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ilprincipenudo. Bilancio Sociale Rai 2017, di male in peggio

Angelo Zaccone Teodosi

Giovedì mattina 15 novembre è stata presentata a Roma la 9ª edizione di una preziosa iniziativa promossa da Save The Children in partnership con Treccani, ovvero “L’Atlante dell’Infanzia a rischio”, quest’anno intitolato “Le periferie dei bambini”, in un’affollata “Sala della Lupa” a Montecitorio, con la benedizione del Presidente della Camera Roberto Fico, ed alla presenza di parlamentari come l’ex Ministro Marianna Madia.

Totalmente assente la Rai, che parrebbe non essere nemmeno stata invitata. E a partire da questa annotazione su questa incredibile assenza, riteniamo sia opportuno sviluppare un discorso critico sul rapporto tra Viale Mazzini ed il “sociale” tout-court, proponendo ai nostri lettori un documento semi-clandestino, ovvero il “Bilancio Sociale” della Rai, che non ha beneficiato di alcuna notiziabilità…

Procediamo con ordine, da Save The Children a Rai.

Uno dei dati più preoccupanti che emergono dall’“Atlante”, dedicato a quelle che potremmo definire “periferie educative”: in Italia, sono 1,2 milioni i bambini e gli adolescenti che vivono in povertà assoluta.

Il loro futuro non dipende solo dalle condizioni economiche della famiglia, ma anche dall’ambiente ovvero dall’habitat sociale in cui vivono.

A Napoli, i 15-52enni senza diploma di scuola secondaria di primo grado sono il 2 % al Vomero e quasi il 20 % a Scampia, a Palermo il 2 % a Malaspina-Palagonia e il 23 % a Palazzo Reale-Monte di Pietà; mentre nei quartieri benestanti a nord di Roma, i laureati (più del 42 %) sono 4 volte quelli delle periferie esterne o prossime al Grande Raccordo Anulare nelle aree orientali della città (meno del 10 %). Ancora più forte la “forbice” a Milano, dove a Pagano e Magenta-San Vittore (51 %) i laureati sono 7 volte quelli di Quarto Oggiaro (8 %)… Spesso le “distanze” socio-culturali, all’interno di una stessa metropoli, si registrano nell’arco di pochi chilometri (talvolta addirittura centinaia di metri), da un quartiere all’altro: “è assurdo che due bambini che vivono a un solo isolato di distanza – ha commentato il Direttore Generale di Save the Children, Valerio Neripossano trovarsi a crescere in due universi paralleli. Rimettere i bambini al centro significa andare a vedere realmente dove e come vivono, e investire sulla ricchezza dei territori e sulle loro diversità, combattere gli squilibri sociali e le diseguaglianze, valorizzare le tante realtà positive che ogni giorno si impegnano per creare opportunità educative che suppliscono alla mancanza di servizi…”.

Di anno in anno, Save The Children focalizza una problematica, a partire dalla rinnovata edizione del progetto, avviato nel 2016 con l’Istituto dell’Enciclopedia Italia: l’edizione 2016 dell’“Atlante” è stata intitolata “Bambini e supereroi”, l’edizione 2017 “Lettera alla Scuola”, questa nuova edizione 2018 è focalizzata sulle “periferie” giustappunto in senso lato e stretto.

L’“Atlante” Save The Children – Treccani (290 pagine, 14,90 euro), curato da Giulio Cederna, è un’opera quasi unica nel panorama editoriale italiano, perché unisce ad una notevole ricchezza di dati e di densità di analisi una eccellente capacità di rappresentazione infografica, con mappature evolute e spesso di agevole lettura. L’apparato iconografico è anch’esso stimolante, con belle fotografie di Riccardo Venturi.

