L'assemblea

ilprincipenudo. Confindustria Radio Tv: 10 miliardi il fatturato del settore, ma cresce la paura degli OTT

di Angelo Zaccone Teodosi (Presidente Istituto italiano per l’Industria Culturale - IsICult) |

Oggi l’Assemblea annuale di Confindustria Radio Tv. Il settore tutto sommato regge pur nella sua staticità e prosegue purtroppo il crollo delle tv locali.

ilprincipenudo ragionamenti eterodossi di politica culturale e economia mediale, a cura di Angelo Zaccone Teodosi, Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) per Key4biz. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

Iniziative come l’odierna assemblea generale di Confindustria Radio Televisioni (Crtv), tenutasi a Roma presso il Centro Congressi Tv2000 sulla via Aurelia, corrono sempre il rischio di riproporre una passerella di interventi istituzionali, autoreferenziali se non autopromozionali, privi di stimoli dialettici: anche la kermesse di questa mattina ha riproposto un format abbastanza prevedibile, ma va segnalato che ci son stati spunti interessanti, finanche qualche cenno di polemica, e comunque l’iniziativa si pone come occasione per una riflessione critica sullo “stato di salute” del sistema mediale italiano.

Qual è la fotografia che propone Crtv, anche alla luce di alcune elaborazioni prodotte dall’Ufficio Studi dell’associazione, diretto dalla eccellente ricercatrice Elena Cappuccio?

Un sistema che complessivamente regge, che parrebbe minacciato soltanto dalla prepotenza delle “web company”, ovvero dagli “over-the-top” e dalla loro voracità pubblicitaria. Un sistema che varrebbe complessivamente circa 10 miliardi di euro (stime anno 2015), e che sarebbe in crescita dello 0,8% rispetto al 2014. In crescita, in particolare, il settore radiofonico, che passa dai 518 milioni di ricavi del 2014 ai 543 del 2015, con un incremento di quasi il 5%. La sofferenza più pesante è registrata dal comparto dell’emittenza televisiva locale: se nell’ultimo anno (2015 su 2014) la contrazione è di quasi il 12%, il calo dei ricavi nel quinquennio (2011/2015) è di ben il 35%.

Per esempio non vi è alcun riferimento al peso di mercato di Sky Italia e al ruolo competitivo dei suoi contenuti. Sarà perché Sky Italia è andata via da Confindustria RadioTV? Sarebbe una ragione indifendibile che rende inevitabilmente monco lo sforzo elaborativo e la visione di mercato di Confindustria RadioTV: difficile parlare di “una parte” facendola passare per “il tutto”.

Uditorio vuoto (o pieno, dipende come si vuol vedere il… bicchiere) per metà, ma ciò è verosimilmente dovuto allo sciopero dei mezzi pubblici che ha oggi paralizzato la Capitale: in prima fila – tra gli altri – sia Monica Maggioni per Rai sia Fedele Confalonieri per Mediaset.

Il Presidente di Crtv, Franco Siddi (che è anche Consigliere di Amministrazione Rai), ha sostenuto che “l’attuale scenario economico, purtroppo, non agevola la crescita dell’industria culturale e creativa italiana, il cui valore economico sfiora, nel 2015, i 48 miliardi di euro, ma con un potenziale inespresso di crescita fino a 72 miliardi” (facendo riferimento allo studio “Italia Creativa” promosso da Siae ed affidato ad E&Y Ernst & Young): “stessa considerazione vale per il settore radiotelevisivo che, con circa 9,7 miliardi di ricavi, nel 2015, rappresenta solo il 20% del valore economico dell’industria culturale e creativa, ma che, nonostante la buona tenuta dei consumi televisivi, ha difficoltà di espandere i volumi dei ricavi e di migliorare i margini di redditività. Nel biennio 2015-2016, gli investimenti pubblicitari hanno ripreso a crescere, ma manca ancora un miliardo di euro rispetto al periodo pre-crisi, ed in questo contesto si paga anche un prezzo molto alto al vantaggio competitivo degli operatori globali”.

Nel Paese, ha lamentato Siddi, “pesano anche le incertezze del quadro politico, che non incoraggiano gli investitori, soprattutto esteri, ad impiegare i capitali necessari a finanziare crescita e sviluppo”, ed “a ciò va aggiunta l’enorme difficoltà del sistema bancario italiano di supportare imprese e famiglie”. Si rimanda alla lettura della lunga ed articolata relazione (15 pagine) del Presidente di Crtv (che verrà presto messa online sul sito di Confindustria Radio Tv), perché consente di comprendere bene il punto di vista dell’associazione, che inevitabilmente è luogo di mediazione tra interessi anche in contrasto (certamente in concorrenza) tra loro: tra gli associati, oltre a Rai e Mediaset, si annoverano infatti anche La 7, Discovery, Viacom, Hse24, Tv2000… ed un imprecisato numero di emittenti televisive e radiofoniche locali, attraverso l’Associazione Tv Locali e l’Associazione Radio Frt.

