano (che spesso finiscono per colpire e penalizzare le iniziative più meritorie).

La seconda domanda che il tavolo “Cultura” della consultazione ha espresso è quasi… ovvia: “Lei ritiene che la Rai debba trasmettere più cultura (teatro, musica, arti visive, danza, musica…) nei propri palinsesti?”. Quesito semplice ed apparentemente banale, ma di fatto essenziale, e tutt’altro che scontato. Si ha ragione di temere che la risposta della “maggioranza” possa essere paradossalmente… negativa.

Nulla (ci) è poi dato sapere dai tre tavoli “limitrofi”, ovvero gli altri della “macroarea” denominata “Società Italiana”, ovvero, in verità, ogni tanto, giungeva l’eco di un commento, un frammento di battuta, ma nessuna “interazione” né condivisione di sorta s’è venuta a determinare rispetto ai gruppi di lavoro rispettivamente intitolati “Informazione e nuovi linguaggi”, “Scuola e Università” e “Pubblica utilità”. Peccato: frammentazione e dispersione, una occasione di dialettica in parte vanificata da una metodologia erratica ed incomprensibile.

In sostanza: un incontro interessante e stimolante.

Si rinnova però la radicale perplessità: perché… “a porte chiuse”?!

Perché questi dibattiti non sono stati oggetto di registrazione (almeno audio), e non sono stati messi a disposizione della comunità professionale e della collettività tutta?!

Quale “logica” ha determinato una simile decisione, che offende l’esigenza di trasparenza che dovrebbe caratterizzare l’agire di ogni pubblica amministrazione moderna e democratica?

La rassegna stampa odierna è stata, ovviamente, molto modesta (non poteva essere altrimenti). Carlo Tecce su “il Fatto Quotidiano” (in un articolo intitolato “CambieRai: il governo riflette, l’uomo Mediaset agisce”) s’è concentrato sull’intervento dell’esponente Mediaset Stefano Selli, che è sia Vice Presidente di Confindustria Radio Tv (alla quale, si ricordi, aderisce comunque anche Rai, e l’attuale Presidente è non a caso Franco Siddi, membro del Cda di Viale Mazzini), ma anche Direttore Relazioni Istituzionali di Mediaset. Nel documento finale di uno dei “tavoli”, si chiede che il ruolo di servizio pubblico debba essere espletato dalla Rai su tre “piattaforme”, ovvero digitale terrestre, satellite, online. Selli ha richiesto che venisse posta particolare enfasi sul digitale terrestre. Il gruppo di lavoro è stato formato da Alessio Beltrame (Mise), Valerio Zingarelli (Rai), Mario Frullone (Fub- Fondazione Ugo Bordoni), Antonio Sassano (Università La Sapienza di Roma), Marco Mele (Comunicare Digitale).

Mele ha spiegato i suoi dubbi sul proprio blog “Media 2.0”. La questione non ci sembra in fondo così drammatica, essendo noti gli interessi di Cologno Monzese: la Commissione Europea impone agli editori tv di liberare le frequenze della “banda 700” entro il 2020, e Mediaset ha interesse a rinviare il termine. Normale dialettica di mercato, ci sembra. E d’altronde anche Mediaset ha diritto – come chiunque, cittadino associazione impresa – ad esprimersi in materia di “servizio pubblico”.

Altri hanno notato che al tavolo “Cinema” (coordinatore il Direttore Generale del Mibact Nicola Borrelli, Paolo Dal Brocco rappresentante Rai), si sarebbe registrata resistenza da parte di Viale Mazzini nell’accettare l’idea che il “psb” debba incrementare le risorse destinate al cinema. Anche qui, un “gioco delle parti” assolutamente prevedibile.

Piccole polemiche a parte, ribadiamo il convincimento che “#CambieRai” sia stata una iniziativa stimolante, ma l’aver precluso una disseminazione pubblica dei lavori resta un errore gravissimo, e ne inficia il senso tecnico oltre che civile: imperdonabile – riteniamo – rispetto a quella che è stata annunciata come “consultazione pubblica”.

Da cittadini, chiediamo quindi cortesemente al Sottosegretario Antonello Giacomelli ovvero al Mise, di rendere pubblici quanto prima almeno i documenti che son stati redatti dai 16 tavoli di lavoro di “#CambieRai”: a questo punto (essendo purtroppo irrimediabilmente andata perduta la traccia mnemonica completa di queste ore di dibattito), è il minimo che il Ministero deve fare. In nome della trasparenza, della dialettica, del dibattito civile e politico: per il bene del futuro “servizio pubblico radiotelevisivo”.

Noi, da parte nostra, riteniamo di dover rendere di pubblico dominio – anzitutto a favore dei lettori di “Key4biz” – le elaborazioni del “tavolo” cui abbiamo avuto l’onore ed il piacere di partecipare.

E ci auguriamo che anche la “bozza” di questionario che il Mise affiderà all’Istat venga resa di pubblico dominio, prima della sua pubblicazione online.

Clicca qui, per leggere la bozza delle conclusioni del “Tavolo 15” (“Cultura”), prima fase di “#CambieRai. Consultazione nazionale sul servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimedia”, Roma, 12 aprile 2016

Elenco delle 91 organizzazioni che hanno partecipato ai “tavoli tecnici” della giornata del 12 aprile 2016, di avvio della Consultazione “CambieRai”

(secondo l’elenco reso noto sul sito web del Mise l’11 aprile)

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