La presentazione di ieri è stata arricchita da alcune esperienze personali ovvero da concrete testimonianze: alcuni brillanti giovani studenti hanno presentato con efficacia, e senza timidezza alcuna, l’eccellente caso di lettura critica del territorio, a partire dall’esperienza di “Mappi(na)” promosso dall’urbanista eterodossa Ilaria Vitellio (si tratta di una piattaforma di “collaborative mapping” tesa a coinvolgere gli abitanti nella realizzazione di una mappa alternativa di Napoli, ma il progetto ha ormai ambizioni nazionali)…

Plaude all’iniziativa il Presidente della Camera, Roberto Fico, che ricorda e rivendica le proprie radici partenopee e le contraddizioni delle realtà periferiche (deficit e potenzialità), ma emerge dai vari interventi che l’evoluzione delle politiche a favore dell’infanzia, in Italia, non c’è stata: la situazione, infatti, di anno in anno, peggiora, e non ci registrano indicatori positivi, se non in alcune esperienze “sul territorio”, frutto spesso di intenso volontariato e non di sensibilità istituzionale…

Emerge, anche in questo caso, un problema di “insensibilità” (e spesso ignoranza) della classe politica italiana: anche quando l’accademia o la società civile riesce a mettere a fuoco con adeguato “dataset” le criticità (come nel caso dell’“Atlante” di Save The Children – Treccani), il “sistema politico” (istituzionale e partitico) non sembra essere in grado di metabolizzare la conoscenza, e trasformarla in “policy making” evoluto.

Da cosa dipende, questa patologia?! Noi riteniamo che una causa rilevante sia la inadeguata sensibilità del sistema mediale, a partire dal “public service broadcaster”, ovvero dalla Rai.

Questo tipo di tematiche e problematiche dovrebbero essere oggetto di maggiore attenzione da parte di Viale Mazzini (perché influenza anche l’“agenda setting” dei politici di professione): dovrebbero pervadere l’insieme della sua offerta, invece di essere relegate in coda ai telegiornali o negli anfratti dei palinsesti, evitando le “foglie di fico” di qualche fiction sensibile trasmessa finanche in prima serata.

Qui si apre il grande e grave capitolo della “responsabilità sociale” della Rai, ovvero del suo ruolo come interprete del sistema sociale nel suo complesso: continua a prevalere una lettura della realtà statica, inerziale, conformista, conservativa, allorquando crediamo che un “public media service” dovrebbe proporre interpretazioni della realtà che siano innovative, eterodosse, anticonformiste, problematicizzanti.

Serve coraggio, volontà di rompere gli schemi, non di riprodurli, perché, riproducendo letture conformiste della realtà, si finisce per ri-produrre conservazione dell’esistente.

Nessun esponente di Viale Mazzini, ieri, alla Sala della Lupa alla Camera: sintomatico di un disinteresse sostanziale.

Non il Presidente, non l’Amministratore Delegato, non un Consigliere di Amministrazione, non un dirigente Rai: assenza totale! Incredibile ma vero.

Non meno incredibile l’assenza di Filomena Albano, la Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, ma questo è un altro discorso…

E non ci si venga a dire che magari Rai ha dedicato una discreta attenzione televisiva alla presentazione: non basta.

Il problema di fondo è “lo spirito” complessivo che deve caratterizzare l’offerta della televisione pubblica, che dovrebbe essere sganciata da logiche di asservimento all’audience, e dovrebbe invece porsi come “parola altra” rispetto a quella che viene proposta dai media commerciali “mainstream” (le televisioni private, in primis).

A parte questo “spirito” deficitario, esiste un altro correlato problema: lo specifico ruolo della Rai rispetto alla “società civile”, intesa come universo di iniziative ed attività che caratterizzano il tessuto più vivo del Paese, “terzo settore” e volontariato, associazioni di cittadini, attivisti sociali di ogni tipo…

L’attenzione specifica che Viale Mazzini dedica a questi soggetti è purtroppo scemata nel corso degli anni.