Le criticità segnalate da Siddi sono state tutte concentrate su specifiche dinamiche infra-settoriali (diritto d’autore, frequenze, operatori di rete, fiscalità…): non è emersa una critica una in relazione all’assetto complessivo del settore, ai livelli di concentrazione oligopolistica, alle barriere all’entrata, alla ripartizione della torta pubblicitaria tra i vari mezzi, alle dinamiche storiche (e politiche) che hanno portato alla situazione attuale…

D’altronde, osservazioni critiche di questo tipo potrebbero essere sviluppate in modo accurato, e da un soggetto “super partes”, soltanto se si disponesse di una radiografia socio-economica del settore approfondita: il che, ad oggi, non è, e riteniamo che questa manchevolezza sia da attribuire a come l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni studia (ovvero non studia) il sistema mediale italiano: tra pochi giorni, martedì prossimo 11 luglio, verrà presentata la “Relazione Annuale” al Parlamento, e ci auguriamo essa mostri quel salto di qualità, tecnico-scientifico e documentativo-critico, che si invoca da anni…

Siddi ha denunciato la crisi del settore radio-televisivo locale, ma non si è domandato quale sia la causa principale di questa deriva. Ha sostenuto “la crisi del settore televisivo locale non conosce fine. La raccolta pubblicitaria è letteralmente crollata, i ricavi totali sono passati da 647 milioni di euro in era analogica a 318 milioni di euro nel 2015. Dal 2008 al 2015, il settore ha accumulato perdite per oltre 210 milioni di euro, che hanno intaccato pesantemente il capitale sociale delle aziende e bruciato le ricapitalizzazioni effettuate dai soci negli anni… Imprese televisive storiche, da nord a sud, hanno cessato l’attività, per liquidazione volontaria o, peggio, per fallimento. Stiamo perdendo quote di un patrimonio unico, di libertà e pluralismo, di presidio informativo del territorio, di conoscenze. Stiamo perdendo centinaia di professionisti, giornalisti, tecnici, amministrativi”.

Nonostante ciò, “ci sono ancora 70-80 emittenti locali che, con grandi sforzi economici, creano occupazione e forniscono un servizio informativo, di comunicazione, promozione e pubblica utilità sul territorio. Queste aziende proseguono il loro imprescindibile servizio di editori, in attesa di una seria riforma di sistema”.

Qui il problema reale: nessuno, nei decenni scorsi, ha voluto realmente mettere mano ad una (seria) “riforma di settore”. Questa assenza di governo ha determinato – esemplificativamente – che il ruolo dell’emittenza televisiva locale, che pure è un fenomeno tipicamente italiano e che avrebbe potuto produrre molto in termini di estensione del pluralismo (socio-culturale), venisse continuamente depotenziato: basti pensare cosa si sarebbe potuto fare mettendo in relazione collaborativa le tv locali ed il servizio televisivo pubblico!

Le industrie culturali e mediali italiane sono state private di un governo sistemico e strategico, ed ognuna si è costruita delle nicchie normative sopravvivenziali: dal cinema (che ha continuato a vivere grazie alla stampella delle sovvenzioni statali e degli investimenti dei “broadcaster”) al digitale terrestre (che ha certamente esteso l’offerta di canali – secondo Crtv, nel 2017 sono 361 i canali televisivi nazionali presenti sulle principali piattaforme – ma anche di fatto trasferito nel nuovo habitat lo storico duopolio)…

È mancato completamente un “governo di sistema”, e questo deficit ha riguardato sia le frequenze sia i cavi sia i contenuti, hardware e software, producendo un assetto complessivamente statico (con un sottodimensionamento delle potenzialità dei vari settori), che ha spesso consentito la difesa di rendite di posizione, e non ha certo stimolato innovazione. Abbiamo assistito ad un (non) “governo” miope del mercato per segmenti / frammenti, senza una visione strategica complessiva ed unitaria. E ci si trova ora di fronte ad un mercato piccolo e parcellizzato, debole nella proiezione internazionale, in ritardo enorme rispetto alla rivoluzione digitale, che assiste discretamente impotente all’invasione degli “over-the-top”: un mercato “statico stagnante”, come abbiamo scritto decine di volte sul mensile “Millecanali” (storica testata che ha di fatto sospeso da qualche tempo le pubblicazioni, ad ulteriore conferma della crisi del settore delle tv locali).

Dopo la ricca relazione di Siddi, è stato il turno del Commissario dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, Antonio Martusciello, che ha proposto un testo assai corposo. Estrapoliamo alcuni concetti: “Garantire un nuovo framework regolamentare, capace di assicurare allo stesso tempo protezione, monetizzazione e distribuzione dei contenuti, nonché il corretto dispiegarsi del gioco concorrenziale tra gli operatori… Oggi il contenuto viaggia sulla rete indipendentemente dal mezzo per il quale è stato in origine prodotto”, sottolineando come questa accessibilità risulti però ancora “priva di una cornice normativa capace di fornire un’adeguata tutela dell’opera alla luce dei mutamenti tecnologici”.

