Il commento

ilprincipenudo. Al Rapporto Censis, Mediaset e Facebook si guardano storto

di Angelo Zaccone Teodosi (Presidente Istituto italiano per l’Industria Culturale - IsICult) |

Elegante indiretto scontro tra la “regolata” Mediaset e la “sregolata” Facebook, in occasione della presentazione del 14° Rapporto Ucsi-Censis. De Rita: “la società può contrastare la prepotenza del digitale”

ilprincipenudo ragionamenti eterodossi di politica culturale e economia mediale, a cura di Angelo Zaccone Teodosi, Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) per Key4biz. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

Le iniziative promosse dal Censis (acronimo che sta per Centro Studi Investimenti Sociali) rappresentano sempre occasioni stimolanti di confronto e di dibattito, al di là della qualità dei rapporti di ricerca che vengono proposti: anche l’iniziativa di questa mattina a Roma, nella bella Sala Zuccari di Palazzo Madama, ha confermato la capacità dell’istituto, fondato nel 1964 da Giuseppe De Rita, di provocare confronti utili alla miglior conoscenza dei fenomeni sociali, con la presentazione del 14° Rapporto Ucsi sulla Comunicazione, intitolato “I media e il nuovo immaginario collettivo”.

Non ci andremo qui ad interessare del “dataset” proposto, anche perché nutriamo – da ricercatori – qualche perplessità metodologica. Basti osservare che soltanto da pochi anni il Censis rivela i dati essenziali sulla struttura del campione che utilizza nelle sue rilevazioni demoscopiche: in questo caso, 1.200 individui di popolazione tra i 14 e gli 80 anni, ma nella nota descrittiva (a pag. 22 del libro, pubblicato per i tipi della FrancoAngeli) non viene nemmeno indicato l’arco temporale durante il quale l’indagine è stata realizzata, né la tecnica utilizzata (d’accordo il Censis è “il Censis”, ma forse queste informazioni andrebbero disvelate)… Un’altra osservazione critica: una delle tabelle più importanti del rapporto di ricerca, ovvero i “mezzi utilizzati per informarsi negli ultimi sette giorni” (pag. 42, Tab. 11), evidenzia come sia ancora centrale e prevalente il ruolo informativo della televisione, se è vero che il 60,6 % degli italiani si informa attraverso i “telegiornali”, un 20,2 % attraverso la “tv all news” ed addirittura un 11 % attraverso il “televideo” (!)… Sia consentito manifestare dubbi sulla veridicità ovvero attendibilità di un 11 % degli italiani che si informerebbe attraverso il “televideo” (il dato ha provocato interrogativi anche in alcuni dei relatori). E ciò basti.

Accantoniamo i dati (proposti dal Direttore Generale del Censis, il sempre pacatissimo Massimiliano Valerii, con slide iconologicamente non all’altezza della qualità che il Censis persegue), e veniamo alle opinioni, ovvero al dibattito.

Vania De Luca, Presidente dell’Ucsi – Unione Cattolica Stampa Italiana, si è soffermata soprattutto sulle responsabilità dei giornalisti, a fronte di un sistema mediale sempre più disintermediato.

Gian Paolo Tagliavia, Chief Digital Officer Rai, ha proposto la necessità di distinguere ormai tra “il televisore” e “la televisione”: il primo “device” è ormai affiancato (superato) da una “pluralità di schermi”, ed il “public service broadcaster” italiano ha coscienza dell’esigenza di divenire sempre più “public service media”, in un’ottica di inclusione sociale e di alfabetizzazione digitale, che consenta di superare il “digital gap”. Tagliavia ha ricordato che “un 40 % degli italiani non utilizza internet”, e quindi il ruolo della Rai mantiene una grande centralità. Ha commentato ironicamente come dall’indagine Censis emerge che a fronte di un 11 % di italiani che si informa attraverso il succitato “televideo”, soltanto un 4 % utilizza Twitter (il potere reale dei “social network” va forse ridimensionato?!).