Più volte, anche su queste colonne, abbiamo dedicato polemica attenzione al killeraggio della struttura Segretariato Sociale Rai, affidato per tanti anni a Carlo Romeo, che cinque anni fa è stato nominato Direttore Generale di Tele San Marino, forse a mo’ di “promoveatur ut amoveatur” (su queste tematiche si rimanda a “La Rai tra inutili convegni e inadempienza del servizio pubblico”, su “Key4biz” del 15 gennaio 2015, e “Cultura e media, sempre in attesa di sviluppo equo e sostenibile”, del 22 aprile 2015).

È di qualche settimana fa la nomina, a capo della “Responsabilità Sociale” della Rai (che dipende dalla Direzione Comunicazione diretta da Giovanni Parapini), di Roberto Natale (già presidente della Federazione Nazionale Stampa Italiana – Fnsi), e ci auguriamo che il suo innesto (considerate le sue storiche doti di “intellettuale attivista”) possa rivitalizzare una struttura che negli ultimi anni si è limitata ad una attività di routine sostanzialmente sopravvivenziale.

In argomento, qui proponiamo ai lettori un’ulteriore provocazione: un’impresa ovvero un gruppo come la Rai dovrebbe avere una capacità di interloquire intensamente con i propri “stakeholder.

Ed i “portatori di interesse”, nel caso di una missione di servizio pubblico come quella della Rai, dovrebbero essere intesi come gli utenti, gli spettatori, ovvero i cittadini, e non i membri del Governo, o le segreterie di partito, ovvero i “cerchi magici” di una parte politica o dell’altra…

E qual è lo strumento essenziale per interagire con gli “stakeholder”?! Il “bilancio sociale”, ovvero il documento attraverso il quale un’impresa illustra non soltanto i risultati economici della propria attività, ma le ricadute complessive nella società ed analizza (magari autocriticamente) il rapporto con i propri utenti. In Italia, purtroppo, questo strumento è stato introdotto tardivamente.

Ne abbiamo già scritto più volte su queste colonne, e chi redige queste noterelle può farsi (modestamente) vanto di aver fornito un contributo determinante nell’avviare la procedura, per quanto riguarda specificamente la Rai: ricordiamo che a fine luglio 2015, la Presidente Anna Maria Tarantola ha presentato la prima edizione del “bilancio sociale”, ovvero quello che fu definito un “numero zero” del bilancio (vedi “Key4biz” del 29 luglio 2015, “Il numero zero del ‘bilancio sociale’ Rai: più ombre che luci”).

Quella iniziativa era stata stimolata anche da alcune ricerche che l’Istituto italiano per l’Industria Culturale (IsICult) aveva realizzato per il Comitato Consultivo per la Qualità del Prodotto Radiotelevisivo Rai, coordinato dalla allora Consigliera di Amministrazione Benedetta Tobagi. La Presidente Tarantola (che ha guidato Viale Mazzini dal giugno 2012 all’agosto 2015), in occasione di una nostra audizione in Cda, mi domandò cosa potesse fare lei concretamente, negli ultimi mesi del proprio mandato, come azione di dimostrata sensibilità rispetto alla “qualità”. La mia risposta fu netta: “almeno il bilancio sociale, Presidente!”. L’idea fu fatta propria da Tarantola, che peraltro in passato aveva sostenuto iniziative simili nell’ambito del sistema bancario, anche nella sua veste di già Vice Direttrice Generale della Banca d’Italia.

Il primo tentativo Rai, comunque apprezzabile, si dimostrò debole e fragile e timido, ma, essendo un “numero zero”, ci si auspicava che rappresentasse la base per un laboratorio in itinere.

Il documento fu presentato in pompa magna, con discreta retorica: “il primo lavoro di identificazione, analisi e rendicontazione degli indicatori di sostenibilità e responsabilità sociale”. Prodotto editoriale interessante: ancora una volta, però, la bella grafica, la stampa in quadricromia su carta patinata ad alta grammatura non sono riusciti a compensare l’evidente deficit di analisi e l’assenza di un minimo spirito autocritico. Alla fin fine, uscì fuori un documento narcisisticamente autoreferenziale. Ma il tentativo fu senza dubbio comunque commendevole.