Particolarmente interessante il passaggio nel quale il Commissario Agcom ha affrontato la questione relativa alla “monetizzazione dei contenuti”, evidenziando come, secondo quanto rilevato da Acgom in termini di tecniche di rilevazione delle audience sui diversi media, siano presenti numerosi operatori che offrono “servizi di web analytics basati su metodi e finalità molto differenti”, ma, se questi soggetti non consentono ad altri sistemi di tracciare i siti di loro proprietà, “vi saranno possibili ripercussioni negative in termini di attendibilità e trasparenza dei dati e quindi possibili distorsioni delle dinamiche nel mercato della pubblicità online”. In sostanza, l’accusa è senza dubbio rivolta a Google e Facebook & Co., che… se la suonano e se la cantano anche in termini di marketing. Martusciello ha addirittura evocato la necessità di non monitorare più soltanto l’“audience dei media”, ma l’“audience dei contenuti su vari media”: interessante prospettiva avveniristica…

Non granché entusiasmante l’intervento del Sottosegretario Mise alle Comunicazioni Antonello Giacomelli, che ha affrontato una minima parte della “agenda” che Siddi aveva proposto, ed ha manifestato soprattutto una “visione” ideologica molto ma molto aperta e dialogica nei confronti degli “over-the-top”, sia per quanto riguarda le dinamiche economiche (“è forse colpa di Google se è andato ad insediarsi in Irlanda, o piuttosto delle asimmetrie nelle politiche fiscali dei vari Stati dell’Unione Europea?”, si è domandato) sia per quanto riguarda i contenuti (“le fake news son sempre esistite…”, ed ha ribadito la sua contrarietà rispetto a qualsivoglia “Ministero della Verità”).

Un Sottosegretario molto “open” e tollerante, e peraltro parso non granché attento rispetto alle tematiche che pure avevano dato il titolo – nelle intenzioni dei promotori – alla kermesse: “Valorizzazione dei contenuti nell’evoluzione digitale dell’industria audiovisiva e radiofonica”. Se volessimo giocare ai manichei, è parsa evidente una qual certa… simpatia del Sottosegretario nei confronti di Google & Facebook & Co., e comunque delle doti catartico-salvifico-rivoluzionarie del web, che incarnerebbe ormai “il mercato” stesso (e, in quanto tale, deve essere forse lasciato completamente libero ed autoregolato?!).

Sulla base di dati che ci sono evidentemente sfuggiti, il Sottosegretario ha sostenuto con veemenza che le politiche che il Governo sta mettendo in atto dovrebbero consentire all’Italia di uscire presto dalle posizioni che ci vedono agli ultimi posti nelle classifiche sulla “digitalizzazione” del nostro Paese.

A margine del convegno, sono emerse dichiarazioni nette rispetto alla querelle in corso con Tim: “non c’è problema di litigio con la fidanzata… Noi non cerchiamo di alimentare polemiche, cerchiamo di risolvere un problema che ha il Paese. Il rapporto del Governo con Tim è come con tutti gli altri operatori. Credo che Tim possa essere, e mi auguro che lo sia, assolutamente un protagonista di questo progetto Paese (ovvero il famoso “piano nazionale” per la banda ultralarga, n.d.r.). Vale per qualunque soggetto intenda collocare il proprio business in questa strategia. Quello che non può accadere con nessuno è pensare che il Governo possa posporre l’interesse nazionale a un pur legittimo interesse privato”. Alla domanda di un collega “c’è un clima che appare di scontro con Tim, come si supera?”, il Sottosegretario ha risposto “che vuol dire? il Governo parla per atti, non è che c’è un problema di relazione o di litigio con la fidanzata. Bisogna vedere nel merito delle cose. La soluzione è semplicemente nell’attuazione del piano nazionale”.

Rispetto alla vicenda Mediaset-Vivendi, Giacomelli ha sostenuto, sempre a margine del convegno: “Non credo tocchi a noi decidere iniziative particolari. Seguiamo con attenzione il lavoro delle authority, siamo certi che le autorità abbiano piena consapevolezza, forza, e siano garantiti il rispetto delle regole e le condizioni di normalità del mercato italianoIo sono fermo alle parole del Presidente Gentiloni, quando ha commentato mesi fa questo evento, il Governo è attestato su quella linea”.

Conclusivamente, una mattinata interessante per comprendere meglio le posizioni di un’associazione confindustriale che – naturalmente – deve tutelare la pluralità di interessi dei propri soci, e che non può rappresentare una visione “sistemica” complessiva: basti pensare che non s’è ascoltata la voce dei produttori televisivi (presente in sala Giancarlo Leone, da qualche mese Presidente dell’Associazione Produttori Televisivi – Apt), o quella degli autori e dei creativi (e nemmeno la voce della Società Italiana Autori Editori – Siae), né quella di un dicastero che pure riteniamo dovrebbe avere un ruolo trainante nello sviluppo del sistema culturale nazionale (e specificamente dell’industria radiotelevisiva oltre che audiovisiva), qual è il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo

[ Ha collaborato Martina Paliani]

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