Gina Nieri, Consigliere di Amministrazione Mediaset, ha spiegato come i “media classici” – la tv in primis – abbiano buone chance di rigenerarsi nell’habitat digitale, attraverso una positiva “contaminazione”, ed ha proposto alcuni dati impressionanti: un programma televisivo come “Le Iene” può vantare ben 5 milioni di “fan” su Facebook (e viene provocata una interazione tra tv e web, anche in diretta), e “TgCom24” ben 1,8 milioni di fan (ponendosi al secondo posto nel “rank” dei siti di informazione in Italia). Nieri si è soffermata sul “value gap”, ovvero sulla “distruzione di ricchezza” che sta venendosi a determinare nella complessiva economia mediale, a causa della prepotenza dei “social network”, che distribuiscono informazione in gran quantità, ma non contribuiscono concretamente alla produzione di informazione di qualità. Ha rimarcato l’asimmetria esistente tra soggetti “regolati” (le emittenti televisive) e soggetti “sregolati” (gli “over-the-top”), sostenendo che un “ecosistema sano può crescere soltanto attraverso uno sviluppo guidato”: in sostanza, ha invocato un intervento regolatorio della “mano pubblica”, che possa stimolare una crescita equilibrata del sistema mediale, sia nella dimensione economica (fatturato, occupazione, indotto…) sia nella dimensione sociale (la responsabilità di chi offre informazione e più in generale contenuti…). Nieri ha sostenuto che la deriva in corso sta producendo “una riduzione della linfa vitale per la produzione di contenuti di qualità”, ovvero di quei contenuti che sono determinanti nella costruzione di “un’identità sociale” (nazionale), nella stimolazione di “conoscenza e coscienza”. Senza mai citare Google o Facebook, il riferimento alle rendite parassitarie degli “over-the-top” è giunto netto e chiaro.

Lorenzo Serra, Direttore Generale di Tv2000 (la televisione della Conferenza Episcopale Italiana – Cei, che brilla per qualità della propria programmazione sensibile al sociale), ha criticato la funzione sempre più invasiva che hanno assunto gli “smartphone” nella (non) socialità dei giovani: alle tante opportunità del web, si affiancano infatti gravi rischi, a partire dalla “perdita di autosufficienza” (intellettuale-cognitiva) dell’individuo, anche nelle azioni più semplici (anche soltanto per cercare una strada, si ricorre al navigatore o a Google Maps). Serra ha ricordato che “La verità vi farà liberi (Gv 8,32). Notizie false e giornalismo di pace” è il tema scelto da Papa Francesco per la 52ª Giornata mondiale delle Comunicazioni Sociali, che si celebrerà nel 2018. L’invito del Pontefice non è certamente rivolto a incentivare un’informazione… buonista, quanto piuttosto a riconoscere che, poiché “solo la verità rende liberi”, un primo passo importante può essere quello di riconoscere che il dilagare dei contenuti infondati assume l’andamento di una spirale che si alimenta di emozioni negative (paura, disprezzo, rabbia…) innescate dalla spettacolarizzazione del dramma, e legittimate o rafforzate da un uso scorretto dei media.