Andata via la Tarantola, la questione si è persa nei corridoi del settimo piano, ovvero è stata chiusa in qualche polveroso cassetto.

Per fortuna, però, qualcuno, anche in sede politica, se ne è ricordato.

Nell’aprile 2017, la Commissione Parlamentare di Vigilanza sulla Rai, ha approvato alcuni emendamenti al “Contratto di Servizio”, tra i quali uno, fortemente voluto dall’allora Capo Gruppo Misto della Camera dei Deputati, Pino Pisicchio. Così recitata l’emendamento: “La società concessionaria redige annualmente, entro quattro mesi dalla conclusione dell’esercizio precedente, un bilancio sociale, che rechi un elenco dettagliato delle attività svolte in ambito socio-culturale, con particolare attenzione al rispetto del pluralismo informativo e politico, dei diritti delle minoranze, della tutela dei minori, della rappresentazione dell’immagine femminile, della promozione della cultura nazionale. Il bilancio sociale dà conto anche dei risultati di indagini demoscopiche sulla qualità dell’offerta proposta così come percepita dall’utenza” (si rimanda, per un approfondimento, a “Key4biz” del 7 aprile 2017, “Concessione Stato-Rai: il bilancio sociale diventa obbligatorio”).

Il testo finale del “Contratto di Servizio” Stato-Rai, nella versione approvata dalla Commissione bicamerale il 19 dicembre 2017, precisa che il “bilancio sociale” va presentato alla Commissione Vigilanza ed all’Autorità. Nella versione del 19 dicembre 2017, si apprezzano altri innesti emendativi, correlati al tema del “sociale”: “La Rai è tenuta, inoltre, a promuovere la crescita della qualità della propria offerta complessiva, da perseguire attraverso i seguenti obiettivi: a) raggiungere i diversi pubblici attraverso una varietà della programmazione complessiva, che presti una particolare attenzione alle offerte che favoriscano la coesione sociale di tutti i cittadini” (art. 2 comma 3).

E ancora (all’articolo 23, comma 1): “n-bis) la Rai è tenuta a dotarsi di un sistema di analisi e monitoraggio della programmazione che sia in grado di misurare l’efficacia dell’offerta complessiva in relazione agli obiettivi di coesione sociale di cui al precedente articolo 2, comma 3, lettera a), anche attraverso l’elaborazione di specifici dati di ascolto”.

L’11 gennaio 2018, il Consiglio di Amministrazione di Rai spa ha approvato il testo del nuovo “Contratto di Servizio” per gli anni 2018-2022, sottoscritto da Rai spa e dal Mise e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 7 marzo 2018.

La versione finale (quella su G. U. del 7 marzo 2018) propone qualche ritocco al testo, rispetto a quanto fin qui proposto: “Bilancio sociale: la Rai è tenuta a presentare al Ministero, alla Commissione e all’Autorità, entro quattro mesi dalla conclusione dell’esercizio precedente, un bilancio sociale, che dia anche conto delle attività svolte in ambito socio-culturale, con particolare riguardo al rispetto del pluralismo informativo e politico, alla tutela dei minori e dei diritti delle minoranze, alla rappresentazione dell’immagine femminile e alla promozione della cultura nazionale. Il bilancio sociale dà altresì conto dei risultati di indagini demoscopiche sulla qualità dell’offerta proposta così come percepita dall’utenza e della corporate reputation della Rai”.