Laura Bononcini, Head of Public Policy Facebook (Italy, Greece & Malta), ha enfatizzato che Facebook è ben conscia delle crescenti responsabilità che il “social network” sta assumendo nella società (basti ricordare i ben 30 milioni di utenti che Fb vanta in Italia), e rifugge ogni tentativo di de-responsabilizzazione, pur non considerandosi un “media” vero e proprio (“siamo qualcosa di mezzo”, ha detto). Bononcini ha sostenuto: “Siamo dei grandi facilitatori di accesso, ed abbiamo interesse a che i nostri utenti acquisiscano informazioni e contenuti di qualità, e che vengano monetizzati adeguatamente i fornitori di questi contenuti…”. Ha poi proposto la differenza tra “false news” e “fake news”, rimarcando come il confine sia talvolta labile, e molto dipenda dalla soggettività culturale dell’utente finale (“non credo debba essere Facebook a giudicare…”). Ha annunciato che Facebook “sta per assumere 1.000 persone” (quante in Italia?!), che verranno destinate proprio a questa funzione di “controllo” o comunque “revisione” dei contenuti offerti sul “social network”, al fine di garantire flussi informativi più qualificati. Varie le iniziative in cantiere: sostegno ad attività di ricerca e sensibilizzazione (come, per esempio, il rapporto annuale Ucsi, appunto); campagne di promozione e di “media literacy” con istituzioni come il Miur sull’uso responsabile del web (sta per partire una nuova campagna, tra qualche settimana); collaborazione di Facebook con “agenzie di fact checking” (in Italia non ci risulta ve ne sia ancora una minimamente strutturata); introduzione di meccanismi “automatici” (per esempio, segnalazione, su una certa tematica, dei link ad articoli e post altri, che consentano una visione plurale; e, ancora, evidenziazione dei logotipi delle testate giornalistiche tradizionali, per differenziarle positivamente rispetto ai siti web non giornalistici)… Per quanto riguarda il rapporto con gli editori tradizionali, Bononcini ha sostenuto che un modello come “Instant Articles” vede ormai associati ben 10mila editori in tutto il mondo, e produce 1 milione di dollari al giorno, per remunerare giustappunto contenuti di qualità (come è noto gli “Articoli Interattivi” è il sistema inventato da Facebook due anni fa per pubblicare e visualizzare agevolmente pagine web attraverso dispositivi mobili, smartphone in particolare; in Italia, il sistema è stato adottato per primo dal quotidiano “La Stampa” a fine 2015). Nessun riferimento diretto tra Bononcini e Nieri, ma è bastato osservare lo “scontro” di sguardi tra le due, per comprendere l’intensità del conflitto.

Maurizio Costa, Presidente della Federazione Italiana Editori Giornali – Fieg, ha segnalato come negli ultimi anni la “carta stampata” abbia perso il 50 % dei propri ricavi ed il 70 % del proprio fatturato pubblicitario: il travaso di risorse è andato a tutto beneficio del web, che estende sì il pluralismo, ma rinuncia alla validazione delle fonti, e sottrae risorse alla produzione di contenuti di qualità (tesi in perfetta sintonia con quella sostenuta da Nieri). Con simpatica ironia, rivolto alla Bononcini, ha sostenuto che attende di verificare nella realtà i concreti risultati delle belle intenzioni annunciate da Facebook. Si è domandato, retoricamente, se “la crisi dell’editoria” dipenda soltanto da errori commessi dagli editori, piuttosto che dall’assenza di un assetto regolatorio adeguato all’evoluzione del mercato. Come non dare ragione a Costa, osservando il deficit normativo e di indirizzo strategico che ha caratterizzato la politica culturale e mediale del nostro Paese?! Costa ha anche segnalato che le criticità sono ormai evidenti, se è vero che ben 3 “authority” italiane (media, antitrust, privacy…) stanno dedicando attenzione alle dinamiche dei “social network”, e non soltanto in relazione alla trasparenza dei dati. La “disintermediazione” va decantata, come strumento di liberazione dell’individuo?! Essa è anche l’incarnazione della “crisi dei corpi intermedi” tutti della società (partiti politici in primis), che sta producendo una “società della mormorazione” (citazione da un De Rita di qualche anno fa) nella qualità dell’informazione diviene evanescente: l’utente non evoluto del web finisce per andare a cercare su internet proprio quel che vuole, ovvero fonti che assecondano le sue opinioni, non fonti che stimolano la dialettica, la conoscenza, la coscienza. Costa ha concluso sostenendo che si deve costruire “un algoritmo della credibilità”, che finisca per prevalere sull’“algoritmo tecnologico”. La perdita di importanza del “validatore” (giornalista o editore che sia) mette a serio rischio la democrazia stessa. Dall’indagine Censis, emergerebbe che molti italiani non sembrano granché interessati alla qualità dell’informazione, ed addirittura riterrebbero che i media classici rappresenterebbero delle élite che difendono i propri privilegi…