Ricordiamo che il “Contratto di Servizio”, al comma 3 dell’articolo 2, definisce una serie di “obiettivi” specifici, tra i quali: la varietà dell’offerta, la promozione dell’immagine del Paese, la diffusione dei valori dell’inclusione, dell’accoglienza, del rispetto della legalità e della dignità della persona, la promozione della parità di genere e del rispetto della figura femminile, la tutela dei minori, l’accessibilità per i disabili, il contributo all’alfabetizzazione digitale, nonché alla ricerca e all’innovazione tecnologica

A quanto è dato sapere, il ritardo Rai su molti “obblighi” è estremo.

Abbiamo più volte spiegato come la debolezza sinallagmatica del “Contratto di Servizio” renda peraltro il documento più un evanescente libro delle belle intenzioni che un vero contratto. Comunque, chi sta lavorando alla “coesione sociale” a Viale Mazzini ed più in generale ad un rafforzamento della generale “sensibilità sociale” in un’auspicabile rinnovata “Weltanschauung” della Rai?!

Anche se i termini temporali previsti dal “Contratto di Servizio” sono stati graziosamente rimandati dal Mise (Ministero dello Sviluppo Economico) dal settembre 2017 al marzo 2018 (con le tipiche modalità dell’Italia… mediterranea), abbiamo ragione di ritenere che Rai non si sia adeguatamente ancora attrezzata, anche rispetto a questi obblighi. E che dire poi del “piano industriale” o del “canale internazionale in inglese” eccetera?! Sul primo, immaginiamo lavori alacre Boston Consulting Group (forte di una bella consulenza da 1 milione di euro), ma su tutti gli altri “obblighi” del contratto la Rai è alacre ed effervescente?!

Per quanto riguarda specificamente il “bilancio sociale”, siamo invece quasi alla… farsa: non gli è stata data alcuna pubblicità (e non se ne trova notizia di sorta nemmeno digitando “bilancio sociale” e Rai su un motore di ricerca come Google!), ma… udite udite! l’11 giugno 2018 la Rai ha approvato la prima “dichiarazione di carattere non finanziario, abbinata al bilancio sociale”, come richiesto dal “Contratto di Servizio” ovvero – si legge nei documenti di Viale Mazzini – “come previsto dalla legge Rai”.

Questa “dichiarazione” viene in verità “redatta ai sensi del D.Lgs. 254/16”, si legge nel titolo del documento. La legge in questione recita: “Attuazione della Direttiva 2014/95/Ue del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 ottobre 2014, recante modifica alla direttiva 2013/34/Ue per quanto riguarda la comunicazione di informazioni di carattere non finanziario e di informazioni sulla diversità da parte di talune imprese e di taluni gruppi di grandi dimensioni”. Si tratta di una norma che si concentra sugli impatti sociali ed ambientali, sul rispetto dei diritti umani, in materia di diversità, ma il “focus” è comunque sugli impatti ambientali. Si applica obbligatoriamente agli enti pubblici e alle imprese con oltre 500 dipendenti, con patrimonio superiore ai 20milioni di euro o ricavi superiori a 40…

Si legge a pagina 4, nell’incipit della “Lettera agli Stakeholder”, che la “dichiarazione” in questione “deve essere considerata una naturale evoluzione del Bilancio Sociale che Rai presentò nel 2015, avviando allora – anche in anticipo rispetto alla normativa poi emanata – un complesso progetto per una trasparente ed efficace rappresentazione dell’impegno del Gruppo in tema di responsabilità sociale. L’obiettivo era, ed è, fornire maggiore riconoscibilità ed evidenza ai contenuti propri del ruolo del Servizio Pubblico”.

Ottimo, anche se purtroppo il documento del giugno 2018 appare ancora più debole (deficitario di dati ed analisi) di quello presentato nel luglio 2015. Evidentemente, a distanza di 3 anni, il concetto di “bilancio sociale” non deve essere stato oggetto di grande attività di lavorio, studio e ricerca in Rai… Prevale ancora una sterile vocazione narcisistica, rispetto ad una sana esigenza di analisi critica.