La parola finale al Presidente del Censis, Giuseppe De Rita (classe 1932), che, con la consueta lucidità (ed annunciando un intervento “stravagante”), ha sostenuto che oggi l’informazione “è autopropulsiva su se stessa”, ma “finisce per essere anche molto condizionata dalla società”. Ha affiancato il “sistema dell’informazione” alla “industria delle armi” (all’apparato militare-bellico) ed al “sistema finanziario”, sostenendo che questi ultimi due (dimensioni rispetto alle quali fu coinvolto anni fa in un dibattito con intellettuali del calibro  di Emanuele Severino e Natalino Irti) hanno per molti anni condizionato l’evoluzione della “società”, ma che, alla fin fine, la società è riuscita a confrontarsi con quelle dimensioni. De Rita ha riproposto una visione complessivamente positiva (finanche moderatamente ottimista, aggiungeremmo), serenamente umanistica, in qualche modo “antropocentrica” ovvero “sociocentrica” (per così dire), secondo la quale “la società” sarà in grado di ri-costruire un proprio “immaginario”, al di là della prepotenza mostrata in questi anni dal digitale, che sembra rappresentare oggi una dimensione “autosufficiente ed autopropulsiva”: ha sostenuto “tutto sembra digitale, il digitale sembra tutto, ma non è così!”. In sostanza, la società avrebbe in sé gli anticorpi per contrastare la potenza (e prepotenza) del digitale. Ha detto De Rita: “Questo è un Paese che dal dopoguerra ha vissuto percorsi straordinari. Era la collettività che immaginava il suo passo e ha reso possibile il miracolo italiano. Oggi questo grande progresso nel mondo dell’informazione che arriva a pensare che tutto sia legato ad una mappa di dati o ad un algoritmo che determina una decisione piuttosto che un’altra, che contributo da all’immaginario collettivo?”. Di qui la provocazione: “Non è piuttosto che la società si sta sottilmente difendendo e vendicando in qualche modo dell’informazione? Che non vuole essere prigioniera dei big data e dell’algoritmo? Magari la società il suo immaginario collettivo non lo chiederà al mondo dell’informazione”. Per il Presidente del Censis, oggi l’informazione “è autopropulsiva su se stessa, diventa sempre più grande, aumenta il suo potere ma finisce per essere anche molto condizionata dalla società. È la società molto spesso che incide sui media e impone in qualche modo un suo immaginario collettivo che poi i media continuano. C’è la digitalizzazione, i big data aumentano, ma credo ci sia un meccanismo di maggiore articolazione complessiva. Oggi è la società che spinge, va avanti, crede solo in se stessa; sarà l’informazione a doversi difendere”.

In verità, il concetto stesso di “immaginario collettivo” andrebbe ri-studiato, alla luce dell’evoluzione in atto, determinata anche da una affermazione del sé individuale che non ha mai raggiunto, nella storia dell’umanità, una forza così prepotente.

Sia consentito non condividere l’ottimismo deritiano: temiamo che questa lettura sottovaluti e sottodimensioni la portata profonda ed intima della rivoluzione in atto, che è il risultato dell’evoluzione del capitalismo: la rivoluzione digitale (la sua pervasività ormai nella nostra dimensione più intima) ha provocato e sta provocando una sorta di radicale mutazione “genetica” nella natura stessa dell’umano, mettendo in discussione categorie (culture e prassi) che finora non sono state mai messe in discussione, nella storia dell’evoluzione. Il digitale, per alcuni aspetti, sta scardinando le classiche categorie marxiane di “struttura” e “sovrastruttura”, determinando una sorta di convergenza e sovrapposizione…

Ancora una volta, il Censis ha saputo promuovere un dibattito stimolante, anche se ci sarebbe piaciuto ascoltare una qualche voce eterodossa, rispetto all’“establishment”: per esempio, gli attivisti del Collettivo Ippolita (appassionati analisti critici dello stadio attuale di evoluzione digitale del capitalismo) o un interprete radicale della transizione in atto come Sergio Bellucci (si segnala l’iniziativa promossa per venerdì 6 ottobre 2017 a Roma, “Governare la Transizione. Soggetti e poteri nell’epoca della Block Chain”, al Teatro dei Dioscuri: clicca qui per la locandina).

Annunciato nel programma, ma assente Massimo Angelini, Direttore Pr Internal & External Communication Wind Tre. Il rapporto Ucsi è co-finanziato da Rai e Mediaset in primis, e vede tra i partner anche Tv2000 e Wind 3, e, da quest’anno, anche Facebook Italia.

Conclusivamente un’iniziativa commendevole, più per gli stimoli e le suggestioni che ha saputo provocare, che per la qualità del dataset e delle analisi proposte dal rapporto di ricerca.

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