Non a caso, si legge a pagina 11 del documento “Relazioni e bilanci al 31 dicembre 2017” una interessante interpretazione ideologica dello strumento: “Rai dedicherà sempre maggiore cura a questi documenti (ci si riferisce giustappunto al “bilancio sociale”, n.d.r.) perché, in un contesto di equilibrio economico sostenibile, sono proprio le dimensioni non finanziarie e sociali che costituiscono l’essenza della nostra esistenza in un mondo sempre più affollato da operatori di diversa natura, e riflettervi, con il supporto di tutti coloro che sono a vario titolo in contatto con noi, aiuterà a migliorare la nostra offerta”.

Il vizio autoreferenziale non si perde, perché viene spiegata a chiare lettere una delle finalità del “bilancio sociale” e dei documenti ulteriori che verranno prodotti: “Vorremmo che una efficace rappresentazione delle nostre tante, e spesso, poco conosciute attività in questi ambiti possa contribuire a sconfiggere il pregiudizio e lo scetticismo di pochi e a rinforzare la fiducia di quanti, e sono la maggior parte, già percepiscono Rai come una fonte affidabile e autorevole di informazione, già apprezzano le nostre proposte culturali, già ricorrono ai nostri programmi leggeri per rilassarsi con spensieratezza, trovando anche nello svago il filo conduttore di una visione, di un pensiero e di un’attenzione alla società, già ci affidano con sicurezza i loro bambini e ragazzi perché sanno che la nostra programmazione ne tutela uno sviluppo armonico”. (Tra parentesi, magari andare a dare un’occhiata all’iniziativa Save The Children di ieri sarebbe stata una buona idea, a proposito di sensibilità su… “bambini e ragazzi”!)

Il documento, datato 11 giugno 2018, reca la firma della allora Presidente Monica Maggioni e dell’allora Direttore Generale Mario Orfeo (che però si era insediato da due giorni soltanto, il 9 giugno; il “bilancio sociale” è stato comunque approvato dal Cda nella riunione del 7 maggio 2018), ma non possiamo sapere se è frutto della loro penna la frase che auspica che Rai riesca… “a sconfiggere il pregiudizio e lo scetticismo di pochi” nei confronti del servizio radio-televisivo pubblico italiano. Ma saranno veramente proprio così pochi… i “pregiudiziali” e gli “scettici”, rispetto alla santa “missione pubblica” della Rai?!

Key4biz” pubblica – in una sorta di paradossale “esclusiva di fatto” – il “bilancio sociale Rai” per l’anno 2017: una simpatica lettura per il fine settimana… Si lamenta (anzi si denuncia…) che Rai non ha promosso questo documento in alcun modo, nemmeno con uno straccio di comunicato da parte del proprio ufficio stampa. E nessuno, su web, ha fino ad oggi dedicato attenzione al corposo (134 pagine) documento. Incredibile, ma vero.

Già questa decisione di “low profile” comunicazionale anzi di sostanziale semi-clandestinità (evidentemente assunta da qualcuno al settimo piano di Viale Mazzini) ovvero la assoluta “non notiziabilità” assegnata documento evidenzia e conferma quanta attenzione reale la Rai dedica al… “sociale”.

Che si chiami “responsabilità sociale” o “coesione sociale” o “bilancio sociale”…

Lasciamo per ora giudicare al lettore. Proporremo presto una lettura critica del documento: impietosa, come è giusto che sia, allorquando si producono eleganti cortine fumogene, invece che radiografie severe del “palazzo di cristallo” che anche Viale Mazzini riteniamo dovrebbe essere…

Clicca qui, per il “Bilancio Sociale” Rai per l’esercizio 2017, approvato l’11 giugno 2018

Clicca qui, per la videoregistrazione, su Radio Radicale, della presentazione dell’“Atlante dell’Infanzia” curato da Save The Children e Treccani, presentato il 15 novembre 2018 alla Camera dei Deputati.

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